Ciò che è bene per la sinistra è male per l’Italia. Ciò che è male per la sinistra è bene per l’Italia.

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Si devono intraprendere le guerre per la sola ragione di vivere senza disturbi in pace (Cicerone)

No alla deriva

No alla deriva
Diciamo NO alla deriva

31 agosto 2005

Non si premi l'ingratitudine

Chiunque abbia una solida e ben remunerata posizione professionale sa che dirottare tempo ed energie dal suo campo a quello dell’impegno sociale costa in termini di mancati guadagni e, soprattutto, mancata riconoscenza.

E’ vero, dicono che chi fa del bene debba avere spalle robuste per sopportare l’ingratitudine dei suoi beneficiati e sicuramente Berlusconi ha spalle robuste.

Ma il comportamento degli “alleati” democristiani è tutt’altro che edificante, tanto da indurci a rivedere un vecchio proverbio: “dagli alleati mi guardi Dio che dall’opposizione mi guardo io”.

Ad un Berlusconi che, ancora una volta, dimostra quanto contino nella diplomazia planetaria di oggi le relazioni interpersonali (Zapatero da più di un anno aspetta un invito a Washington , neanche a Crawford ! e si deve accontentare delle riunioni a tre con i pensionandi Chirac e Schroeder) e che ricorda come per lui – imprenditore abituato a decidere e rischiare: “di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno” -governare significhi adattarsi a riti levantini che dilatano i tempi delle decisioni e l’efficacia delle stesse, il portavoce del partito di Casini ha meschinamente risposto “nessuno glielo ha chiesto di sacrificarsi”.

Delle reazioni dell’opposizione non merita neppure dar conto.

Ebbene Casini deve la sua attuale fortuna a Berlusconi che lo accolse nelle liste di Forza Italia quando la DC, trasformatasi per il funerale officiato da Martinazzoli in PPI, escluse l’ala cosiddetta “destra”.

Ma, come abbiamo detto, chi fa del bene deve avere spalle robuste per sopportare l’ingratitudine dei beneficiati.

Ma questo non significa continuare a ingoiare rospi.

Allora, se proprio Casini vuole candidarsi alla premiership nazionale … si metta in proprio.

Non pensi di farlo con i voti dell’elettorato di Centro Destra – quello che ha chiesto e continua a chiedere a Berlusconi di sacrificarsi per il bene di tutti – e cerchi di vincere con le sue forze.

Sono personalmente convinto che un Centro Destro ripulito dall’ala litigiosa dell’Udc possa ugualmente giocarsi le sue carte per vincere le elezioni, puntando al recupero del voto degli astenuti, “buttati fuori” dalle polemiche e da un’azione di governo troppo moderata rispetto ai tanti desiderata dei cittadini che su immigrazione, terrorismo, sicurezza, ordine, tasse, lavoro, giustiziatutti temi peraltro affrontati e migliorati in questi dal Governo Berlusconi – auspicano una netta, marcata e inequivocabile distinzione tra il Centro Destra e la sinistra.

Cesura che, con i centristi armati del potere di veto a causa dell’effetto determinante dei voti dei loro parlamentari, eletti grazie all’effetto traino di Berlusconi, non è stata sufficientemente e adeguatamente recepita.

Allora … basta Casini nella CdL: non si diano premi e non si facciano sconti all’ingratitudine !

29 agosto 2005

La lezione del Vietnam

Un altro luogo comune della sinistra, dei pacifinti, è la “sconfitta” Americana nel Vietnam.

Ma cosa accadde realmente nel Vietnam ?

Dopo la seconda guerra mondiale, sotto le (ex post possiamo dirlo: sbagliate) pressioni americane le vecchie potenze coloniali europee sono costrette ad abbandonare i loro possedimenti, lasciandoli nelle mani di governanti locali, inetti e spesso corrotti.

Accade così anche nella penisola Indocinese, nel Vietnam, Laos e Cambogia, dove i francesi sono costretti a passare la mano.

Ma il 1945 coincide anche con l’inizio della guerra fredda, la terza guerra mondiale, del comunismo contro le Democrazie.
E la strategia comunista era di “isolare” le Democrazie, acquisendo al proprio campo le ex colonie, con l’illusione del paradiso marxista.

In Vietnam i francesi cercarono di ostacolare la violenta presa di potere dei comunisti guidati politicamente da Ho Chi Min e militarmente da Giap, ma furono incapaci di opporvisi e nel 1954, la supponenza dei generali francesi fu punita a Dien-Bien-Phu .
Nello stesso anno una conferenza di pace a Ginevra divise il Vietnam in due (come la Corea): a nord del 17° parallelo il giogo comunista con capitale Hanoi, a sud un regime avviato alla democrazia con capitale Saigon.

I comunisti cominciarono allora una infiltrazione di terroristi (Vietcong) nel sud per minare la giovane e instabile democrazia che, infatti, subì contraccolpi e cambi di governo attuati con la forza.

Dal 1962 (presidente il democratico John F. Kennedy, icona di tanti antiamericani) gli Stati Uniti, nell’assoluta incapacità francese di assumersi responsabilità nello scacchiere, inviarono consiglieri militari per aiutare l’esercito sudvietnamita combattere i terroristi.

Con il successore di Kennedy (e suo grande elettore nel 1960 ...) Lyndon B. Johnson (anche lui democratico), si attuò una escalation che portò gli effettivi statunitensi nel Vietnem del Sud a 500000 uomini.

Numerose furono le battaglie e numerosi i morti.

Gli Americani persero 60000 uomini e questa fu la molla che fece scattare un movimento pacifista, contro la guerra e contro il servizio obbligatorio di leva (anche Bill Clinton – democratico - che fu presidente dal 20 gennaio 1993 al 20 gennaio 2001 fu un renitente alla leva).

La guerra era in una fase di stallo, con gli Americani e i Sud Vietnamiti a presidiare il sud e con l’iniziativa militare del nord e dei vietcong.

Nel novembre 1968, entrato in carica il successivo 20 gennaio 1969, venne eletto presidente un Repubblicano, già Vicepresidente di “Ike” Einsenhower: Richard M. Nixon.

La guerra continuò finchè Nixon tentò, da un lato, la cosiddetta “vietnamizzazione” della guerra, rafforzando l’esercito del Sud e ritirando effettivi Statunitensi, dall’altro, tra il 1971 e il 1972, autorizzò massicci bombardamenti sul Vietnam del Nord e sulla sua capitale Hanoi, anche se non così distruttivi come quelli effettuati durante la seconda guerra mondiale contro l’Italia e la Germania.

I bombardamenti misero in ginocchio il nord e impedirono l’afflusso dei rifornimenti ai terroristi vietcong.

Hanoi fu costretta alla pace, firmata a Parigi il 27 gennaio 1973 e che fruttò a Henry Kissinger e al nord vietnamita Le Duc Toh il premio Nobel.
La pace sanciva solennemente la divisione del Vietnam, con la prospettiva futura di libere elezioni per procedere alla riunificazione del paese.

Purtroppo sulla presidenza degli Stati Uniti incombeva lo spettro del Watergate che portò alle dimissioni, per la prima volta nella storia di quel Grande Paese, di un Presidente: 9 agosto 1974.
A causa di precedenti dimissioni del vicepresidente eletto Spiro T. Agnew, arrivò alla presidenza Gerald Ford, onesto politico, proiettato alla presidenza da una serie di circostanze favorevoli ma, non avendo mai ricevuto un voto popolare, molto debole e condizionato da un Congresso a maggioranza democratica.

Il 30 aprile 1975, gli Stati Uniti abbandonarono al suo destino il Vietnam del Sud, rinunciando a combattere contro i vietnamiti del nord che, approfittando di una presidenza Americana debole, ripresero l'aggressione contro il Sud.
Gli Americani avevano vinto la guerra e, per cause tutte interne, persero la pace, non avendo sufficiente volontà e forza politica per far rispettare al nemico i trattati firmati solo due anni prima.

I vietnamiti furono convertiti a forza o massacrati e molti tentarono la via della fuga per mare (i famosi boat people) per sfuggire al tallone repressivo comunista.

Il Vietnam del Sud fu annesso al nord e le sue attività economiche persero valore e produttività.

Il Vietnam comunista è uno dei paesi più poveri al mondo.

Questa è la realtà storica.

La “sconfitta” Americana è percepita come una sconfitta sul campo di battaglia che non c’è stata, ma è una sconfitta tutta germogliata all’interno del sistema Americano.

Dai pacifinti prima, da una presidenza indebolita poi.

Da tutto questo possiamo trarre alcune considerazioni generali e di attualità.

1) L’avanzata comunista era fondata sull’inganno, la violenza e il mancato rispetto dei patti e degli accordi. Esattamente come la politica dell’islam, sin dalla sua nascita.
2) Il fronte interno è il punto debole delle Democrazie che le dittature non hanno. Tanto più spazio si lascia ai pacifinti tanto più debole è l’azione contro il nemico esterno. E se anche volessimo concedere la buona fede ai pacifinti, potremmo dire che “le strade per l’inferno sono lastricate di buone intenzioni”. Figuriamoci quando i pacifinti si trasformano in autentiche quinte colonne del nemico, sfruttando le garanzie offerte dal sistema democratico per raccogliere fondi e finanziare i terroristi che questo sistema democratico vogliono sopprimere.
3) Alcuni responsabili della sconfitta di allora (Joan Baez, Jane Fonda) stanno cercando di rivivere gli anni della loro giovinezza, ma, fortunatamente, con Ronald W. Reagan la Presidenza degli Stati Uniti ha riacquistato smalto e forza e con George W. Bush anche una teoria, la difesa preventiva, che ribalta completamente le deboli risposte del “contenimento” di Mc Namara (segretario alla Difesa di Kennedy e Johnson).
4) Il Vietnam del Nord fu costretto a venire a patti dopo i bombardamenti del 1971 e del 1972. Esattamente come a patti sono venute Libia e Siria dopo la liberazione dell’Afghanistan e dell’Iraq, Ed è la miglior risposta a chi dice che quelle iniziative non sono servite a nulla. Ed è anche una indicazione sul tipo di “forza” che a volte è necessario usare.
5) I trattati sono fatti per essere violati ... e non dalle democrazie. Ginevra 1954 e Parigi 1973 furono carta straccia non appena le debolezze interne degli USA diedero ai comunisti l’opportunità di annettersi il Vietnam del Sud. Noi democrazie pensiamo, erroneamente, alla sacralità della parola e della firma, ma di fronte abbiamo individui senza scrupoli che, in nome di una ideologia o di una religione, non hanno ugual coscienza del valore di un trattato.
6) La propaganda, che porta a percepire la “sconfitta” del Vietnam come una sconfitta militare e non esclusivamente politica dovute a cause interne, è la stessa che oggi fa sperare i sinistri in un bis nell’Iraq, ma la situazione oggi è diversa e la presidenza a Washington forte e decisa.


La lezione del Vietnam ha una sua attualità nel nostro scontro con il terrorismo musulmano.
Comprenderla significa anche creare gli anticorpi perché le novelle Joan Baez e Jane Fonda non facciano altrettanti danni.


La lezione del Vietnam ci dice che se sapremo rispondere con forza e, se necessario, con la forza necessaria, il terrorismo musulmano non avrà scampo.

28 agosto 2005

Squadra per cui tifare cercasi

Parte il Campionato di calcio.

Al di là delle facili ironie di intellettualoidi spocchiosi e che guardano con disprezzo al Popolo e alle passioni popolari, come ogni sinistro che si rispetti, il Calcio occupa un posto importante nella nostra società.
E’ lo sport nazionale, quello che tutti abbiamo praticato, quello che fa emergere passioni mai sopite.
Ed proprio per questo che, forse, spaventa i sinistri e la loro corte di intellettualoidi.

Ma non è per parlare della fenomenologia del calcio che scrivo, ma per aprire un referendum.

Per chi può tifare uno che ha la propria squadra in serie “B” ?

Certo, per la propria squadra, perché torni rapidamente in Paradiso, ma il Calcio significa serie “A”, significa Scudetto.

E’ impensabile parlare di calcio e limitarsi alla “B” o alla “C”.

Negli anni in cui il mio Bologna aveva già avuto l’esperienza della “B” e della “C1” ho sempre tifato per le squadre “minori, sperando che con uno “sghetto” (bolognesismo per dire … fortuna) potessero vincere lo scudo, beffando le “grandi”.

Quest’anno, poi, il divario tra Milan, Inter e Juventus e tutte le altre è tale che i campionati sono sostanzialmente due: un triangolare al settimo cielo e i peones del “resto del Paradiso”.

Allora se lo scudetto è un affare ristretto la scelta è ristretta.

Peccato, perché se la gara fosse aperta, Udinese, Lazio, Palermo e Sampdoria mi sarebbero molto simpatiche.

Vabbè, pazienza, trangugiamo l’amaro calice del Bologna in serie “B” e speriamo di vedere delle gran belle partite.


Sportivamente parlando: vinca la squadra migliore !

26 agosto 2005

Il volto nudo della sinistra

Il link del titolo riguarda la censura operata da un aggregatore e che ha colpito anche il Castello.

In questo post vengono disabilitati i commenti.
Chi vuole esprimere la propria opinione può farlo nel blog : il Castello

25 agosto 2005

Paura delle idee fa rima con censura ?

Il 16 agosto 2005, con un pubblico invito (il primo commento a questo post) i gestori di un aggregatore italiano aperto il 26 marzo 2005, mi informavano che ritenevamo questo blog, Blacknights, idoneo per entrare nella loro circuito.

Nessun costo, nessun obbligo se non quello di pubblicare il “rullo” con la presentazione degli ultimi post aggregati in ordine cronologico.

Bene, procedo all’iscrizione.
Mi arriva un caloroso benvenuto con tutti i codici, anche per partecipare ad un “concorso” sui blog ed ecco che tutto funzione, bene.

Fino ad oggi, quando mi accorgo che Blacknights è … sparito, dopo soli 8 giorni.
Nessun utente trovato”.

Guardo nella casella di posta: nessuna comunicazione.

Poffarbacco !
Vuoi vedere che si sono offesi perché non ho risposto al loro benvenuto ?
Scrivo alle 7 del mattino del 25 agosto:”Grazie per il benvenuto, ma … dove sono finito ?”.

Alle ore 16,30 del 25 agosto la mail è desolatamente vuota.

Naturalmente non mi sfiora neppure il pensiero che chi linka Indymedia e tutto un variegato ambito di siti sinistri come “fonte” (?!?) cui abbeverarsi per essere informati, possa fare quel che, nonostante la liturgia che ci ossessiona da 12 anni, neppure il bieco Berlusconi ha fatto: censurare le idee, anche se vengo a sapere che un altro Castellano ha subito la mia stessa sorte.

Sì, vabbè, la maggior parte degli aggregati sono di sinistra, sì, vabbè Blacknights è politicamente scorretto, anzi scorrettissimo, ma queste, piacciano o meno (e a me piacciono molto, quindi, visto che il blog è mio, non si cambiano) sono idee.

No, sicuramente ci sarà stato un problema tecnico e mi comunicheranno che tutto è stato risolto.

Anche perché censurare delle idee, con i mezzi che ci sono oggi, non significa impedirne la diffusione e, soprattutto, non ne cambia la natura, non ne modifica l’essenza, non trasforma le Verità in esse contenute che, se di censura si trattasse, non vogliono riconoscere e affrontare.

Per carità: lo strumento è gratuito ed i gestori hanno il diritto ad ammettervi chi meglio ritengono ma … allora perché invitarmi ?

Naturalmente mi aspetto dai bloggers di sinistra, sempre così solleciti nel denunciare ipotesi e nel formulare teoremi sulle (inesistenti) censure berlusconiane, una fortissima levata di scudi a difesa della mia libertà di espressione.

La democrazia è democrazia delle idee, non del pensiero unico che sa tanto di unione … sovietica.

24 agosto 2005

Elogio del Colonialismo

La vulgata sinistra ha manipolato la Storia ai propri fini propagandisti e non sembra esserci alcuna differenza tra le “correzioni” che venivano apportate alle vicende storiche dal protagonista di 1984” e quanto viene propalato ad arte dalla sinistra.
Al punto che è ragionevole ritenere che molti a sinistra siano effettivamente convinti che le cose stessero realmente come le hanno raccontate loro.

E’ così per la Guerra di Secessione Americana (più propriamente Guerra Civile o, meglio, Guerra fra Stati) influenzata dallo zio Tom della Stowe che nella sua capanna ha ospitato una miriade di luoghi comuni.

E’ così per la “caccia alle streghe” e l’Inquisizione come per la guerra nel Vietnam, le stragi in Italia che sono, per default, “Fasciste” anche senza prove, è così per il Ventennio.

E’ così anche per il Colonialismo, che sembra essere la causa di tanti masochismi e sciocchi sensi di colpa instillati nelle menti più deboli.

Diciamolo subito: il Colonialismo fu una pagina della nostra Storia di cui non solo non abbiamo alcun motivo di vergognarci, ma anzi possiamo andarne legittimamente fieri.

Se infatti pensiamo a quanti secoli sono stati necessari ai nostri Avi, quante sofferenze, quanti errori, per costruire la Civiltà di cui tutti adesso possiamo godere, non è possibile negare l’impatto positivo e l’accelerazione impressa nelle Colonie dalle amministrazioni Occidentali.

Chi ha diffuso ad arte, sotto l’influsso delle tesi marxiste, la favoletta sui biechi colonizzatori che non pensavano ad altro che a derubare poveri e ingenui indigeni che vivevano, a sentir loro, in una specie di Eden, ha guardato, e in modo assolutamente parziale (la qual cosa appartiene al dna della sinistra) a quello che è stato il Colonialismo nel suo sviluppo secolare.

Se infatti abbiamo avuto diverse fasi del fenomeno coloniale (anche ben prima di quel che è tradizionalmente considerato), la costante è stata l’invio in egual misura di strumenti di guerra e strumenti di pace, di uomini di guerra e uomini di pace.
I primi per pacificare e rendere abitabile e produttivo il territorio e i secondi per costruire
.

In aggiunta alle opere materiali, abbiamo portato a chi viveva allo stesso livello dei nostri Avi, prima di Roma, anche opere dell’ingegno, conoscenze e una cultura medica.

Tutto un complesso di quelli che, con termine moderno, chiameremmo benefits e che hanno consentito, di norma, un aumento della vita media, la drastica riduzione della mortalità infantile e la possibilità di far progressivamente fronte alle esigenze fondamentali della fame e della sete, per poi rivolgersi verso il nutrimento della mente (con la conoscenza e la cultura) e aspirare a quel superfluo che rende la vita degna di essere vissuta.

Questi i reali risultati del Colonialismo di cui, peraltro, hanno beneficiato, nell’antichità, anche in quella che oggi è gran parte dell’europa, compresa l’attuale Inghilterra, con la colonizzazione Romana.

Senza dimenticare che anche nazioni oggi ricche e potenti, come Stati Uniti e Australia, sono il frutto di una colonizzazione, senza la quale gli abitanti autoctoni non avrebbero mai raggiunto i livelli che, oggi, appartengono a tali nazioni.

Senza dimenticare quanta influenza abbia avuto, anche senza una colonizzazione diretta, l’Occidente anche per nazioni come il Giappone.

Senza dimenticare, ex contrario, quanto siano regrediti i paesi, soprattutto africani, dopo la fine delle amministrazioni coloniali, con esempi che vanno dalle nostre Etiopia, Eritrea e Somalia (Libia caso a parte grazie esclusivamente al petrolio, di cui peraltro beneficia in termini concreti la sola famiglia Gheddafi) per arrivare alle recenti e meno recenti Sudafrica, Rhodesia e Angola.

E, certo, anche senza dimenticare singoli atti di ferocia e di interesse personale, sempre presenti nella storia dell’Umanità, ma che non devono e non possono assurgere a paradigma per l’intera Epopea Coloniale come fa la manipolazione storica di scuola marxista.

Possiamo quindi ben essere orgogliosi di essere Occidentali e della nostra Storia, senza immotivati complessi di colpa.

23 agosto 2005

Aristocrazia al potere

Una battuta di Sandro Biondi ha messo in fibrillazione le veterofemministe diessine, nelle quali, nonostante gli anni, o forse proprio per la nostalgia dovuta agli anni, cova ancora il sacro fuoco del movimento femminista che fu.

Avendo sempre preferito, in una donna, la femminilità al femminismo mi è venuto da ridere al pensiero della reazione della signora Vittoria Franco (che immagino abbia per l’occasione indossato la tunica larga di prammatica nelle manifestazioni femministe d’antan) che, dopo l’affermazione di Biondi per cui, vincendo nel 2006, la CdL formerà un governo di cui il 50% dei ministri sarà in rosa, ha preso carta, penna e calamaio, in preda ai sacri furori femministi, per redigere un bilancio ragionieristico delle ministre donne negli anni bui della sinistra al governo e dei ministri donna negli anni felici dell’Italia di Berlusconi.
Giungendo alla conclusione che nel governo D’alema ben il 20% dei ministri erano donne.
Sì, ma si è dimenticata di ricordare gli ottimi risultati (absit iniuria verbis !) ottenuti dalla Iervolino agli Interni (subito sostituita da Bianco) e della Bindi alla Sanità (sostituita da Veronesi).

Ministri donna del Centro Destra



Ministri donna della sinistra




Ma il punto non è che ci sia un ministro donna in più o in meno, perché il sistema delle “quote panda” è un sistema che avvilisce per prime le donne stesse che vogliono fare politica, perché è la certificazione legale della loro incapacità: non siete in grado di farcela da sole, quindi noi vi riserviamo una quota.

Molte donne, infatti, rifiutano giustamente questo sistema che è un insulto alle tante donne “capaci e meritevoli.

Non si pone il problema di predeterminare quante donne potranno essere candidate o ministro, ma quello di scegliere le persone migliori, siano esse donne o uomini, insomma una autentica aristocrazia al potere nel pieno significato etimologico del termine.

E non testimonia a favore delle donne diessine la reazione della loro rappresentante a quella che non è altro che una battuta di Biondi per promuovere il suo libro.

22 agosto 2005

Diritto di rappresaglia

La guerra è una delle attività più antiche dell’Umanità.
Non c’è periodo nel quale non si siano registrate guerre, “mondiali” o locali.

"La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi".
Karl Von Clausewitz.

Ed è valida anche la inversione dei termini, per cui la politica non è che la continuazione della guerra con altri mezzi.

Crudeltà compiute contro il nemico vinto e crudeltà compiute dal nemico ormai vinto in una disperata resistenza.

Per questo, nel corso degli anni, una serie di Convenzioni (L’Aia, Ginevra) hanno fissato alcuni criteri per tutelare chi in guerra ha perso tutto tranne la vita, ma anche chi risulta vincitore dello scontro.
Vengono così fissate norme per il trattamento dei prigionieri di guerra e per la definizione degli stessi.
Ma vengono fissate norme anche a garanzia dei vincitori.
Queste norme si riassumono in un diritto che, in quanto tale, affonda le sue radici nella storia e nella logica: il diritto di rappresaglia.

Io sono aggredito, quindi rispondo cercando di infliggere a chi mi aggredisce un danno ben maggiore di quello subito per dissuaderlo dal compiere ulteriori atti.

Questo diritto di rappresaglia è stato riconosciuto legittimo dal Tribunale di Norimberga:"le misure di rappresaglia in guerra sono atti che, anche se illegali, nelle condizioni particolari in cui esse si verificano possono essere giustificati: ciò "in quanto l'avversario colpevole si è a sua volta comportato in maniera illegale e la rappresaglia stessa è stata intrapresa allo scopo di impedire all'avversario di comportarsi illegalmente anche in futuro."
E trova la sua codifica nella Convenzione dell’Aia: "La popolazione ha l'obbligo di continuare nelle sue attività abituali astenendosi da qualsiasi attività dannosa nei confronti delle truppe e delle operazioni militari. La potenza occupante può pretendere che venga data esecuzione a queste disposizioni al fine di garantire la sicurezza delle truppe occupanti e al fine di mantenere ordine e sicurezza. Solo al fine di conseguire tale scopo la potenza occupante ha la facoltà, come ultima ratio, di procedere alla cattura e alla esecuzione degli ostaggi".
La stessa carta dell’onu, all’art 51 prevede il diritto alla legittima difesa che altro non è che l’applicazione del diritto di rappresaglia, definito con altre parole che oggi diremmo “politicamente corrette”: Articolo 51: “Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell'esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell'azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale."
Da tale articolo deriva la legittimità dell’intervento degli Stati Uniti e dei suoi Alleati in Afghanistan e Iraq.

Ci troviamo ora davanti ad una aggressione continuata e indiscriminata negli obiettivi.
L’aggressione del terrorismo musulmano che colpisce (o cerca di colpire) l’Occidente in quanto tale, con la finalità di distruggere la nostra società, minando la resistenza morale dei cittadini e danneggiando l’economia.

A questa aggressione è legittimo rispondere con delle rappresaglie che rappresentino un severo monito al nemico.
Un monito tanto più forte e devastante quanto più insistente e mortale diventa l’aggressione del terrorismo.
Un monito che tenga anche conto dei fattori psicologici e, soprattutto, della mentalità delle popolazioni che offrono terreno fertile al terrorismo.

La coscienza comune in Occidente rifugge dal pensare a reazioni (rappresaglie) ritenendo che con il “dialogo” si possano risolvere i problemi.

Questo è vero tra persone civili, questo è vero tra stati democratici.
Infatti nessuna guerra è scoppiata negli ultimi cento anni tra stati retti da democrazie.
La prima guerra mondiale ha visto democrazie quali Gran Bretagna, Italia e Francia, opposte alle monarchie assolute di Germania e Austria.
La seconda guerra mondiale ha visto Stati Uniti e Gran Bretagna, battersi contro l’Asse.
In Corea gli Stati Uniti hanno combattuto contro uno stato comunista e così pure in Vietnam.
Israele è una democrazia, l’unica del Medio oriente) ed ha combattuto 4 guerre contro gli stati dittatoriali arabi.
La Gran Bretagna (democratica) ha combattuto contro l’Argentina (dittatura) per liberare le Falklands occupate da un blitz della dittatura militare di Buenos Aires.
La Grecia dei Colonnelli ha combattuto per Cipro contro la Turchia.
La Coalizione degli stati democratici e civilizzati ha combattuto due volte contro l’Iraq di Saddam e contro i talebani in Afghanistan.

E’ quindi evidente che il dato di fondo delle guerre è l’esistenza di stati retti da dittature, nei quali la libertà di pensiero è sconosciuta, come pure la circolazione libera di informazioni e istruzione.

A questo punto non possiamo applicare a questi stati gli stessi criteri che applicheremmo nel caso di una controversia con un’altra nazione democratica, ma dobbiamo ricorrere a strumenti più convincenti e necessariamente coercitivi.
Possono essere sanzioni economiche o, nel caso di aggressioni, il ricorso alla forza, come espressione di legittima difesa/rappresaglia.

George Bush, Tony Blair e Silvio Berlusconi lo hanno capito.
Quando tutte le nazioni Civili ne saranno convinte, sperando che ciò non debba accadere dopo ulteriori lutti, allora la partita contro il terrorismo musulmano sarà entrata nella fase finale e saremo ad un passo dal vincere, dopo la terza guerra mondiale contro il comunismo, anche questa quarta guerra mondiale contro il terrorismo musulmano.

21 agosto 2005

21 agosto 1968:carri armati comunisti a Praga

Nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968 i carri armati del Patto di Varsavia entrarono in Cecoslovacchia per soffocare quella che sarebbe passata alla Storia come la “Primavera di Praga.

Ancora una volta, dopo Budapest 1956, l’ideologia comunista mostrava il suo vero volto repressivo, totalitario e sanguinario.

E dire che la “Primavera di Praga” era niente più che un timidissimo rinnovamento interno al partito comunista cecoslovacco che aveva portato alla sostituzione del vecchio trombone Novotny con una sorta di “trojka” (allora molto di moda a quelle latitudini) di comunisti ortodossi come Svoboda, Cernik e Dubcek che poi divenne il simbolo del tutto, suo malgrado.

Eppure il comunismo non ammette neppure il ringiovanimento della propria classe dirigente.
Infatti i tirannosauri comunisti, magari mummificati come apparivano durante le parate del primo maggio, restavano al potere a vita, come gli antichi monarchi assoluti.

Storie d’altri tempi, diranno alcuni, ma che devono opportunamente essere ricordate ai più giovani che forse danno tutto per scontato.

Perché di scontato non c’è nulla.

Infatti vediamo che i tristi epigoni di quel comunismo, fatto un semplice atto di contrizione, sono in Italia nuovamente all’opera.

Non ne hanno azzeccata una nel passato (Budapest e Praga insegnino, ma anche la scelta contro la NATO e contro i Pershing e Cruise) eppure continuano a sentenziare, candidandosi alla guida del paese, sfruttando la foglia di fico che viene loro offerta dai democristiani di sinistra, novelli Kerenskj.

Nell’alleanza di sinistra, infatti, la “maggioranza azionaria” è detenuta dagli epigoni di quel comunismo e poco importa che siano comunisti vetero, neo, ex o post, sempre di comunisti si tratta.

I dirigenti attuali, erano dirigenti o iscritti o simpatizzanti della FIGC all’epoca dell’invasione della Cecoslovacchia e sono cresciuti a feste dell’Unità e bandiere rosse, manifestazioni antiamericane (non hanno perso questo vizio) e pugni chiusi.

Ma se anche volessimo, con un colpo di bacchetta magica, ripulire chi ha abiurato al comunismo con una comoda e conveniente contrizione, i partiti che ancora si richiamano nel nome e nell’ideologia (Rifondazione Comunista, Partito Comunista d’Italia) a quel male assoluto che fu il comunismo, rappresentano una percentuale determinante (circa l’8%) della sinistra, senza la quale Prodinotti non avrebbe alcuna speranza di vittoria.
Se poi aggiungiamo anche quei voti appartenenti alla galassia no global ed ecoambientalista, vediamo che la sinistra, pronubi i democristiani della Margherita, è ostaggio degli epigoni del comunismo che invase Budapest e Praga.
Così non è male ricordare quel che accadde la notte tra il 20 e il 21 agosto 1968 e il modo migliore per onorare chi si immolò contro il comunismo (come lo studente Jan Palach che il 16 gennaio 1969 si diede fuoco contro l’occupazione sovietica) è impedire che gli epigoni di quel comunismo possano governare e fare ancora, altri danni.

20 agosto 2005

Dopo Gaza la pace?Illusione!

A sinistra giudicavano Sharon un nazista, un massacratore, il Diavolo in persona (a sinistra hanno sempre bisogno di un Diavolo: Bush, Berlusconi, Sharon … per distogliere l’attenzione dal vuoto progettuale che la permea).

Adesso sono tutti aggrappati a Sharon, divenuto l’Angelo della pace, perché sta ritirando gli Israeliani dai territori colonizzati e in 30 anni di lavoro, resi fertili e produttivi.

A parte la considerazione che tutto quel lavoro andrà sprecato perché quel che gli Israeliani hanno costruito, verrà lasciato andare in rovina da chi non è in grado di rendere produttiva una terra così difficile, soprattutto se abituato a sbarcare il lunario grazie alle sovvenzioni internazionali e non grazie al proprio lavoro, l’illusione della pace sembra crollare ancor prima che sia terminato il ritiro.

Un esagitato Abu Mazen, il rimpiazzo di Arafat, ha infatti dichiarato che la “liberazione” (sic !) di Gaza è frutto della lotta dei “martiri” (doppio sic !) palestinesi morti o detenuti nelle carceri israeliane.
E la sparata di Mazen segue a ruota l’affermazione di Hamas secondo la quale continuerà la guerra contro Israele.

Stranamente non ho trovato queste affermazioni in nessuna rassegna stampa (nel titolo ho linkato un post di Lisistrata ) e mi devo basare sulle immagini di un telegiornale di ieri sera.

Ma l’esagitato Mazen e l’organizzazione terrorista Hamas non fanno altro che ribadire quella che è sempre stata la politica araba e musulmana: Israele non deve esistere.
E la mistificazione della realtà ad usum delphini (che in questo caso è il popolo musulmano, palestinese e arabo in primis da tenere nella più crassa ignoranza) deve far apparire e far credere che il ritiro degli Israeliani dalle Colonie, sia una vittoria e non sia effettuato perché Israele, grazie alle esecuzioni mirate dei capi terroristi e al muro di difesa, è più sicuro.
Così si perpetua la volontà di “spazzare via” Israele.

Ho già scritto che più concreta mi sembrava la posizione di Netanyahu e auspicavo che gli Israeliani lasciassero i Coloni sulla loro terra, per stare a vedere quale sarebbe stata la “tolleranza” che i musulmani avrebbero avuto neo loro confronti e che pretendono quando si installano a casa nostra.

Sharon ha preferito attenersi al suo piano, pensando di avere di fronte interlocutori al suo livello.

E’ anche corretto dar conto di posizioni, come quelle dell’amico Freedomland , che guardano con perplessa speranza al processo di pace, anche valutando il fatto che, qualora i palestinesi dovessero tornare ad aggredire Israele, almeno ci sarebbe uno stato sovrano e con un territorio definito contro cui far scattare la rappresaglia.

Personalmente credo però che prevenire sia meglio che reprimere.
Israele aveva domato il terrorismo, mettendo la sicura ai suoi confini.
Perché rischiare di dove ricominciare tutto da capo ?
Per una pace che i musulmani rifiutano ?
Illusioni. E sono anche le illusioni cause non secondarie delle guerre.

E vorrei ricordare il comportamento di Arafat a Camp David nel 2000 (poco più di cinque anni fa, tra l’11 e il 25 luglio, Clinton regnante) , quando davanti ad un Barak che aveva offerto persino le mutande (e per questo fu giustamente sconfitto alle elezioni ed è scomparso dalla scena politica israeliana) il capo terrorista palestinese continuava a chiedere sempre di più.
Non voleva la pace.
Come non la vogliono i suoi eredi e antichi compari del terrore.
Non esistono musulmani moderati.

19 agosto 2005

L'Italia che vorrei

Aprile 2006. Al termine di una entusiasmante campagna elettorale, Silvio Berlusconi torna a vincere le elezioni e porta a casa 360 seggi alla Camera e 180 al Senato. Che gli dei abbiano rivolto il loro benevolo sguardo all’Italia è anche dimostrato dal fatto che, dopo un “tam tam” promosso dai blog di Centro Destra, tutti i candidati dell’UDC (ad eccezione di Giovanardi alla Camera e D’Onofrio al Senato) sono stati bocciati nei rispettivi collegi, cosicchè dei 360 deputati, 259 sono di Forza Italia, 60 della Lega e 40 di Alleanza Nazionale, 1 (Giovanardi) dell’UDC e dei 180 senatori, 120 sono di Forza Italia, 30 della Lega e 29 di Alleanza Nazionale, 1 (D’Onofrio) dell'UDC partito che non ha neppure raggiunto il 4% nel proporzionale e, quindi, non ha partecipato alla ripartizione dei seggi.

Maggio 2006. Vengono eletti i presidenti delle Camere. Al Senato viene confermato Marcello Pera, alla Camera, al posto del trombato Casini, viene eletto Maurizio Gasparri di Alleanza Nazionale.
Berlusconi forma il suo 4° governo. Fini e Tremonti restano Vicepremier, il primo anche come Ministro degli esteri il secondo come superministro dell’Economia, Martino alla Difesa, Castelli passa agli Interni e alla Giustizia si insedia Carlo Giovanardi.
Scade il mandato di Ciampi. Al suo posto, alla quarta votazione, con i voti della sola Maggioranza, viene eletto Marcello Pera.
Roberto Calderoli diventa Presidente del Senato.
Inizia la resa dei conti in una sinistra frantumata dall’esito inaspettato delle elezioni.
Prodi è in perenne trance durante una seduta spiritica nella quale cercava di capire le ragioni della sconfitta.
D’Alema si rifugia a Starsburgo.
Fassino fugge dal botteghino travestito da tenente Sheridan.
Bertinotti e Cofferati vengono assunti in una catena di montaggio della Fiat (e capiscono cosa voglia dire lavorare)
Pecoraro Scanio accusa Rutelli, che accusa Di Pietro che accusa Cossutta.
Mastella fa sapere di essere sempre stato un berlusconiano di ferro e che se la sinistra ha perso le elezioni è merito della sua azione all’interno delle linee nemiche.

Giugno 2006. Berlusconi, dopo aver sistemato i passaggi istituzionali e forte della maggioranza stabile e senza rompiscatole udicini, presenta al consiglio dei ministri il piano dei cento giorni:
sicurezza: pena di morte per terroristi
immigrazione: quote annuali, coperte con immigrati provenienti da paesi non musulmani, con espulsione immediata di tutti gli altri e respingimento attivo delle imbarcazioni di illegali. Censimento dei musulmani nel frattempo regolarizzati, con obbligo di risiedere in specifiche zone e quartieri e coprifuoco dalle 22 alle 6.
imposte abolizione nei 5 anni dell'Irap e riduzione delle imposte al 10% fisso, per tutti, con modifica costituzionale
pubblico e privato: tutti i servizi vengono ceduti ai privati, con obbligo dello stato di manenere una sussidiarietà nel caso di lacune o assenza dei privati. La Rai venduta ai privati.
federalismo si completa la riforma federalista conferendo pieni poteri alle regioni in tutti i campi ad eccezione della politica estera, difesa, giustizia (con le eccezioni che vedremo) e con la creazione di un Corpo di polizia federale. Il Parlamento viene diviso tra Camera dei Rappresentanti (eletti con maggioritario secco e nel numero di 400) e Senato (eletti in numero di 5 per ognuna delle 20 regioni, con maggioritario secco su base regionale). Il presidente della repubblica assomma i poteri di premier e viene eletto dai cittadini ogni 5 anni.
giustizia si completa la riforma Castelli, provvedendo all'elezione diretta, entro il 2007, dei p.m. da parte dei cittadini, su base locale e tra chi risiede da almeno dieci anni. Mandato rinnovabile massimo per tre volte della durata di 5 anni. Ineleggibilità dei magistrati uscenti (che, decaduti dall'incarico, vengono automaticamnte iscritti nell'albo degli avvocati) per i primi due mandati (10 anni).
Nomina dei Giudici tra avvocati e giuristi di esperienza e fama.
La nomina è fatta dal Consiglio Regionale su proposta del presidente della Regione, a maggioranza qualificata dei 3/5, per le corti locali.
Dalla Camera dei Rappresentanti per la Corte di Cassazione e dal Senato per la Corte Costituzionale.
politica estera progressivo sganciamento dall'euro e dall'europa di Prodi e Ciampi. Attivazione di un mercato comune economico tra tutte le nazioni civili. Lotta senza tregua ai terroristi, a chi li sostiene in Occidente e per ampliere le libertà nel mondo. Applicazione del principio di reciprocità in materia di diritti.


Giugno 2010 Viene inaugurato il Ponte sullo Stretto di Messina chiamato a furor di popolo: Ponte Silvio. L'Italia oltre ad essere il paese più bello del mondo diventa anche il paese più ricco. In prima fila ad applaudire si riconoscono: Nanni Moretti, Santoro, Enzo Biagi, Sabina Guzzanti, Travaglio, Luca Cordero di Montezemolo, Sergio Cofferati, Vincenzo Visco e Luttazzi....
I principali giornali stranieri titolano: "L'Italia di Berlusconi cresce e si consolida".

E' l'Italia che vorrei.
Meno stato e più Libertà.
Meno tasse e più impresa.
Meno Casini e più Berlusconi.

18 agosto 2005

B come Bologna

Game over.

Sapevamo che Bologna era destinata ad un rapido declino quando, nel giugno del 2004, la maggioranza dei cittadini ha scelto di abbandonare la concretezza dell'amministrazione della città per ritornare alle scelte dettate dall’ideologia, eleggendo un sindaco sindacalista cremonese, avulso, come la sua giunta, dalla realtà bolognese (e lo ha dimostrato il fallimento dell’estate bolognese organizzata dall’ex direttore di rai tre Guglielmi) e rimandando a casa Guazzaloca, sindaco bolognese e bravo amministratore, ma la compilazione dei calendari ha sancito che anche la squadra di calcio è retrocessa in serie “B”.

Una retrocessione che avevamo rimosso cullandoci nella battaglia legale di Gazzoni e che, invece, è riapparsa certificando il risultato del campo.

Come è giusto che sia per una squadra che negli ultimi 4-5 anni ha solo venduto senza nulla costruire, affidandosi al tocco fortunato di San Guidolin prima e di San Mazzone poi e, soprattutto, al fondo schiena del patron Gazzoni.

Ma anche la fortuna, ad un certo punto, abbandona gli audaci.

E di audacia si può certo parlare quando si struttura una squadra con giocatori a parametro zero, svincolati e in cerca di improbabili riscatti.

Ma quello è il passato.

Gazzoni farebbe bene a fare quel che avrebbe dovuto sin dall’inizio, dopo la sconfitta nello spareggio con il Parma: dare a Ulivieri quei 5-6 giocatori necessari a costruire una buona formazione, in grado di competere nel lunghissimo campionato di serie “B”.

E lasci stare i ricorsi, il suo atteggiamento ha già creato al Bologna tanti nemici e con strategie opinabili con il risultato di finire cornuto e mazziato: in serie “B” e con alcune nuove antipatie tra le squadre minori, dopo aver negli anni accumulato quelle di Roma, Lazio e di tutta la serie “B”.

Già, perché è opportuno ricordare come Gazzoni sia stato il principale artefice di quell’accordo che riduce i trasferimenti dei diritti televisivi alle squadre di serie “B”: una perfetta nemesi.

Di buono c’è che sembrano svegliarsi gli imprenditori bolognesi che “non ci stanno” a vedere la squadra, che faceva “tremare il mondo” e che “giocava come in Paradiso”, vivacchiare nelle categorie inferiori.

Vedremo se alle parole, seguiranno i fatti, cioè l’afflusso di denaro fresco, come ha fatto Della Valle nella Fiorentina.

E c’è di buono anche che noi, tifosi del Bologna ( e saremo sempre tali, in qualsiasi serie giocherà la squadra, perché il Bologna è una Fede ) ma anche amanti del bel calcio, ci gusteremo, senza patemi, le migliori partite del campionato, senza essere “parte”, ma potendo gustare le acrobazie e i virtuosismi di autentici campioni che speriamo di tornare a vedere presto giocare sotto le Due Torri con indosso una maglia rossa e blu.

17 agosto 2005

Carosello:non è vero che tutto fa brodo



Se una generazione rappresenta temporalmente un periodo di 25 anni, Carosello ha cresciuto una generazione quasi completa.

Il 3 febbraio 1957 la sua apparizione (ma la data in cui doveva andare in onda era il 1° gennaio 1957) e l’ultimo Carosello è del 1° gennaio 1977.

Venti anni.
Tanti quanti ne occorsero ai Tre Moschettieri per ritrovarsi, invecchiati e con tante avventure alle spalle.

Una intera generazione è nata e cresciuta con Carosello.

8 anni di scuola dell’obbligo, 5 anni di superiori e 4/6 anni di università.
Venti anni, circa
.

I ricordi di Carosello sono indissolubilmente legati ai propri e sarebbe fare un torto stilare delle classifiche di quelli che oggi chiameremmo “spot”, ma erano autentiche perle televisive, storie complete, o a puntate, che relegavano la pubblicità del prodotto ai soli secondi finali (pochi o tanti a seconda degli accordi annuali stipulati), tutte racchiuse in un massimo di tre minuti.

E, quindi, solo per quel che mi riguarda non posso negare la prima citazione al Carosello della Chinamartini, con due grandissimi attori di teatro come Ernesto Calindri (che ottenne la celebrità con un’altra pubblicità, quella del Cynar che, “contro il logorio della vita moderna”, beveva, anzi, sorseggiava tranquillamente seduto ad un tavolino posto in mezzo ad una strada di grande traffico, incurante delle automobili che “sfrecciavano” da ogni parte) e Franco Volpi (grande caratterista, di cui qui mi piace ricordare nell’interpretazione del procuratore gerarchicamente superiore, ma che pendeva dalle sue intuizioni, al Maigret di Gino Cervi).
Una pubblicità quella di Chinamartini che vedeva i Nostri lanciare il tormentone del “dura minga, dura no”, benpensanti di varie epoche (sin da quella preistorica, con Volpi che dice a Calindri “ha sentito che dicono di aver inventato la ruota?” e Calindri di rimando “sì ho sentito, ma …dura minga”) che con tono di sufficienza manifestavano scarsa considerazione per le innovazioni di cui venivano a conoscenza.
E poi il Carosello di Negroni, autentici mini film western, con “la stella di sceriffo a difesa della legge, la stella di Negroni a difesa della qualità” e il ritornello di prammatica: “le stelle sono tante, milioni di milioni, la stella di Neuroni, vuol dire qualità”.

E il mio podio personale si completa con il genere “giallo” : l’Ispettore Rock, Cesare Polacco, che smaschera tutti i criminali ma … anche lui ha fatto un errore: non ha mai usato la brillantina Linetti e così mostra, contrito, il cranio lucido, quando ancora non era di moda il taglio a zero e il tenente Kojak non aveva dato lustro ai … calvi polizieschi.

E poi tanti altri, da Salomone pirata pacioccone, con i suoi compari, sempre alla ricerca del tesoro di cui grazie all’Amarena Fabbri, che fa parlare meglio di una tortura, viene a conoscere l’ubicazione, all’Alemagna di Gilberto Goviullallà è una cuccagna”.


Lavazza/Paulista con il caballero misterioso che cerca la bellissima donna che ha visto sul giornale e “s’ode un grido nella pampa: Carmencita abita qui ?”.




La Philco del pianeta Papalla e “Ava come lava” con il pulcino “piccolo e nero”. Nero ? Noooooo, solo sporco (battuta che oggi sarebbe impensabile, perché piacevolissimamente, politicamente scorretta !).



La Cera Liù di Gregorioer fusto der Pretorio, fa’ la guardi nun mè piace, c’ho du metri de torace” e i vari oli, Bertolli e Dante.

E tanti altri per circa 70 ore di programmazione, raccolta alcuni ani fa in una trasmissione rievocativa “Carosello Carosello”.

Non è vero che tutto fa brodo.

Difficilmente, trent’anni dopo, si ricorderanno le pubblicità “senz’anima arrivate dopo la chiusura di Carosello, voluta nel pieno del compromesso storico, quando venne fuori la azzeccatissima battuta che voleva che in RAI, su dieci assunti, quattro fossero DC, tre PCI, due PSI e uno … bravo.

12 agosto 2005

I sopravvissuti: un nuovo inizio dell’umanità

Veniamo alla terza seriecult” dedicata a chi negli anni settanta navigava intorno ai vent’anni e a tutti coloro, di qualsiasi età, cui piace volare con la fantasia.

I sopravvissuti 38 episodi, divisi in tre serie prodotte dalla BBC tra il 1975 e il 1977.



Il libro di Terry Nation uscì nel 1978 (ma con un finale diverso, assolutamente pessimista).



Telefilm inglese e sicuramente influenzato dal capolavoro di John Wyndham “Il giorno dei Trifidi”.

Un incidente di laboratorio sprigiona un virus mortale che, in breve tempo, prima che si riesca a trovare un antidoto, si diffonde in tutto il mondo.
Eccezionale l’impatto emotivo delle scene iniziali, con il biologo contaminato che diffonde prima in aereo, poi in un congresso scientifico, il virus che, così, raggiunge tutto il mondo.

Sopravvivono in pochi.
Chi è naturalmente immune e chi ha vinto la malattia.
Il telefilm narra le vicende di un gruppo di inglesi sopravvissuti.

Caratteri diversi, ma tutti protesi ad uno scopo: la sopravvivenza, nella consapevolezza che il futuro dell'Uomo sulla Terra sarebbe dipeso dalla loro capacità di superare la catastrofe.

La prima serie ha avuto come protagonista assoluta Carolyn Seymour nella parte di Abby Grant, guarita dalla malattia, alla ricerca del figlio e a capo di una comunità di sopravvissuti, spesso in contrasto con l’altro “capo” Ian McColluch (Greg), anche se uniti contro chi, sfruttando l’assenza di ogni regola, vuole imporre la legge del più forte.



Sicuramente la prima serie ha un impatto più forte della seconda (la terza serie non è stata mai trasmessa in Italia).

Una particolarità: la serie è stata vista prima grazie alla TSI (Televisione della Svizzera Italiana) che in quegli anni rappresentava l’unica alternativa, almeno per il Nord Italia, al monopolio RAI, assieme a TeleCapodistria e TeleMontecarlo.

Di questo telefilm, che pure ha rappresentato l’apripista di un genere che ha, forse, avuto la sua punta con Virus letale (film del 1994 con Dustin Hoffman, René Russo e Donald Sutherland) non esistono cassette o dvd, tanto che gli appassionati, che si ritrovano in un gruppo di discussione cui ci si può iscrivere, scrivendo a isopravvissuti-subscribe@yahoogroups.com, hanno promosso una petizione per richiedere che il telefilm sia nuovamente trasmesso in Italia, completato con la terza serie inedita per noi e siano anche prodotti i Dvd in Italiano (esistono solo in lingua originale).

Chissà che il futuro SCI FI Channel non possa, a quasi 30 anni di distanza, farci vedere come è finita l’avventura dei Sopravvissuti.


Allora come ora, nel vedere questi prodotti del “dopo catastrofe” o leggendo romanzi come “Il Giorno dei Trifidi” o “I trasfigurati” sempre di John Wynadham, mi domando: come ce la caveremmo noi, uomini del presente, con le nostre conoscenze parziali e settorizzate, se dovessimo trovarci nella necessità di sopravvivere, senza tutti i servizi e i prodotti della nostra Civiltà ?

11 agosto 2005

Spazio 1999: addio alla Luna

Continuando nell’excursus estivo sui cult dell’adolescenza e con una logica consecutio, arriviamo a Spazio 1999 , prodotto dalla stessa fortunata coppia Gerry e Sylvia Anderson.





UFO aveva ottenuto un grande successo e allora si stava preparando una terza serie, con un soggetto innovativo: gli Alieni attaccavano base Luna che si staccava e andava alla deriva nel cosmo con tutto il suo personale.

Nel corso del progetto fu deciso di abbandonare il vecchio UFO per dar vita ad una serie nuova di zecca: nasce così Spazio 1999.

Il primo episodio è un tipico prodotto inglese: dalla quieta normalità, con un crescendo wagneriano, si arriva al distacco della Luna dall’orbita terrestre ed al suo vagabondare per le stelle, con avventure di ogni genere, incontrando alieni buoni e cattivi.





E caratteristico anche il personaggio del politico supervisore, arrogante e pieno di se, che rimane bloccato su Base Alpha e … farà una brutta fine, figlia della sua grettezza, alcuni episodi dopo.

Il telefilm (del 1973, arrivato in Italia due anni dopo) consta di due serie, la prima di produzione italo inglese e la seconda preparata specificatamente per il mercato americano.

Dal mio personale punto di vista è meno avvincente di UFO, ma ugualmente godibile.

I personaggi sono ben caratterizzati (attori di spessore come Martin Landau, la moglie Barbara Bain e Barry Morse) e ha una suo pubblico di affezionati fans e probabilmente ha avuto anche più successo rispetto a Ufo, sfruttando anche la ripresa della fantascienza di fine anni settanta e le tecnologie più perfezionate che sono state messe in campo.





Nel 1973, l’anno 1999 doveva sembrare abbastanza lontano per ambientarvi un telefilm che prende l’avvio da un disastro non di poco conto (il distacco della Luna dall’orbita terrestre provocherebbe un bel po’ di sconquassi nel nostro piccolo globo !).

Era un’abitudine di quegli anni pensare ad un futuro abbastanza vicino figlio di eventi catastrofici (non vorrei che gli attuali ecoambientalisti siano cresciuti guardando troppa fantascienza ) e viene alla mente un (bel) film con Charlton Heston, intitolato 1975:occhi bianchi sul pianeta Terra del 1971 (tratto da un romanzo di Richard Matheson) dove si immaginava la Terra dopo una guerra batteriologica.


E se le arti non sono altro che la rappresentazione delle sensazioni e dei sentimenti dell’autore, non possiamo che essere confortati da questi film e telefilm del nostro recente passato: la realtà non è mai così brutta come spesso si indulge a dipingerla.

10 agosto 2005

Calcio all'americana

Come stile ?
Come diffusione ?
Come prodotto ?
No, come regole di partecipazione ai campionati.

L’amico Freedomland ha prodotto una serie interessantissima di schede sulle squadre di calcio, partendo dalla Juventus campione d’Italia per arrivare, attraverso Milan e Inter , alle formazioni “terrestri” del calcio italiano.

Salta subito agli occhi che tutte le squadre, ma soprattutto le prime tre della classe, hanno caratteristiche multinazionali.
Gli italiani sono pochi, spesso non sono neppure presenti nella ipotetica formazione titolare se non in feroce competizione con uno straniero.

La sentenza Bosmann è stata deflagrante per il calcio.
Equiparare i calciatori a lavoratori dipendenti mi è sempre sembrato una forzatura.

Il risultato è che chi può permettersi di spendere, può permettersi anche di pagare osservatori e ridurre il rischio di acquistare un bidone, ancorché col nome straniero o negro di pelle.

Questo ha determinato un divario sempre più accentuato tra le prime tre della classe e le altre squadre che, una volta, pure riuscivano a inserirsi e a vincere o arrivare vicino alla vittoria dello scudetto (il Bologna di Bulgarelli, il Cagliari di Riva, il Verona di Galderisi, tutte scudettate e il Vicenza di Rossi solo secondo).
Negli ultimi dieci anni solo le romane sono riuscite ad inserirsi tra Milan e Juventus (l’Inter non vince, ma credo che ciò sia da attribuire a motivi diversi che non alla mancanza di soldi ……) rischiando poi una brutta fine avendo speso più di quanto potessero permettersi.

Ma la piazza vuole il “nome” straniero a tutti i costi e il presidente compra il primo “Paulo Roberto Cotechino” che trova sul mercato, oppure rincorre vecchi campioni alla ricerca di squadre dove poter continuare ad essere i primi della lista e dove tutto è costruito su di loro e tutti giocano per loro, senza preoccuparsi del vivaio.

Da qui anche i non esaltanti risultati della nazionale.

Quale alternativa, dunque ?

Un campionato senza retrocessioni, nel quale le varie serie siano composte in base a parametri specifici che possano garantire ad una società, liberata dall’obbligo del non retrocedere, di programmare a lungo termine, investendo sul vivaio (con beneficio per i propri bilanci e della nazionale) e potendosi quindi in prospettiva presentarsi competitiva anche per lo scudetto.

La fine dell’assillo della retrocessione, infatti, consentirebbe di rinunciare a pagare ingaggi stratosferici a campioni avviati sul viale del tramonto, per dirottare risorse sui giovani e sul loro addestramento, giovani che, nel volgere di qualche anno, potranno formare una squadra in grado di competere ad alto livello, rendendo il campionato stesso più appassionante.

Una simile norma costringerebbe anche i grandi clubs a rivedere la loro politica di acquisti esterofili, per limare le uscite di bilancio, e a organizzare a loro volta un vivaio degno di questo nome, legando ancor più la squadra alla città, visto che il vivaio dei futuri giocari sarà necessariamente e prevalentemente composto da ragazzi di quella specifica città.

Ma quali i parametri da prendere in esame ?

Non possono che derivare sia dai titoli sportivi acquisiti in un secolo (poco più) di storia del calcio, che da considerazioni oggettive di bilancio, di bacino di utenza, quindi di capacità di sostenere, con l’autofinanziamento derivante anche dalla cessione dei diritti televisivi, l’organizzazione di un club di serie “A”.

Così:
- il numero di partecipazioni ai campionati di serie “A”
- gli scudetti vinti
- il numero dei tifosi
- la regolarità dei bilanci
- la solidità della struttura societaria
- la disponibilità e la capienza di uno stadio adeguato ad un pubblico numeroso
- la omogenea rappresentanza per tutto il territorio nazionale
sono tutti elementi che possono entrare nei parametri per far parte della serie “A”.

E se risultassero possedere simili requisiti ben più delle attuali 20 squadre che formano la serie “A” ?

Nessun problema: due gironi, con play off.

Probabilmente ne guadagnerebbe lo spettacolo e il calcio stesso, anche quello in azzurro.

09 agosto 2005

UFO: Shado chiama base Luna

Chi si ricorda della serie di Gerry e Sylvia Anderson, “UFO” ?



Era l’inverno del 1970 e i primi episodi (alcuni addirittura “censurati” dalla pudica Rai dell’epoca) venivano trasmessi alla domenica pomeriggio dalla televisione di stato ( in regime di monopolio assoluto).

Ai ragazzi di 13-14 anni di allora, che cominciavano ad appassionarsi alla fantascienza dalle colonne della mondadoriana Urania, e che solo l’anno precedente, con l’ “allunaggio” del LEM, avevano potuto godersi un anteprima, con una “scorpacciata” di film di fantascienza, riesumati per l’occasione, si apriva il fantastico mondo delle “serie adulte” di fantascienza televisiva.

Il ricordo per il 13-14enne di allora è e rimane strettamente legato al bianco e nero.
Al magnetismo del Comandante Straker e ai capelli, che poi scoprimmo essere (parrucca) viola, del tenente Ellis (sua una delle scene “censurate”, quella in cui rimaneva, cambiandosi dopo il servizio su base Luna, in reggiseno …… ); alla sigla iniziale e al ronzio dell’Ufo in avvicinamento.

Due serie, 1969 e 1970, da noi negli anni successivi, che fecero da apripista a Spazio 1999 e, poi, a Star Trek, i cui episodi erano temporalmente precedenti ma che da noi arrivò dopo il trionfo di Star Wars che “liberò” la fantascienza dalla tutela di un “dio minore”.

Dopo alcuni anni la serie fu riproposta (a colori !!!) e ottenne ugualmente successo e nuovi appassionati.
Tanto che anche in Italia esiste un Gruppo di appassionati riunito attorno a ISOSHADO (Italia Section of Shado).
A proposito. Shado (cui alcuni erroneamente aggiungono un “w” ritenendo che Shadow = ombra possa essere più consono e determinando nel “w” la parola “world”) è l’acronimo di: Supreme Headquarter Alien Defence Organisation.
Ogni tanto la serie torna ad essere programmata nelle televisioni satellitari (in attesa dell’annunciato: da ben 2 anni !!! Sci Fi Channel della Universal), ma l’appassionato (e il curioso neofita) non può privarsi della raccolta (doppia) in DVD, con le e scene in lingua originale e censurate nelle versioni televisive degli anni settanta.

Non aspettatevi di vedere effetti speciali e mirabolanti battaglie create al computer: tutto è basato su modellini e riprese in interni, ma a noi sembrava di essere nello spazio, come e più che nei moderni filmoni pieni di virtuosismi tecnologici e spesso poveri di dialoghi e di idee.

E a questo ricordo dell’adolescenza non può mancare un saluto ai due principali protagonisti della serie: Ed Bishop (il Comandante Ed Straker) e Michael Billington (il Colonnello Paul Foster) che, per uno strano scherzo del destino, sono scomparsi quasi contemporaneamente, rispettivamente mercoledì 8 e lunedì 6 giugno 2005.


08 agosto 2005

Arridatece i presidenti "ricchi e scemi" !

Ricordate gli anni sessanta e settanta del calcio ?
Naturalmente la domanda è rivolta a chi, quegli anni, ha vissuto, ad esempio ha chi ha memoria dell’ultimo scudetto del Bologna, stagione 1963-1964, con lo scandalo doping e lo spareggio di Roma.

Bene, erano gli anni del boom economico e poi della grande depressione seguita all’autunno caldo e alle contestazioni studentesche strumentalizzate dal PCI, da cui poi nacque il terrorismo rosso.

Allora le società di calcio erano semplici associazioni di fatto.
I presidenti rispondevano in proprio, con tutti i loro beni, degli impegni finanziari assunti.
Era il tempo dei presidenti definiti “ricchi e scemi” perché spendevano del loro per comprare giocatori che, più spesso di quanto si riesca a ricordare, illudevano in estate e si dimostravano dei bidoni in campionato.

Un campionato tutto tricolore, con solo qualche straniero, in esaurimento dopo la chiusura delle frontiere.

Eppure era un calcio più sano.
Come il ritiro dei calciatori del Bologna, dopo aver vinto lo scudetto nello spareggio di Roma: niente veline, niente folla, interviste rilasciate da bravi ragazzi con i capelli corti e senza grilli per la testa.
Era un calcio che se faceva debiti questi ricadevano sul presidente che doveva di tasca propria coprire i buchi.

Poi venne la legge 91 del 23 marzo 1981 e fece finire tutto.
Le società sportive assunsero la forma di spa con una responsabilità “limitata” da parte degli amministratori e con un’unica ancora: il non essere a fini di lucro.

Con legge 18 novembre 1996 nr. 586, conversione del Decreto Legge 485 del 20 settembre 1996 e le successive sue applicazioni, si provvide, da parte dei governi di sinistra, a togliere anche quest’ultimo salvagente … con le conseguenze che tutti abbiamo sotto gli occhi.

Debiti accumulati senza ritegno (e senza responsabilità), regole infrante per evitare la decimazione delle squadre o moti di piazza, presidenti che si ergono a capi popolo (mitico il “non mollo” ripetuto tre volte da Preziosi – sì, quello che per difendersi è andato a rovistare nella “rumenta”altrui - a beneficio delle telecamere).

Le quotazioni in borsa che dovevano essere la panacea dei bilanci societari sono state un fallimento, troppo aleatoria è la vicenda calcistica e ben poco credibili le amministrazioni delle società.

Allora che si fa, si torna indietro ?

No, anche perché in un mondo del calcio amministrativamente sano, la quotazione in borsa potrebbe connotare in modo più popolare quella che è la disciplina sportiva principe in Italia.

Si potrebbe invece introdurre una norma specifica in considerazione della particolarità delle società di calcio.

“In deroga al principio generale, nelle società sportive, anche professioniste costituite sotto forma di società per azioni, il Presidente risponde in proprio e senza limiti delle obbligazioni societarie contratte durante la sua amministrazione”.

E che tornino i presidenti “ricchi e scemi” !

05 agosto 2005

Enola Gay 60 anni dopo

Il 6 agosto 1945 veniva sganciata la prima bomba atomica della storia, seguita dopo tre giorni dalla seconda e ultima.

Naturalmente, in occasione di questo sessantesimo anniversario, fioccheranno le litanie buoniste, le scontate e lacrimevoli storie dei sopravvissuti, i reiterati “mai più”, il suono di sirene e le celebrazioni liturgiche, sempre uguali e sempre inutili.

Saranno in pochi a ricordare che la decisione del Presidente Truman di sganciare le prime bombe atomiche della Storia servì a concludere una guerra sanguinosa, scatenata dall’imperialismo giapponese.
Saranno in pochi a ricordare che il fanatismo dei giapponesi nella seconda guerra mondiale avrebbe obbligato gli Stati Uniti, senza le bombe atomiche, a mesi e forse anni di guerra casa per casa, con enormi perdite umane ed economiche, come dimostrano gli ultimi soldati giapponesi che, all’oscuro della fine delle ostilità, hanno a lungo continuato a “combattere” nelle giungle.
Saranno in pochi a ricordare che neppure la prima bomba atomica indusse il governo imperiale giapponese a deporre le armi con una immediata rese incondizionata, a ulteriore riprova di come intendessero portare la guerra sino alle estreme conseguenze.

Nel sessantesimo anniversario di quel 6 agosto, credo che si debba rendere omaggio al coraggio del Presidente Americano Truman ed alla sua lungimiranza, perché con la sua decisione non solo ha posto fine in tre giorni ad una guerra che rischiava di protrarsi per mesi e anni, ma ha anche dato un esempio di come dovrebbe comportarsi un governo a difesa dei propri cittadini e dei propri soldati, la vita di ognuno dei quali, vale più di quella dei nemici.

Un insegnamento che ha la sua attualità nei giorni della sfida all’Occidente civilizzato da parte della barbarie rappresentata dal terrorismo musulmano.

04 agosto 2005

Il Bologna è una Fede

Interrompiamo i post di politica per occuparci di qualcosa di serio: il calcio …. :-)

Da bolognese, sia pur di famiglia Veneta, nato e vissuto a Bologna, seguo da sempre le vicende della squadra della mia città.

E se quest’anno nel basket noi bolognesi di sponda Fortitudo abbiamo gioito per il nostro secondo scudetto , tutta la Bologna calcistica è sprofondata nella cupa tristezza per la retrocessione del Bologna calcio.

Retrocessione sportivamente motivata e “conquistata” a pieni voti (sic !) sul campo, ma che trova un Gazzoni (padre-padrone) lanciatissmo nella rincorsa alla serie “A” non acquistando giocatori di valore, ma brandendo bilanci, codici e pandette.

La regola fissata nel 2004 era: bilanci a posto e niente debiti (o presenza di piani accettati di rateizzazione) entro il 30 giugno 2005.
Alcune squadre (tra cui il Bologna) hanno rispettato il termine.
Altre no.
La Federcalcio ha concesso una nuova proroga al 12 luglio.
A tale data il Messina non era in regola (adesso sembra che anche la Reggina abbia presentato una fideiussione non regolare), da qui l’esclusione, nei tre gradi della giustizia sportiva, dalla serie “A” e il “ripescaggio” del Bologna.
Il TAR del Lazio (e il sospetto è che ciò sia dovuto a un atteggiamento politicamente pro bono pacis, visto il comportamento certamente non edificante dei tifosi messinesi) non ha dato ragione al Messina, ma ha disposto una sospensiva per approfondimenti che riammette, nella sostanza, il Messina in serie A, visto che il Campionato dovrà pur partire il 28 agosto !
Federcalcio e Bologna si sono appellati al Consiglio di Stato e nel giro di una settimana avremo il calendario.

In tutta questa confusione le regole che il calcio si era dato un anno fa vengono spazzate via da proroghe e sentenze con due occhi rivolti a situazioni esterne.

Io che non ritengo, per le “gesta” compiute, che calciatori come Materazzi, Totti e Cassano siano da nazionale (buoni o grandi giocatori di calcio sicuramente, ma esempi per la gioventù – e un calciatore da nazionale deve avere anche tali requisiti etici - no di sicuro) credo che per il solo fatto di aver esercitato un blocco illecito alla libera circolazione dei cittadini, i tifosi del Messina dovrebbero essere puniti con la cancellazione della loro squadra e la costituzione di una nuova società che, senza titolo sportivo pregresso, ricominci dai campionati dilettanti.

Bella forza, direte, sei bolognese e parli pro domo tua !

Invece no: sono anche contro l’istituto del “ripescaggio che mette città e tifoserie l’una contro l’altra, creando i presupposti per nuove tensioni e possibili scontri e incentiva la litigiosità delle società

Niente proroghe, niente sconti, niente ripescaggi.

Le squadre che al 30 giugno 2005 non erano in regola retrocedano alla categoria inferiore o vengano cancellate e si ricostituiscano per ricominciare da capo.

I vari campionati composti dalle sole squadre in regola e che avevano conquistato, sul campo, il diritto a partecipare a quello specifico campionato.

Le squadre i cui tifosi commettessero reati e turbative del regolare svolgimento della vita quotidiana, radiate.

Se vogliamo restituire il calcio allo sport, dobbiamo agire non con pannicelli caldi e con virtuosismi giuridici ed equilibrismi dialettici, ma con decisione e, se del caso, usando la spada di Alessandro per tagliare ogni nodo gordiano.

E, poi, ma sarà argomento di prossimi interventi, rivedere le leggi che hanno fatto di società sportive delle società per azioni prima e, quindi, delle società a scopo di lucro e anche esaminare l’opportunità di mutuare dagli Stati Uniti un campionato senza retrocessioni, ma con le serie suddivise in base a parametri predefiniti che tengano conto sia del bacino d’utenza che della rappresentatività e della regolarità amministrativa.

E comunque: serie “A”, “B” o “C”, il Bologna resta una Fede

03 agosto 2005

In Silvio we trust

Ogniqualvolta i sondaggi segnalano un recupero di consenso della CdL, ci pensano quelli dell’Udc a risospingerla in basso.

La domanda ora sorge spontanea: da che parte stanno gli udicini ?

Dalla loro e nulla più.
Loro ragionano in termini di poltrone e di potere.
Se per acquisirne un po’ devono danzare al ritmo di bandiera rossa, lo faranno, intanto si preparano a rivendicare i meriti di aver costantemente ostacolato il Premier.

Il disegno politico è chiaro: perpetuarsi al potere in una riedizione dell’arco costituzionale di infausta memoria, con un carrozzone spartitorio e clientelare che vada dai DS alle frange meno liberali di Forza Italia e AN, passando per la Margherita, i socialisti riunificati, l’Udeur e l’Udc ed estromettendo in via permanente Rifondazione comunista e i satelliti estremi (Verdi e comunisti italiani) e dall’altra la Lega e la parte più liberale di Forza Italia e AN.
Ma per riuscire il giochino deve preventivamente liquidare colui che è riuscito a mettere insieme tutte le Destre: Silvio Berlusconi.

Fortunatamente non sembra che Berlusconi si presti ad interpretare la parte dell’agnello sacrificale del nuovo compromesso storico e, finalmente !, pare voglia dare l’aut aut ai casinisti.
O dentro la CdL, o fuori.
E se fuori, i casinisti dovranno entrare nella sinistra (con quale piacere per i propri elettori è d’uopo domandarselo) oppure correre da soli, con la certezza di non poter essere (senza i collegi che regalerebbe loro Berlusconi) ago della bilancia nella prossima legislatura.

E’ ora di finirla di esser schiavi del ricatto dei Casini e dei Follini.

Meglio perdere le elezioni con un gruppo compatto che possa fare una durissima opposizione ad una sinistra divisa e incapace di avere una sua propria politica estera ed economica, che vincere ed avere altri cinque anni sottoposti al ricatto frenante dell’Udc e di quei settori di Forza Italia e AN aggrappati al vecchio clientelismo statalista.

In Silvio we trust.