Quotidiani, riviste, periodici, telegiornali, alla fine di ogni anno si sbizzarriscono per indicare l’Uomo dell’anno.
Così, per non essere da meno (poiché, come scriveva Montanelli “il miglior modo per avere importanza è darsene molta”) entro nel gruppo degli “autorevoli elettori” dell’Uomo dell’anno.
Le opzioni non mancano, ma la “nomination”, anche per le vicende emerse nella seconda metà dell’anno e soprattutto in questo dicembre, si riduce a cinque.
Il posto d’onore lo riservo a un Uomo che forse è un po’ blasfemo inserire in questa lista: il Papa Benedetto XVI, Joseph Ratzinger.
Mi è piaciuto molto il suo approccio al Soglio, mi piacciono molti dei suoi discorsi e dei suoi libri.
E’ un Papa colto, di spesso culturale forse tra i più alti e sicuramente maggiore dei suoi predecessori.
Sa parlare alla Fede, al sentimento, ma anche alla ragione, risultando convincente anche per tanti che Fede non hanno.
E se appena ascolto o leggo dichiarazioni dei vari Martini, Tettamanzi, Bertone, giù, giù fino ai Gallo e ai Vitaliano della Sala, mi richiudo nel mio agnosticismo, chissà che questo papa non possa accendere quella scintilla che in futuro potrà indicarmi la via della Fede.
Giulio Tremonti. Due anni fa sembrava spacciato. Silurato dal ministero, fuori dal governo.
Eppure non ha tradito Berlusconi e la Coalizione.
E il tempo – che è sempre un galantuomo – gli ha dato ragione.
Tornato prima al Governo come Vicepresidente, poi, a vele spiegate, nel “suo” ministero, ha aspettato che gli venisse servita su un piatto d’oro la testa del “nemico” Antonio Fazio.
Aveva ragione, il “Divo Giulio”, ha sempre avuto ragione lui e torto la sinistra e quei settori della Maggioranza che fecero quadrato attorno all’uomo di Alvito.
Giulio Tremonti merita sicuramente la nomination.
E a proposito dell’uomo di Alvito, una nomination la merita anche Antonio Fazio.
Era Governatore a vita.
Poteri amplissimi che, però, usati in modo maldestro (peraltro per sostenere un principio che potrebbe anche essere condivisibile: difendere l’italianità delle banche) stanno sortendo effetti disastrosi.
Per lui personalmente, costretto a dimettersi ed a consegnarsi alla gogna mediatica e per le tesi da lui sostenute.
L’Antonveneta è ormai nelle mani degli landesi e le vicende Unipol mettono a rischio anche l’Opa di questa sulla BNL.
Come a dire: una Caporetto senza Vittorio Veneto.
Al quarto posto nelle nomination entra di forza e di diritto Giovanni Consorte.
Suo il merito di aver reso “nudo” il “re” della sinistra che ormai è conclamata, urbi et orbi, priva di qualsivoglia legittimità ad imbracciare la “questione morale”.
Pecunia non olet.
E quando ci sono di mezzo i soldi la tessera di partito non conta assolutamente nulla.
La nomination di Consorte è un doveroso ringraziamento a chi ha messo il bavaglio a tutti coloro che, manicheisticamente dividevano la sinistra degli “onesti”, dalla Destra dei “disonesti”.
Noi lo sapevamo anche prima: adesso lo sanno anche coloro che credono ai coccodrilli che volano, purchè lo scrivano l’Unità, Repubblica e il Corsera.
Ma è il quinto nominativo che, anche per la natura di questo post eleggo “Uomo dell’anno”.
Grazie a lui sono state smascherate le pruderie politicamente bacchettone di vasti settori dello sport e della società.
Grazie a lui ci siamo riconosciuti in una battaglia, onesta, civile e pacifica, di Libertà.
Libertà di esprimere il proprio pensiero.
Libertà di esprimere le nostre idee.
Libertà di manifestarle con espressioni e gesti che non solo non sono aggressivi o violenti, ma anzi rappresentano fratellanza, cameratismo, apertura e pace.
Grazie a lui ci stiamo riappropriando di un saluto, quello Romano (che acidamente, ma sbagliando alcuni definiscono “Fascista”) che ci appartiene da millenni.
Paolo di Canio ce lo ha mostrato:
il saluto Romano non è peccato.
Così, per non essere da meno (poiché, come scriveva Montanelli “il miglior modo per avere importanza è darsene molta”) entro nel gruppo degli “autorevoli elettori” dell’Uomo dell’anno.
Le opzioni non mancano, ma la “nomination”, anche per le vicende emerse nella seconda metà dell’anno e soprattutto in questo dicembre, si riduce a cinque.
Il posto d’onore lo riservo a un Uomo che forse è un po’ blasfemo inserire in questa lista: il Papa Benedetto XVI, Joseph Ratzinger.
Mi è piaciuto molto il suo approccio al Soglio, mi piacciono molti dei suoi discorsi e dei suoi libri.
E’ un Papa colto, di spesso culturale forse tra i più alti e sicuramente maggiore dei suoi predecessori.
Sa parlare alla Fede, al sentimento, ma anche alla ragione, risultando convincente anche per tanti che Fede non hanno.
E se appena ascolto o leggo dichiarazioni dei vari Martini, Tettamanzi, Bertone, giù, giù fino ai Gallo e ai Vitaliano della Sala, mi richiudo nel mio agnosticismo, chissà che questo papa non possa accendere quella scintilla che in futuro potrà indicarmi la via della Fede.
Giulio Tremonti. Due anni fa sembrava spacciato. Silurato dal ministero, fuori dal governo.
Eppure non ha tradito Berlusconi e la Coalizione.
E il tempo – che è sempre un galantuomo – gli ha dato ragione.
Tornato prima al Governo come Vicepresidente, poi, a vele spiegate, nel “suo” ministero, ha aspettato che gli venisse servita su un piatto d’oro la testa del “nemico” Antonio Fazio.
Aveva ragione, il “Divo Giulio”, ha sempre avuto ragione lui e torto la sinistra e quei settori della Maggioranza che fecero quadrato attorno all’uomo di Alvito.
Giulio Tremonti merita sicuramente la nomination.
E a proposito dell’uomo di Alvito, una nomination la merita anche Antonio Fazio.
Era Governatore a vita.
Poteri amplissimi che, però, usati in modo maldestro (peraltro per sostenere un principio che potrebbe anche essere condivisibile: difendere l’italianità delle banche) stanno sortendo effetti disastrosi.
Per lui personalmente, costretto a dimettersi ed a consegnarsi alla gogna mediatica e per le tesi da lui sostenute.
L’Antonveneta è ormai nelle mani degli landesi e le vicende Unipol mettono a rischio anche l’Opa di questa sulla BNL.
Come a dire: una Caporetto senza Vittorio Veneto.
Al quarto posto nelle nomination entra di forza e di diritto Giovanni Consorte.
Suo il merito di aver reso “nudo” il “re” della sinistra che ormai è conclamata, urbi et orbi, priva di qualsivoglia legittimità ad imbracciare la “questione morale”.
Pecunia non olet.
E quando ci sono di mezzo i soldi la tessera di partito non conta assolutamente nulla.
La nomination di Consorte è un doveroso ringraziamento a chi ha messo il bavaglio a tutti coloro che, manicheisticamente dividevano la sinistra degli “onesti”, dalla Destra dei “disonesti”.
Noi lo sapevamo anche prima: adesso lo sanno anche coloro che credono ai coccodrilli che volano, purchè lo scrivano l’Unità, Repubblica e il Corsera.
Ma è il quinto nominativo che, anche per la natura di questo post eleggo “Uomo dell’anno”.
Grazie a lui sono state smascherate le pruderie politicamente bacchettone di vasti settori dello sport e della società.
Grazie a lui ci siamo riconosciuti in una battaglia, onesta, civile e pacifica, di Libertà.
Libertà di esprimere il proprio pensiero.
Libertà di esprimere le nostre idee.
Libertà di manifestarle con espressioni e gesti che non solo non sono aggressivi o violenti, ma anzi rappresentano fratellanza, cameratismo, apertura e pace.
Grazie a lui ci stiamo riappropriando di un saluto, quello Romano (che acidamente, ma sbagliando alcuni definiscono “Fascista”) che ci appartiene da millenni.
Paolo di Canio ce lo ha mostrato:
il saluto Romano non è peccato.
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Buon Anno
a tutti, in particolare ai miei coetanei, i bravi ragazzi del 1956, per i quali il prossimo, sarà l’anno del cinquantenario.