Ciò che è bene per la sinistra è male per l’Italia. Ciò che è male per la sinistra è bene per l’Italia.

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Si devono intraprendere le guerre per la sola ragione di vivere senza disturbi in pace (Cicerone)

No alla deriva

No alla deriva
Diciamo NO alla deriva

30 aprile 2007

Let Silvio be Silvio

Sto leggendo in questi giorni post affranti e sfiduciati sulla situazione politica.
Il panorama che quei commenti descrivono è a tinte fosche, dove una sinistra disunita, riesce a prevalere perché la Destra è ugualmente disunita, con in più la mancanza di quel collante che è il potere.
Il tiro incrociato non risparmia praticamente nessuno e se, come sempre, della sinistra me ne frego, guardo solo a casa nostra.
L’ultima miccia è stata accesa dall’accordo della Lega sulla riforma elettorale e il federalismo fiscale.
Ma sulla riforma elettorale è un “tutti contro tutti” perché ognuno cerca di ottenere la legge più utile per la propria formazione politica.
Che dire, allora, del Fini che si mette a firmare e sostenere un referendum abrogativo (non pago della sconfitta sul filo di lana di pochi anni fa ?).
Tra l’altro, nuovamente a braccetto con il perdente per eccellenza: Mariotto Segni ?
Anche Fini cerca il sistema più utile per se stesso, come Casini.
E sul federalismo, che è l’oggetto sociale primario della Lega, naturale che ovunque vi siano spiragli per ottenerne uno spizzico, la Lega abbia il diritto e il dovere di percorrerli.
Ma se andiamo a vedere i temi sostanziali, quelli rilevanti per l’elettorato e per la caratterizzazione di una Coalizione, vediamo che la coesione non manca a Destra.
Sulle tasse siamo tutti compatti: riduzione.
Sulla sicurezza, immigrazione, deriva morale (droga e omosessualità), siamo compattamente schierati.
Questi sono i temi fondanti della Coalizione di Centro Destra, una Coalizione ben più coesa di quanto non potrà mai essere la sinistra.
Qual è, allora, il “male oscuro” del Centro Destra ?
Non cero la mancanza di un partito unitario e neppure la mancanza di proposte e di idee.
E’ la leadership che, intempestivamente, Fini e Casini hanno, in modo diverso, minato puntando alla successione a Berlusconi.
Questa incrinatura impedisce di agire.
Le cronache parlano di Berlusconi non più come Leader del Centro Destra, ma solo di Forza Italia.
La guerra di logoramento di Fini e Casini è finalizzata ad aspettare l’invecchiamento di Berlusconi nella convinzione che siano loro i candidati alla successione.
La risposta, per rimettere in carreggiata il Centro Destra, non può che venire dalla base.
Berlusconi è il Leader di ieri, di oggi e di domani.
Lasciamolo lavorare, rinnovandogli la fiducia.
Le strategie non possono essere continuamente poste in discussione e messe in votazione dalle assemblee.
Vi sia un quadro generale di riferimento che escluda qualsiasi inciucio (per una legge o addirittura per un governo di “larghe intese”) e per il resto sia data la più totale fiducia a Berlusconi e nelle sue scelte.
La base faccia conoscere le proprie aspirazioni (e credo non si allontaneranno molto dal quadrilatero: sicurezza, immigrazione, tasse, deriva morale) ma il modo di perseguirle sia lasciato alle decisioni di Berlusconi.
A maggior ragione adesso che, pienamente assolto persino da una magistratura che non gli è certo amica, sarà caricato come una molla per perseguire la giusta rivincita.
E la sua rivincita, sarà anche la nostra rivincita.
Let Silvio be Silvio.

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28 aprile 2007

L'europa degli eunuchi

Con due pronunciamenti del parlamento europeo, l’europa politica ha dimostrato di essere ormai al limite della propria sopravvivenza civile, morale e sociale.
Con uno si appoggia l’enorme sciocchezza della moratoria sulla pena di morte, sposando la strampalata (eufemismo) tesi di chi considera sullo stesso piano una punizione comminata dopo un regolare processo con quella decisa da tribunali sudditi dei regimi dittatoriali.
Dimostrando, con ciò, di non avere alcuna conoscenza del diritto (quello vero, non quello delle eccezioni e dei sofismi, dei rinvi e dei cavilli) che vuole, perché sia efficace, sì le garanzie di difesa, ma anche pene proporzionate al crimine commesso e, infine, deve assicurare i cittadini onesti contro la reiterazione degli atti criminali.
L’altro pronunciamento ha avuto come bersaglio monsignor Bagnasco e, anche, la Polonia.
Contro monsignor Bagnasco il pronunciamento, che ha però tolto ogni riferimento alla persona, è per me sullo stesso piano delle scritte minatorie apparse in tante parti d’Italia: una intollerabile intimidazione che vorrebbe tappare la bocca a chi ha idee ed esprime opinioni diverse da quelle “gradite”.
Una dittatura, insomma: non a caso il nome che si è data è “unione” … sovietica, appunto.
Contro la Polonia, invece, si è scatenata la canea della lobby omo, visto che in Polonia sembra esserci la ridotta di chi vorrebbe dare una educazione ai propri figli, perché gli uomini vadano con le donne e le donne con gli uomini, come è naturale, giusto e utile.
Abbiamo quindi avuto, con una sola seduta di quel costoso ed inutile ente che è il parlamento europeo, la misura di come siamo caduti in basso.
Anzi, di come sono, quelli lì e chi li sostiene, caduti in basso.
Altro che eurabia, come diceva Oriana Fallaci, questa sta diventando l'eunuchia, terra degli eunuchi.
Che pretendono siano gli altri (gli Americani) a combattere anche le loro guerre (non solo Iraq e Afghanistan, ma anche quella del Kossovo, gli europei non l’hanno iniziata se prima non avevano la copertura americana) e che nel frattempo gozzovigliano ed elevano a diritto capricci e perversioni, cercando di impedire la parola a chi li denuncia come tali.
Totalmente dimentichi che tutte le civiltà del passato sono crollate proprio in funzione della perdita di rigore morale di propri cittadini.
L'Egitto con faraoni pervertiti e incestuosi.
Roma che affidò a stranieri la difesa dell'Impero, mentre si moltiplicavano le feste basate solo sui piaceri dei sensi, anche quelli più turpi.
Bisanzio, con chi doveva guidarla impegnata a soddisfare le proprie brame sessuali e politiche.
O raddrizzano la schiena grazie alle forze sane che ancora sono presenti in europa, oppure saranno dolori ... anche per noi (di loro non me ne importerebbe proprio nulla).

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27 aprile 2007

Corsi e ricorsi

Quando iniziai, molto giovane, ad interessarmi di politica, la DC era il partito di maggioranza relativa che, dai fasti del 1948, era progressivamente scesa tra il 38% e il 40% e lì si stabilizzò fino al dissolvimento nel PPI.
Il PCI era invece tra il 25% e il 27% fino a raggiungere l’apice nelle europee del 1984, influenzate dalla morte di Berlinguer, con il 34%, unico “sorpasso” riuscito.
Se guardiamo ai sondaggi e alle proiezioni elettorali, vediamo che un ipotetico partito unitario del Centro Destra con solo Forza Italia e Alleanza Nazionale avrebbe tra il 38% e il 41%.
Il partito democratico frutto dell’inciucio tra comunisti diessini e sinistra dc margheritina, è accreditato tra il 25% e il 28%.
Praticamente una fotografia della situazione degli anni sessanta, settanta e primi ottanta.
Una ipotetica sinistra estrema tutta unita potrebbe arrivare al 15% (all’incirca il vecchio PSI), mentre la riunificazione delle anime democristiane al 7%-8% (la somma dei vecchi PLI-PSDI-PRI).
E il 5%-7% che fu dell’MSI ?
Beh, tra la Lega e i partiti della Destra Radicale (che mi auguro vivamente decidano di unirsi) si arriva tranquillamente a quella quota.
E’ la fotografia dell’ingovernabilità, dello stallo, dell’inciucio, delle leggi votate al 90% in base agli accordi di spartizione (dieci assunzioni in RAI: 4 alla DC, 3 al PCI, 1 al PSI, 1 al PRI/PSDI/PLI e 1 bravo …).
Il rischio davanti al quale ci troviamo è una riedizione di quella situazione.
Un accordo tra i due blocchi di maggioranza che assieme rappresenterebbero i 2/3 degli elettori potrebbe condurci nuovamente ad una democrazia bloccata, al sonno delle idee e all’affossamento di ogni vitalità propulsiva, per una gestione grigia e “cencelliana” del potere finalizzato a se stesso.
Come si potrebbe evitare tale situazione ?
Con il maggioritario, certo.
Ed è quel che accadrebbe se passasse il referendum elettorale o se si addivenisse ad un accordo parlamentare per modificare la legge elettorale.
Ma ambedue i passaggi dovrebbero scontare un percorso comune con la sinistra del costituendo partito democratico, prospettiva che rifuggo nel modo più totale per le conseguenze devastanti che avrebbe l'inizio di una grande coalizione: si sa quando inizia, ma non quando finisce.
Porterebbe ad un nuovo stallo, di diverso tipo, forse peggiore: lo stallo nello sviluppo democratico di una nazione.
Senza considerare la perdita di risorse derivanti dall’azzeramento delle forze minori che, se in alcuni casi (come i partiti di derivazione democristiana) hanno prevalente caratterizzazione clientelare, in altri (Lega, Destra Radicale) rappresentano un valore aggiunto della nostra società civile, perché sono la testimonianza di uno spirito identitario e sono portatori di ideali che si legano nettamente ai sentimenti popolari, ben oltre il risultato elettorale che conseguono.
Cosa rimane ?
Rimane la legge attuale.
Premio di maggioranza per coalizioni che indichino il candidato premier.
Magari con il ritocchino del ripristino del testo originale che prevedeva tale premio calcolato a livello nazionale e che Ciampi costrinse – minacciando di non firmare la legge – a togliere, con il risultato che abbiamo sotto gli occhi.
Il premio di maggioranza garantisce la governabilità, l’unione tra le forze politiche omogenee, ma consente ad ogni cittadino di scegliere, senza “turarsi il naso”, il partito che maggiormente gli si confà, anche quello più marcatamente identitario.
Ed eviterebbe la pagliacciata di nuovi “partiti democratici” in cui si fondono cani e gatti.

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26 aprile 2007

Bayrou eviterà l'errore di Tomic?

Correva l’anno 1970, 5 settembre.
Era l’anno di Italia-Germania 4 a 3.
Era l’anno in cui avrei iniziato ad ottobre il ginnasio liceo classico.
Il Repubblicano Richard Nixon era Presidente degli Stati Uniti.
Il Conservatore Edward Heath era da poco Primo Ministro del Regno Unito.
Il democristiano Emilio Colombo era il presidente del consiglio italiano, con Giuseppe Saragat, socialdemocratico, presidente della repubblica.
Alle elezioni presidenziali in Cile il candidato della sinistra, Salvador Allende, ottiene il 36,2% dei voti contro il 34,9 del candidato di Destra Jorge Alessandri.
Ago della bilancia il democristiano di sinistra Rodomiro Tomic, con il 28,5.
Invece di scegliere il già sperimentato Alessandri, la dc dominata dalla sinistra opta per far convergere i voti, in sede parlamentare, su Allende.

Il resto è storia ben nota .
Il centrista, sia pur pendente a sinistra, Tomic con la sua incauta scelta innescò una reazione a catena di eventi che portarono alla destituzione di Allende non appena la DC si riprese dalla sbornia mancina e tornò a votare (22 agosto 1973) con la Destra, chiedendo l’intervento delle Forze Armate per bloccare la deriva marxista di Allende.
Mi è tornato in mente questo episodio del passato, alla vigilia di un’altra decisione che un centrista, arrivato terzo alle elezioni presidenziali questa volta in Francia, deve assumere per rendere utili i suoi voti.
Anche se, non essendoci il voto parlamentare, è molto più difficile spostare l’intero pacchetto con una dichiarazione o una investitura e forse è per questo che si adotta la strategia del “lasciar liberi di scegliere” elettori che liberi lo sarebbero stati comunque.
Ma sarà nei fatti che si vedrà dove pende Bayrou che non può non avere la consapevolezza che chi sarà eletto avrà un effetto trainante alle politiche di giugno, con ulteriore penalizzazione per i partiti minori che non abbiano un saldo accordo preventivo con una delle due maggiori formazioni politiche francesi.
Non vorrei essere nei panni di Francoise Bayrou che sta camminando su un tappeto di uova.
Coetaneo della Royale e di Sarkozy, non può certo sperare di essere il loro erede quando decideranno (presumibilmente dopo il secondo mandato) di lasciare.
Deve giocare bene le sue carte per conquistare almeno la poltroncina di Primo Ministro che, in Francia, conta assai poco, ma che almeno gli assicurerà una gestione del potere per coltivare la “sua” creatura, quell’Udf fondata da Giscard d’Estaing e ridotta al lumicino dopo il 2002.
Deve stringere un accordo di ferro per far eleggere, con il penalizzante – per i “terzi” partiti - sistema elettorale francese a doppio turno, una consistente pattuglia parlamentare, sufficiente ad impedire che l’eletto, magari da lui investito, lo scarichi una volta raggiunto l’Eliseo.
Ma, soprattutto, deve azzeccare il cavallo vincente, senza poter avere la certezza che i suoi elettori seguano bovinamente le sue indicazioni.
Se sbaglia, diranno che ha buttato al vento un’occasione unica.
Ma lo sbaglio più grosso che potrebbe commettere è quello di favorire la sinistra, come fece Tomic nel 1970 in Cile, pensando poi di raccogliere l’eredità della Destra in un “grande centro”.
Si ricorderà Bayrou dell’errore di Tomic ?
O, essendosene dimenticato o pensando di poter essere determinante anche dopo il voto (che era ciò che presumeva Tomic) ne seguirà l’errore ?

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25 aprile 2007

Bipartitismo e legge elettorale

Un binomio inscindibile.
Lo si vede dalle reazioni che suscita ogni proposta che ponga un po’ più in alto l’asticella dello sbarramento.
Lo si capisce dal fatto che, se possibile, ognuno tende a far prevalere lo spirito identitario su quello aggregante.
Nei paesi anglosassoni, di consolidata e avanzata democrazia, il problema non si pone, anche se pure esistono “terze forze” che raccolgono consensi anche significativi numericamente, perché ci sono Valori comuni che si sintetizzano nell’interesse nazionale e in una politica estera che lo rappresenta e che non ha soluzioni di continuità nel passaggio da un partito ad un altro.
In Francia il bipartitismo è imposto da un sistema elettorale voluto, con saggia preveggenza da Charles De Gaulle.
Il doppio turno inquina il risultato del maggioritario secco e rende il bipartitismo meno efficace, ma obbliga necessariamente ad accordi, meglio se preventivi.
Mi ricordo che spesso nelle politiche francesi i candidati comunisti e socialisti da una parte, gollisti e centristi dall’altra si presentavano in proprio al primo turno, con l’accordo che al secondo sarebbe rimasto solo chi, all’interno dei due poli, avesse avuto il risultato migliore, facendo l’altro confluire i voti sul primo.
Immaginate cosa accadrebbe se questo sistema dovesse essere applicato con i risultati dle primo turno di domenica scorsa: scomparirebbero i centristi di Bayrou che, pertanto, per sopravvivere devono cercare un accordo che garantisca loro una certa quota di parlmanetari alle prossime elezioni.
In Italia, invece, rimane molto forte lo spirito identitario, anche perché il consociativismo della prima repubblica ha favorito le clientele, per anche chi poteva contare su un radicamento forte in un ambito territoriale limitato, poteva dettare le sue condizioni, ritagliandosi una fetta della torta.
A questo si è cercato di porre rimedio con la riforma derivante dal referendum del 1992, che peraltro manteneva una quota del 25% di proporzionale e non liberava, come si vide nel 1995 e nel 1998 dai ribaltoni.
Con la riforma del 2005 si è invece inteso riconoscere lo spirito identitario che caratterizza la nostra politica, salvaguardando il principio del bipartitismo e legando anche la stabilità del governo alla Riforma Costituzionale poi respinta nel referendum.
Adesso un nuovo giro, dove ognuno cerca di ottenere la legge elettorale più favorevole ai propri interessi.
I partiti maggiori sono in una botte di ferro.
Comunque vada è intorno a loro che si costituiscono le alleanze.
Purchè non si ritorni al proporzionale puro che darebbe ai piccoli partiti un potere di ricatto e, quindi, creerebbe stallo nella progettualità ppolitica.
In sostanza i movimenti cui assistiamo in questi giorni sono strettamente legati al sistema elettorale che si andrà a scegliere.
Là dove si dovesse optare per una legge elettorale che, premiando in qualche modo il partito più votato, dovesse spostare il bilanciere verso una sorta di maggioritario o di sbarramento alto (purchè non sia la buffonata del 5% … fra due legislature !), allora avrebbe un senso il processo di aggregazione nei partiti unitari.
Se, invece, si dovesse procedere solo ad un piccolo ritocco (ad esempio il premio di maggioranza nazionale anche per il senato) alla legge attuale, allora sarebbe preferibile che ogni identità sia conservata nella sua casa di origine, per confluire poi nella Coalizione e realizzare non un sistema bipartitico, ma bipolare.
Personalmente sono per il maggioritario secco e per il partito unitario delle Libertà.
Realisticamente ritengo la legge Calderoli la migliore legge elettorale per quello che è l’Italia (con quel correttivo sul premio di maggioranza al senato) perché consente ad ognuno di votare soddisfatto per la propria identità, senza “turarsi il naso”, dando comunque un voto utile perché confluisce nella Coalizione rappresentata da un Leader.

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24 aprile 2007

Gli Italiani prima di tutto

Nicholas Sarkozy ha vinto il primo turno delle presidenziali francesi, sposando alcuni temi propri della destra francese, primo fra tutto l’identità, proponendo un ministero per l’identità nazionale.
Credo che la questione della identità nazionale debba essere ripresa e sviluppata anche in Italia, dove nel nome di un malinteso senso di ospitalità, si tende a dimenticare che questa terra è la nostra terra e non di islamici, cinesi o africani.
E’ una terra dissodata dalle immigrazioni interne e irrigata dal nostro sangue, sudore e lacrime.
Se adesso possiamo godere di un benessere relativo, lo dobbiamo a generazioni di Italiani che si sono spesi per consentire a noi di trovare l’acqua calda ogni sera in cui torniamo a casa.
Ed quindi importante considerare l’italianità, l’identità nazionale, un valore prioritario da conservare, favorire e sviluppare.
Questo significa che deve essere data la precedenza agli Italiani in ogni circostanza in cui il pubblico interviene:
- nella sanità
- nell’assegnazione di alloggi
- nel collocamento
.
La cittadinanza non può essere concessa alla leggera, allegramente come se fosse il regalo di un giochino televisivo.
La cittadinanza deve essere un traguardo per l’immigrato, un premio autentico che ne certifichi la sua integrazione nel nostro sistema culturale e civile.
Non può quindi essere automaticamente legata ad un freddo dato statistico o temporale, ma ad una assimilazione della italianità, dei nostri costumi e delle nostre Tradizioni.
L’Italia non è un territorio disabitato dove chiunque può trovare spazio.
L’Italia è un paese densamente popolato, dove chiunque arrivi si trova a convivere a stretto contatto di gomito con chi già c’era.
I comunisti sono sempre stati antinazionali e adesso, cambiano le etichette sul campanello di casa, ma restano antinazionali.
Lo dimostrano appiattendosi sulle direttive dell’unione europea, ma ancor più con il tentativo di ribaltare il cammino virtuoso iniziato con la Bossi-Fini, immettendo in Italia una massa enorme di immigrati, senza criterio e senza selezione.
Una tale politica, oltre a creare i presupposti per sanguinosi conflitti sociali, avrebbe come unico risultato quello di far perdere il senso delle nostre radici e una nazione senza radici è una nazione destinata necessariamente a diventare schiava di chi le ha.
Ecco che la battaglia per rispolverare, ricordare, far riemergere la nostra identità nazionale è anche una battaglia di libertà.
Perché la nostra Libertà, il nostro Benessere, la nostra Sicurezza diventano valori connaturati con quello identitario e la battaglia per essi, nel riconoscimento delle comuni radici, potrà essere combattuta con la consapevolezza e la decisione necessaria per vincerla.

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23 aprile 2007

La Destra che pensa

Ancora una volta è Marcello Veneziani ad individuare con grande lucidità il percorso che la Destra dovrebbe seguire nella sua marcia per dare all’Italia un futuro di benessere, libertà e sicurezza.
E lo fa con il suo ennesimo articolo pubblicato su Libero di sabato 21 aprile (Natale di Roma) da conservare e rileggere nel quale, commentando il compromesso storico tra gli epigoni del PCI e quelli della sinistra DC, ci illustra cosa manca a quel versante che, invece, è presente nel nostro.
Marcello Veneziani si dimostra così la punta di diamante del pensiero di Destra, che ci può consentire di superare il mercantilismo dei liberali che risolvono tutto con l’economia, restituendoci Ideali più nobili e più universali, proponendo quindi alla Destra del presente e del futuro una visione di più ampio respiro.
Veneziani individua i tre elementi essenziali di un partito:
- leadership
- progetto politico condiviso
- base omogenea
.
E rileva come nessuno di questi tre elementi sia presente nella realizzazione del compromesso storico tra epigoni del PCI e della sinistra DC.
Non c’è una leadership riconosciuta.
I comunisti ne hanno almeno tre: Fassino, Veltroni e D’alema, l’un contro l’altro armati e alle loro spalle ne scalpitano almeno due (Bersani e Finocchiaro) che sembrano prodotti più di marketing che di sostanza.
Sul versante della sinistra DC il personaggio più autorevole è un … ex radicale, ex verde, ex mangiapreti, Rutelli, contrastato ferocemente da Parisi, braccio destro di Prodi e supportato (ma fino a quando ?) dal “lupo marsicano” Marini, ex sindacalista ed ora assiso alla presidenza del senato (!!!).
E giustamente Veneziani definisce Prodi come “entreneuse, ovvero intrattiene nell’attesa di un vero e riconosciuto leader … E’ solo un lassativo per liberarsi di Berlusconi”.
Ma non ci sono neppure le basi per un progetto politico condiviso.
Non hanno idee comuni sulla politica estera, non sui rapporti tra stato e chiesa, non sulle questioni morali, non sulla famiglia europea cui aderire.
Come altri hanno già sottolineato prima di me il colmo del ridicolo lo si raggiunge, nella solita abbuffata di provincialismo che impone di importare modelli stranieri, quando i comunisti si esaltano per Segolene Royal e contemporaneamente i sinistri DC tessono l’apologia di Bayrou.
E come non hanno una leadership riconosciuta, non hanno un progetto condiviso, non hanno neppure una base omogenea propositiva in positivo, in quanto ognuna delle due rispecchia le proprie radici: comunista e cattolica (ancorché “adulta” … ma alla base sono ancora allo stato adolescenziale …).
Aggiungerei che non c’è neppure una situazione di “par condicio”, perché la sinistra DC raccolta nella Margherita rappresenta solo i due terzi dei comunisti di osservanza diessina, pur scontando la defezione di Mussi.
Senza contare l’organizzazione che nei comunisti è, per tradizione, ben più efficiente di quella democristiana.
E’ quindi probabile che questo compromesso storico (sono sempre mie considerazioni) si risolva nell’annullamento della sinistra DC all’interno dei comunisti, unicamente per salvaguardare qualche posizione clientelare.
Ma torniamo a Veneziani che, prendendo spunto dalla critica rivolga al partito democratico, alla mancanza degli elementi fondanti un partito, rivolge lo sguardo a casa nostra.
Come è messo il Centro Destra in base ai tre elementi elencati ?
1) Leadership. C’è, anche se Veneziani riconosce che c’è un punto interrogativo per il futuro, ma per intanto c’è.
2) Progetto politico condiviso. Anche questo c’è, Veneziani lo chiama “un filo conduttore”, ma riesce ad elencare una serie di rilevanti aspetti nei quali il Centro Destra è compatto:
famiglia,
politica estera,
valori,
decisionismo,
diffidenza verso la cultura permissiva,
richiesta di sicurezza e di libertà,
rifiuto della sinistra e della sua politica fiscale e culturale.
3) Base omogenea. E questo è l’elemento che Veneziani individua come maggiormente identitario: “quasi tutti gli elettori di Forza Italia e di AN, buona parte degli elettori dell’Udc e della stessa Lega, si sentono nella stessa barca”.
I problemi, che ci sono, li individua nella “leadership futura” nelle “erosioni laterali di Casini e della Lega” e nella “debolezza di un ceto dirigente”.
Veneziani conclude poi con il classico “simul stabunt, simul cadunt”, cioè il bipartitismo potrà nascere e rafforzarsi se nasceranno e si rafforzeranno i due contendenti.
Se solo uno è forte e l’altro gracile, allora anche quello forte sarà destinato ad implodere per dare voce alle spinte identitarie.
Credo che Veneziani abbia perfettamente fotografato la situazione e difficilmente gli si può dar torto.
Compito di tutti noi non può che essere quello, individuata la strada e le possibilità del come percorrerla, di impegnarci perché le debolezze del Centro Destra vengano superate.
La base per il Partito delle Libertà, c’è.
Il Leader anche.
Il progetto pure
.
Nihil obstat (quominus imprimatur).

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21 aprile 2007

Da Almirante a Berlusconi

Domenica scorsa Libero , il quotidiano diretto da Vittorio Feltri, ha ospitato un articolo di Francesco Storace dall’eloquente titolo: Grazie a Bin Laden ho capito che il Cavaliere è il nuovo Almirante.
Storace da Governatore del Lazio, da coleader della Destra Sociale e da Ministro della Salute, non è mai stato tenero con il Presidente Silvio Berlusconi.
Ora, mentre faceva la campagna elettorale per il medico – soprannominato Bin Laden - che prestò le prime cure al Presidente Berlusconi in occasione del malore di alcuni mesi fa, ha scoperto, e lo dice con la sua consueta franchezza, il lato umano di Berlusconi e lo paragona a Giorgio Almirante il mai dimenticato Segretario dell’MSI/DN negli anni di piombo.
Un tributo, quello riservato al Presidente Berlusconi, che mi trova perfettamente d’accordo.
Giorgio Almirante rappresentò per almeno due generazioni di ragazzi il modello politico di chi, pur accettando la sconfitta, non si arrende e, soprattutto, non rinuncia alle proprie idee.
Giorgio Almirante fu il rappresentante di un’Italia che pesava molto più di quel 6-8% che l’MSI riusciva a conseguire nelle urne e la demonizzazione di cui fu vittima (ricordiamoci l’abisso cui era sprofondata la sinistra fino allo sciopero al Cantagallo pur di impedire ad Almirante di cenare) è paragonabile alla demonizzazione di cui è stato ed è tuttora vittima Silvio Berlusconi.
Le persecuzioni giudiziarie hanno colpito entrambi.
Ambedue hanno però avuto la forza di continuare e di dare consistenza alla Destra (Almirante) ed al Centro Destra (Berlusconi).
Senza Almirante, che riuscì a “conservare” i voti di un 6-8% di Italiani, che poi hanno fatto la differenza nel 1994, nel 2001 e continuano a farla tuttora, Berlusconi non avrebbe potuto avere il “colpo di genio” dello “sdoganamento” dell’MSI.
Fu la mossa che impedì alla “gioiosa macchina da guerra” del PCI/PDS di vincere nel 1994 e di papparsi l’Italia.
Almirante, con il suo coraggio e la sua tenacia, ha consegnato un testimone ideale non a Gianfranco Fini, ma a Silvio Berlusconi.
E Storace coglie molto bene il lato umano e la capacità di Berlusconi di “bucare” il video così come riusciva solo ad Almirante, tanto che, con la scusa dell’antifascismo, i funzionari del PCI si rifiutavano sistematicamente di incrociarsi con lui nelle tribune politiche dell’epoca.
“Berlusconi mi ricorda sempre più Almirante, il leader del popolo. Sì, è un vero leader, un leader di destra. Della destra profonda che c'è nel Paese. Ne avremo bisogno pure a ottanta anni!” .

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20 aprile 2007

30 anni dopo si compie il compromesso storico

Enrico Berlinguer, dopo la conclusione della fallimentare esperienza marxista in Cile, teorizzò la necessità di un incontro tra i comunisti e i presunti cattolici “democratici” (cioè quelli di sinistra).
A metà degli anni settanta questo infame inciucio fu chiamato: compromesso storico.
In quegli anni DC e PCI rappresentavano il 65 % e più dell’elettorato.
La DC, divisa in correnti, prendeva voti a destra per spenderli a sinistra, dovendo scontare al proprio interno un 30% circa di sinistra, che ben poco aveva a che spartire con la "diga" al comunismo (come si presentava la DC) e che aveva in Aldo Moro il suo nume tutelare e nella sinistra di “Base” (Marcora, De Mita, Misasi, Granelli, Galloni) la truppa determinata ad imbarcare i comunisti al governo.
Il disegno fu sconfitto ad un passo dalla realizzazione.
Dopo le elezioni del 1976, si consumò una legislatura di appena 3 anni di durata, nella quale fu inventato il “governo della non sfiducia”, che per la prima vota, otteneva l’ufficiale astensione dei comunisti.
Scrivo “ufficiale”, perché nei fatti la DC e il PCI votavano già da tempo assieme oltre il 90% delle leggi.
Il compromesso storico era a portata di mano.
Fortunatamente all’interno della DC erano ancora rimaste persone degne (Piccoli, Forlani, Bisaglia, lo stesso Andreotti) che sabotarono il disegno compromissorio e che ottennero anche il sostanziale apporto di altri partiti, soprattutto il PSI (CAF), che pure si erano appiattiti nell' "arco costituzionale" (la più squallida delle invenzioni propagandistiche comuniste), mentre dall'esterno la Fiamma della Libertà era impugnata e tenuta viva dall'MSI di Giorgio Almirante("l'ultima speranza, l'unica certezza") .
A partire dalle elezioni del 1979, si invertì la rotta che rispedì i comunisti all’opposizione (finta: sempre a favore su oltre il 90% delle leggi).
La sinistra DC dovette far buon viso a cattivo gioco e tessere nuovamente la sua tela.
Oggi, in questo fine settimana, si consuma, con i congressi dei principali eredi di PCI e DC, il compromesso storico.
Una autentica unione contro natura vedrà comunisti e presunti “cattolici” (adulti !?!?!) fondersi in un unico partito.
Sono gli eredi da un lato dei Berlinguer e dall’altro dei Moro e dei “basisti”.
Entrambi i partiti si sono da tempo divisi in più fazioni, ma resta il nucleo comunista (DS) e quello di sinistra “cattolica” (Margherita).
Oggi “varranno” sì e no il 25%, a dimostrazione di come l'idea del compromesso storico fosse e sia rigettata dalla maggioranza degli italiani.
Entrambe le fazioni che si uniscono hanno perso ogni afflato ideale, per trasformarsi in un comitato politico-affaristico.
In un gigantesco conflitto di interesse (al cui confronto scompare quello che loro attribuiscono a Silvio Berlusconi) i due eredi del PCI e della sinistra DC convolano adesso ad un matrimonio con l’unico scopo di cercare di procastinare la loro permanenza nei posti di potere.
Prodi e D’alema, Fassino e Rutelli si apprestano a mettere la loro firma ad un partito che nulla ha da dire o da proporre agli italiani, perché rappresenta solo gli interessi di una casta di potere e non ha alcun progetto per il futuro perché tenacemente aggrappato al passato.
Realizzare oggi una idea di oltre 30 anni fa dimostra, ancora una volta, quanto siano obsoleti i personaggi che ne sono protagonisti e quanto sia necessaria una accelerazine verso una Destra vivace e combattiva che porti l'Italia a guardare al futuro e non al passato.

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19 aprile 2007

Francia al voto

Domenica prossima i francesi voteranno per il primo turno delle elezioni che decideranno quale sarà il presidente per i prossimi cinque anni.
I sondaggi indicano un ballottaggio tra il candidato di Centro Destra Nicholas Sarkozy e quella di sinistra Segolene Royal.
Ma se, sempre secondo i sondaggi, l’accesso al ballottaggio di Sarkozy non è in dubbio, quello della Royal potrebbe essere messo a rischio da François Bayrou (centro sinistra) o da Jean-Marie Le Pen (Destra).
Personalmente gradirei, in finale, un bel derby tra Sarkozy e Le Pen.
Vedremo.
Sicuramente Sarkozy è il candidato che sulla carta offre le maggiori garanzie di continuità, stabilità e, anzi, di un recupero della politica Atlantica.
Inoltre l’aver fatto propri alcuni temi della Destra di Le Pen, consentirebbe alla Francia di cominciare quella necessaria reazione sia ad una deriva eurabica che ad un lassismo nella gestione dell’ordine pubblico.
Non dimentichiamoci che Sarkozy sembra essere stato uno dei maggiori propulsori per l’arresto in Brasile del terrorista rosso Cesare Battisti cui la Francia per anni ha concesso asilo e che solo con Sarkozy agli Interni è stato prima catturato, poi, purtroppo già libero di fuggire, autorizzato all’estradizione per scontare i suoi crimini in un carcere italiano.
Contro Sarkozy può giocare proprio la stanchezza indotta da 12 anni di Chirac, ma soprattutto la vicenda dei due francesi in mano ai terroristi musulmani in Afghanistan se si concludesse male o con una capitolazione alle richieste degli assassini islamici.
Sarkozy rischia anche nel caso di un cruento attentato sul territorio metropolitano che, come già fu per Zapatero, potrebbe indurri i più pavidi a pensare che la miglior difesa non sia l’attacco, ma la fuga: dalle responsabilità, dall’onore e della battaglia.
Le Pen è probabilmente alla sua ultima avventura presidenziale.
Aveva iniziato prendendo lo 0,7% con il suo Fronte Nazionale e chiude avendo praticamente acquisito la legittimazione politica.
Sono sicuro che sarà onorato e ricordato dai veri francesi come colui che, con le sue battaglie a volte sopra le righe, ha costretto l’establishment gollista a fare proprie anche alcune sue posizioni.
Le Pen ha restituito coscienza della propria forza alla Destra francese e per lui arrivare al ballottaggio come già accadde nel 2002, sarebbe già una vittoria ma … non poniamo limiti alla Provvidenza.
I temi che Le Pen ha indicato sin dall’inizio della sua battaglia politica (ordine e immigrazione) sono ora, universalmente riconosciuti come temi sui quali ogni governo europeo è costretto ad intervenire se non vuole disperdere il proprio patrimonio nazionale e mettere a rischio la sicurezza dei propri cittadini.
In questo Le Pen è stato un precursore, come in Italia fu per Giorgio Almirante e per Umberto Bossi.
Bayrou è un ex gollista, riciclatosi tra i centristi dell’Udf (il partito che fu fondato da Valere Giscard d’Estaing).
Se vogliamo dar retta ai sondaggi ha avuto buon fiuto nel capire che se voleva giocarsi la possibilità di arrivare al ballottaggio (dove sempre i sondaggi lo darebbero vincente su Sarkozy grazie ai voti della sinistra) doveva cercare di sottrarre voti alla Royal.
Così ha fatto e può comunque dire di aver fatto una buona campagna elettorale anche se non si è esposto nelle scelte, proprio per mantenere un equilibrio tale da attrarre consensi da più “forni”.
Se arrivasse al ballottaggio dovrebbe scegliere: o temi di sinistra (alienandosi una parte dell’elettoratomoderato) o giocare sul terreno di Sarkozy, facendogli concorrenza sui temi di Destra.
Forse gli converrebbe questa seconda opzione visto che a sinistra, pur di non eleggere Sarkozy, sarebbero disposti a votare chiunque (tranne Le Pen, ovviamente) turandosi il naso (come del resto fanno gli elettori di sinistra inogni parte dle mondo …).
In fine la Royal.
Partita in gran spolvero, ha col tempo perso smalto (magari non quello delle unghie ...) ed evidenziato forti lacune che non direbbero bene per chi vuole governare la Francia.
Tra gaffes e atteggiamenti ondivaghi sembra però, se i sondaggi hanno ragione, riesca a conservare il secondo posto e arrivare al ballottaggio.
Ha dovuto concedere alla sinistra e al centro.
Ha dovuto scendere a patti con la gerontocrazia del suo partito e rinunciare in parte alla sua concezione monocratica che, però, qualora eletta, applicherebbe sicuramente.
Probabile che per fare maggioranza sia costretta a scendere a patti con Bayrou, il che dovrebbe migliorare il suo approccio ai problemi.
Resta comunque una candidata di sinistra, con tutti i difetti di quelli di sinistra, a cominciare da una concezione terzomondista e pauperista (solo per il prossimo, però …) della politica.
Non posso che concludere auspicando come già scrissi a gennaio: Francia 2007, purchè sia Destra .
E domenica una prima risposta.

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18 aprile 2007

Pubblico impiego,produttività e integrativi

Dopo aver suonato le campane a festa per l’intervenuto accordo, pronube Prodi, per il contratto del pubblico impiego, la trimurti sindacale ha nuovamente le armi al piede e propone l’ennesima minaccia di sciopero perché si sarebbe accorta che l’intesa è stata “tradotta” con una perdita secca di 9 euro sulla media di aumenti e con il “blocco” della contrattazione integrativa.
Ho qualche dubbio che tale “scoperta” non fosse già evidente nel momento del mediatico accordo, ma tant’è, questa volta la triplice ha ragione, almeno per quanto riguarda la contrattazione integrativa.
Dire pubblico impiego, infatti, è dire un universo mondo diverso tra categoria e categoria.
Imporre una soluzione uguale per tutti può essere solo una base, una sorta di “minimo” sotto il quale non è possibile andare, ma proprio per le peculiarità dei vari settori, l’integrativo è il contratto che meglio può rappresentare la realtà, premiando quei settori efficienti e produttivi.
Se l’accordo governativo impedisce questo sviluppo è un pessimo accordo e bene fa la trimurti a protestare.
Il pubblico impiego non può sottrarsi all’esame di efficienza cui sono costantemente sottoposti i lavoratori privati e se non è magari possibile quantificare immediatamente in “prodotto” tale efficienza, è però assumere a parametro altri fattori:
il numero di pratiche arretrate
i tempi di evasioni delle domande
i tempi di intervento
il numero di contenziosi aperti e la loro durata
le domande di iscrizione pervenute
le domande di trasferimento
.
Ed ogni categoria del pubblico impiego ha sue specifiche attività per le quali è possibile individuare elementi da porre a base dei parametri dai quali desumere l’efficienza o meno del servizio.
Uno stato civile e moderno si vede anche da come funziona la pubblica amministrazione.
Se, come è capitato a me, il cittadino deve perdere tempo per produrre copie di ricevute e fotocopie di atti che un pubblico servizio si è perso e, nonostante tali copie vengano prontamente consegnate, il pubblico servizio continua a ponzare sull’esito della domanda, allora anche i 92 euro di aumento che risulterebbero dalla rilettura dell’intesa tra la trimurti e il governo sembrano troppi.
Il pubblico impiego non deve più essere un gigantesco collocamento dove sistemare i propri clientes o i dipendenti in esubero di finanzieri amici, ma deve concorrere alla pari con le altre professioni a far correre l’Italia.
Regalie di aumenti generalizzati, dove il lavativo viene premiato quanto un serio lavoratore, non possono più essere autorizzate.
E per individuare dove funziona e dove non funziona, l’unica scelta è quella di ridurre l’ambito di applicazione di una norma, perché restringendo il campo degli interessati è più facile individuare efficienza e produttività.
In questo senso il contratto integrativo assume importanza non solo per il lavoratore coinvolto, ma anche per tutti i cittadini che, per le loro attività, dipendono dalla celerità e precisione della risposta pubblica.
Anche se ne dubito – la “fratellanza” politica indurrà secondo me all’ennesimo compromesso clientelare – mi auguro che la trimurti, per una volta, faccia la sua parte e obblighi il governo a dare il via alla contrattazione integrativa del pubblico impiego.

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17 aprile 2007

Il lavoro che uccide

Nell’ultima settimana sette sono stati gli incidenti mortali sul lavoro.
Le statistiche non dicono tutto, perché il numero (assoluto) dei morti sul lavoro dovrebbe essere rapportato al numero dei lavoratori attivi e, facendo così, si constaterebbe che non c’è alcuna emergenza particolare, tale da richiedere nuove leggi.
Sono più che sufficienti quelle esistenti: basta applicarle.
Anzi, se proprio vogliamo essere seri, dovremmo ridurre le disposizioni esistenti, facendo però in modo che il quadro normativo risultante venisse puntualmente rispettato.
Il nuovo ddl (l’ennesimo !) che la sinistra ha varato non fa altro che affastellare nuove norme su un complesso giuridico già fatiscente.
Norme che, immancabilmente, diventeranno desuete prima ancora che l’inchiostro con il quale sono state scritte si asciughi.
Fino alla successiva ondata di pelosa costernazione per una serie ravvicinata di morti sul lavoro.
E’ necessario, poi, fare dei profondi distinguo tra i vari tipi di lavoro: non si possono applicare le regole dei cantieri edili in un’aula scolastica, ad esempio.
E’ necessario che i controlli siano aumentati e improvvisi.
Occorre che i rappresentanti sindacali e della sicurezza abbiano autonomia nel richiedere ispezioni e che queste siano immediate.
Ma soprattutto occorrono meno norme e più chiare.
Occorre formazione.
Occorre educazione nell’uso degli strumenti di lavoro.
Insegnare a non prendere sottogamba anche ciò che si fa tutti i giorni.
La risposta della sinistra è quella di imporre nuovi vincoli e di aumentare l’impalcatura di leggi, così che si possa sempre scaricare la colpa su un “altro” che avrebbe dovuto fare/controllare e non ha fatto/controllato perché, a sua volta, un “altro” ancora non aveva detto/richiesto e così in uno scarica barile infinito.
Ma la sicurezza la si costruisce anche consentendo alle aziende di non dover contare il centesimo perché oberate da onerosi adempimenti burocratici che nulla hanno a che vedere con la loro attività.
Ad esempio l’ultima uscita di Ferrero, quello della “solidarietà sociale”.
Lui pensa che sia “solidarietà sociale” addossare alle aziende l’onere del volontariato.
Insomma, uno decide di prestare opera volontaria e quella sua opera viene regolarmente retribuita dalla sua azienda che gli concede permessi retribuiti.
Mi domando quale volontariato sia.
Mi domando anche se con tale sistema le aziende non saranno costrette a risparmiare su altre voci … ad esempio sulla manutenzione degli strumenti …
E mi domando quale valore abbia un volontariato che non crea alcun sacrificio in chi lo fa.
Ho titolato il post “il lavoro che uccide”, un po’ ad effetto.
Ma forse era meglio titolarlo: così si uccide il lavoro.

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16 aprile 2007

Mi sono rotto le palle

E non credo di essere il solo.
Dopo la rivolta cinese a Milano che ha scoperchiato il vaso di Pandora dell’illegalità di quella comunità, mi aspettavo una forte reazione di mass media e partiti.
Invece, a parte il sindaco Moratti che giustamente rifiuta “zone franche”, ho assistito a interpretazioni sociologiche, arrivate al punto da dar spazio al predicozzo dei comunisti di Pechino.
Già, proprio quelli che usano il pugno di ferro contro tutti coloro che violano, anche con il pensiero, i dettami del partito (unico) comunista.
Poi sono apparse scritte, logiche e naturali, contro la presenza cinese a Milano.
Subito sono insorti i professionisti in servizio permanente effettivo dell’indignazioni politicamente corretta e a senso unico: razzisti ! xenofobi !
Ma quale razzismo !
Quale xenofobia !
Quelle scritte rappresentano lo stato d’animo – che io ho rappresentato nel titolo – di gran parte della popolazione italiana davanti ad atteggiamenti di buonista tolleranza che maschera solo pusillanimità e decadenza.
Sono scritte – ripeto: logiche e naturale – che dovrebbero suonare come un campanello d’allarme.
La misura è ormai colma: o lo stato interviene (anche rimbeccando duramente i diktat di Pechino) oppure i cittadini, che non si sentono più tutelati, non tarderanno a difendersi da soli.
E il fenomeno delle “ronde” è sintomatico che si è imboccata – per l’assenza della repressione statuale – quella strada.
Le scritte contro i cinesi sono “razziste” e “xenofobe”, mentre quelle che minacciano e augurano la morte al Papa o a Monsignor Bagnasco sono “ragazzate”.
Ma vi rendete conto di dove siamo finiti ?
Mi sono rotto le palle di non poter chiamare “negro” un “negro” o “frocio” un “frocio”.
Mi sono rotto le palle di dover misurare le parole quando si parla di drogati, di omosessuali, di islamici, di cinesi.
Mi sono rotto le palle di dover concedere tutto allo sviluppo della religione musulmana e di veder compresso il diritto dei cattolici ad essere e manifestarsi tali.
Mi sono rotto le palle di vedere zingari appostati in permanenza davanti al cimitero quando vado a rendere omaggio ai miei.
Mi sono rotto le palle di vedere algerini e marocchini subentrare ai parchimetri, come un orologio, alle 20 chiedendo una tassa illegale per parcheggiare là dove, a quell’ora, si smette di pagare la tassa, già esosa, imposta dal comune.
Mi sono rotto le palle di veder perseguito chi si difende sparando e abbattendo un rapinatore, mentre viene concessa la massima tutela e garanzia a scippatori, rapinatori, assassini.
Mi sono rotto le palle di vedere il centro storico della mia città trasformato ogni sera in una zona off limits per la presenza di una fauna che definire umana sarebbe troppo e che vive di espedienti, piccoli scippi e furti, costantemente ubriaca o drogata.
Mi sono rotto le palle dell’accattonaggio ai semafori.
Mi sono rotto le palle dei “gay pride” o dei “rave party” che limitano il mio diritto a vivere la mia città.
Mi sono rotto le palle di veder ritardata di due ore la partenza dei treni perché, con delicatezza !!!, devono essere scaricati dai posti nei vagoni occupanti abusivi, senza biglietto che pretendono di essere trasportati gratis alle loro manifestazioni.
Mi sono rotto le palle di vedere massacrato dalle tasse il mio stipendio per pagare clientele e iniziative contrabbandate come “sociali” ma che servono solo ad alimentare il fancazzismo.
Mi sono rotto le palle.
E non credo di essere il solo.

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14 aprile 2007

L'antica e nobile arte della guerra

Poiché l'un campo e l'altro in un sol luogo
convenne, e si scontrâr l'aste e gli scudi,
e il furor de' guerrieri, scintillanti
ne' risonanti usberghi, e delle colme
targhe già il cozzo si sentìa, levossi
un orrendo tumulto. Iva confuso
col gemer degli uccisi il vanto e il grido
degli uccisori, e il suol sangue correa.
Qual due torrenti che di largo sbocco
devolvonsi dai monti, e nella valle
per lo concavo sen d'una vorago
confondono le gonfie onde veloci:
n'ode il fragor da lungi in cima al balzo
l'atterrito pastor: tal dai commisti
eserciti sorgea fracasso e tema
(Iliade, libro IV, Omero nella traduzione di Vincenzo Monti)


Qual massíla fera
ch'allor d'insanguinar gli artigli e il ceffo
disponsi, allor s'adira, allor si scaglia
vèr chi la caccia, che da lui si sente
gravemente ferita; e già godendo
de la vendetta, sanguinosa e fiera
con le iube s'arruffa, e con le rampe
frange l'infisso tèlo e graffia e rugge:
cosí la vïolenza era di Turno
accesa, impetüosa e furibonda;
e cosí conturbato appresentossi
al re davanti, e disse: «Indugio, o scusa
piú non fa Turno: e piú non ponno i Teucri
da quel ch'è patteggiato, e stabilito,
se non se per viltà, ritrarsi omai.
(Eneide, libro XII, Virgilio nella traduzione di Annibal Caro).


Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,
le cortesie, l'audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l'ire e i giovenil furori
d'Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.
(Orlando Furioso – Ludovico Ariosto)



S'ode a destra uno squillo di tromba;
a sinistra risponde uno squillo:
d'ambo i lati calpesto rimbomba
da cavalli e da fanti il terren
(Il Conte di Carmagnola – Alessandro Manzoni)


La guerra è da sempre musa ispiratrice di opere epiche.
Gli esempi – ne ho riportati solo quattro tra tanti – sono facilmente reperibili: è sufficiente andare con la memoria agli anni del liceo e chiunque ricorderà Autore e Opera ispirati da eventi bellici.
Le gesta degli Eroi mitologici, ma anche di personaggi realmente esistiti e che hanno informato con il coraggio un’epoca o un episodio, sono innumerevoli.
Ed ognuno è un esempio per i contemporanei e per i posteri di quel che deve essere fatto, con dignità ed onore.
Anche oggi possiamo vedere come la guerra metta a nudo l’intima essenza di ognuno, mostrando il coraggio delle proprie idee ed azioni davanti al nemico (un esempio fra tutti: Fabrizio Quattrocchi) o la pusillanimità nascosta dietro alla vuota retorica della resa pacifinta (gli esempi sono, purtroppo, innumerevoli).
La guerra non è certo il Bene e neppure un bene (solo uno sciocco auspicherebbe una guerra gratuita, per il gusto di farla e gli Eroi di tutti i tempi ci insegnano anche questo), ma può portare al Bene, perché neanche la pace, di per sé, è il/un bene se non è riempita di Sicurezza, Benessere e Libertà che si possono conseguire anche attraverso la guerra, quando l’unica alternativa è la resa.
Gli Antichi, i Romani nostri Avi, che se ne intendevano, dicevano “si vis pacem para bellum”: se vuoi la pace preparati alla guerra.
E spesso quella guerra dovevano farla per portare, sì, la Pax Romana e la Civiltà ai popoli che si erano loro opposti, ma anche e soprattutto per consolidare la loro Sicurezza, Libertà e Benessere contro le minacce nemiche.
Ed è sempre nello studio delle vicende storiche che hanno caratterizzato il progresso civile dell’Umanità che vediamo come gli stati nazionali si siano formati solo e soltanto attraverso guerre che hanno pacificato e unito e progredito.
La Francia (per unire il territorio dai Pirenei all’Alsazia Lorena eliminando nel contempo quello “stato nello stato” che erano gli Ugonotti), la Spagna (risorta con la Riconquista), il Regno Unito (che ha fatto di un’isola un Impero difeso anche di recente contro le aggressioni ai propri domini – Falklands - nel rispetto della volontà delle popolazioni locali).
Ma anche gli Stati Uniti d’America che sono passati attraverso quattro guerre (due contro gli Inglesi, una Civile e una - plurima - Indiana) combattute sul loro territorio per arrivare ad essere la potenza mondiale di oggi.
E l’Italia ?
L’Italia è arrivata ultima nel consesso degli stati nazionali.
Tante guerre tra i signorotti locali, ma nessuno a prevalere.
Solo nel XIX secolo siamo riusciti a trovare il bandolo della matassa, grazie alla diplomazia di Cavour e alle ambizioni di Vittorio Emanuele II.
E solo alla fine del XIX secolo e soprattutto nel XX secolo, con il Fascismo ma alla fine ormai delle avventure coloniali, abbiamo nuovamente (dopo l’epopea Romana) messo il naso fuori dai confini metropolitani, per tornare a diffondere civiltà.
Carl von Clausewitz sosteneva che la guerra non fosse altro che il proseguimento della politica con altri mezzi.
Concetto facilmente ribaltabile (ad esempio: la diplomazia non è che il proseguimento della guerra con altri mezzi).
Ma è un concetto che chiarisce bene quanto la guerra sia arte antica e connaturata all’uomo.
E’ giusto ricercare un equilibrio pacifico tra i popoli.
Era anche la finalità della politica Romana.
Ma è sbagliato sacrificare ad una falsa concezione di “pace”, la nostra Libertà, la nostra Sicurezza, il nostro Benessere, la nostra Terra, la Civiltà.
Non è solo sbagliato, ma non ne abbiamo neppure il diritto nei confronti di chi ci ha preceduto e di chi, da noi, riceverà il testimone.

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13 aprile 2007

Sinistra inaffidabile, senza dignità nè pudore

Il temporaneo ministro degli esteri, il già sfiduciato D’alema che però non molla la poltrona, ha proposto la sua relazione sulla vicenda del giornalista di Repubblica, alla camera.
Possiamo capire perché non solo gli Stati Uniti, ma anche gli alleati europei considerino oggi l’Italia alla pari di una nazione inaffidabile.
Hanno pienamente ragione anche se non fanno la distinzione che vorrei qui sottolineare: inaffidabile è il governo espressione della sinistra e di chi l’ ha votata, non la nazione italiana che, come dimostrano i sondaggi che danno il Centro Destra in netto vantaggio, è sana.
Dalla relazione di D’alema emerge una difesa abborracciata senza dignità né pudore.
Cosa significa, infatti, che l’interprete, poi sgozzato, fosse stato liberato assieme a Mastrogiacomo e poi ripreso dai terroristi, se non che è stata fatta (dai terroristi stessi) una scelta politica su chi liberare ?
Con quale faccia (immaginate la sostanza …) D’alema può dire che la via delle trattative "é un criterio consolidato", non stabilito dal governo Prodi ma "costantemente seguito negli anni dai diversi governi italiani e regolarmente sostenuto" ?
Berlusconi non ha mai provveduto ad esercitare pressioni sui governi alleati (e debitori come quello afgano) per liberare pericolosi tagliagole (che magari hanno partecipato allo sgozzamento dell’interprete …) perché se la trattativa è una prassi "seguita da molti altri governi occidentali, sebbene con modalità che variano di caso in caso" sono proprio le “modalità che variano di caso in caso” che, nella differenza, dimostrano la qualità o meno di una guida politica.
Infatti nelle precedenti insorgenze gestite dal Governo Berlusconi gli Alleati non hanno mai avuto nulla da ridire, se non nel caso della giornalista comunista del Manifesto e solo perché è stato provocato un incidente a causa delle scarse informazioni fornite all’alleato.
Mai, sotto Berlusconi, ci siamo visti recapitare una lettera di biasimo, mai siamo stati messi sotto osservazione da alleati che ci considerano inaffidabili.
Mai abbiamo rinunciato al ruolo guida della nostra intelligence a favore di un soggetto terzo e certamente non amico.
D’alema ha poi comunicato che ci sarebbe stata la possibilità di un blitz militare (come quello che liberò i compagni d’avventura di Fabrizio Quattrocchi) ma che la sinistra preferì mettersi nelle mani di Gino Strada (non ha detto proprio così, ma il risultato è quello).
Bravi !
Hanno preferito liberare dei terroristi assassini invece di dare la possibilità alle Forze di Sicurezza di mettere a segno un colpo che sarebbe anche stato psicologicamente importante contro i tagliagole e se ne vantano pure ?
Infine da rimarcare l’aspirazione di D’alema perché "il Paese dovrebbe mostrarsi unito e solidale" in frangenti come quello del rapimento del giornalista di Repubblica e ha confessato "una certa invidia" per quei Paesi dove in passaggi analoghi "non c'é nessuna polemica, nessuna protesta: sono Paesi che dimostrano un certo nerbo, infatti sono Paesi rispettati".
Un capolavoro di ipocrisia congiunto a voluta disinformazione.
Dov’era D’alema quando orde di pacifinti ostacolavano l’azione del Governo Berlusconi pur di puntellare Saddam ?
Ma, soprattutto, D’alema fa finta di dimenticare che nelle altre nazioni c’è una base di Valori comuni, riconosciuti, che fanno sì che non ci sia alcuna “discontinuità” tra le azioni di un governo e quelle del successivo anche se di diverso colore, nella gestione della politica estera, basti vedere come si comporta il socialista Blair.
Da noi come possiamo pensare di avere qualcosa in comune con i Gino Strada, i no global, i pacifinti, l’estrema sinistra che chiedono a gran voce “discontinuità” con le azioni del Governo Berlusconi ?
Quale rispetto può avere un governo che si propone di distruggere tutto quello fatto dal Governo Berlusconi ?
Quale coesione si può avere con un governo che ha nel suo organico dei comunisti anche non pentiti e dichiaratamente tali nel terzo millennio ?
Con i comunisti non c’è alcuna possibilità di unità e solidarietà: perché i Valori divergono in modo inconciliabile anche quando loro fanno pelose (e ritardatarie) autocritiche, anche quando a parole dicono di adeguarsi ai principi democratici e liberali.
Non ci può essere coesione con questa sinistra nella quale i comunisti rappresentano l’azionista di maggioranza assoluta.
E spiace vedere che anche Berlusconi si lascia cullare dal messaggio buonista e rinuncia ad attaccare la sinistra, rinunciando a metterne a nudo le contraddizioni, gli errori, la mancanza di dignità, di pudore e l’inaffidabilità che, oggi, l’Italia sconta con gli Alleati.
L’interesse prioritario dell’Italia è mandare a casa Prodi e i suoi, non coprirne le incompetenze.

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12 aprile 2007

Risarcimento coloniale

Quando ho letto che il temporaneo ministro degli esteri era andato a passare la Pasqua con Gheddafi e che avevano parlato di risarcimento per l’epoca coloniale in Libia, ho pensato due cose.
La prima che il proverbio popolare (“dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”) è azzeccatissimo e sempre attuale: con tutto il tempo a disposizione per le visite obbligate, proprio a Pasqua D’alema doveva incontrarsi con Gheddafi … a meno che non ci sia una particolare affinità tra i due …).
La seconda è che, nonostante tutto, aveva ottenuto qualcosa di buono: il riconoscimento, tradotto in risarcimento, delle opere che noi Italiani realizzammo durante la nostra Amministrazione in Libia.
Purtroppo è stato sufficiente proseguire nella lettura dell’articolo, per capire che secondo quel genio, dovremmo essere NOI a risarcire la Libia !!!
Ma di cosa ?
Di aver portato la fiammella della Civiltà in un deserto ?
Di aver portato banchi di scuola e costruito case e strade (tanto da farci sfottere dagli Inglesi che dicevano “gli Italiani sbarcano banchi di scuola e cannoni, resteranno solo i banchi di scuola” ?).
Di aver iniziato le rilevazioni, scoprendo i giacimenti di petrolio che arricchirebbero la Libia se non fossero considerati proprietà del rais ?
Di aver portato ordine e senso dell’unità nazionale ?
Di non aver reagito quando, dopo il colpo di stato del 1969, Gheddafi confiscò tutti i beni degli Italiani ?
Due anni fa scrissi un post “Elogio del Colonialismo” che ritengo tuttora validissimo.
Ma, qualcuno potrebbe obiettare, anche Berlusconi andò in Libia e anche Berlusconi promise di realizzare opere pubbliche.
Vero ma, come per le vicende dei rapiti dai terroristi, l’approccio è stato sostanzialmente diverso.
Nel terrorismo, le trattative (alle quali ero e resto contrario !) con i terroristi furono gestite dai nostri Servizi Segreti e non appaltate ad un soggetto estraneo e se fu pagato un riscatto (vergogna !!!) non si arrivò mai a ricattare un governo amico perché liberasse anche dei criminali assassini (vergogna all’ennesima potenza !!!).
Quello di Berlusconi a Gheddafi, quindi, era un invito alla cooperazione, dove noi mettevamo know how e capitale e loro capitale e lavoro in un interscambio paritario dal quale ambedue le parti avrebbero guadagnato, senza che da parte del nostro Governo si parlasse di “risarcimento” per il bene (perché tale è stato e il bene non richiede risarcimenti) che l’Italia ha fatto in Libia.
D’alema, invece, sembra abbia prospettato che tutti gli oneri fossero a carico dell’Italia, proprio in funzione risarcitoria, con un costo che vanificherebbe i sacrifici ingiustamente imposti dalla sinistra con la finanziaria 2007.
E per cosa, poi ?
Per “riconoscere” un risarcimento che, se mai dovesse esserci, dovrebbe spettare a noi per tutto quel che di buono abbiamo fatto in Libia e per la confisca dei beni dei nostri connazionali nel 1969 ?
Ma che razza di ministri (temporanei) mandiamo in giro per il mondo ?
Per forza,alora, che tutti ci prendono per il c***, in politica come nello sport e nello spettacolo !

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11 aprile 2007

Perversione mediatica

La trasmissione di Emanuela Falcetti, cui abbiamo già accennato, si intitola “Istruzioni per l’uso”.
Ma di istruzioni a volte, sempre più spesso, non se ne hanno proprio.
Venerdì 6 era il momento della “indignazione” per la morte suicida di un ragazzo sedicenne di Torino.
Della vicenda ne ha già scritto in modo assolutamente condivisibile, Stars&Stripesforever .
Qui voglio affrontare un altro aspetto del problema che si può ascrivere alla “perversione” del sistema mediatico.
Un sistema che ha, da subito, fatto da cassa di risonanza per la propaganda omofila, dando per scontato che:
- il ragazzo si sia ucciso per l’accusa di essere “gay” che gli veniva appioppata dai compagni di scuola
- il ragazzo fosse effettivamente omos
essuale.
Assunti che non hanno ancora trovato alcuna prova certa.
Non che fosse omosessuale, non che fosse l’unica presa in giro che lo mortificasse.
Del resto se uno si sente a tal punto offeso dalla qualifica di “gay” è molto probabile che tale non sia.
La mattiniera Falcetti ha comunque preso in mano la situazione e imbastito la trasmissione di venerdì 6 su tale questione.
Naturalmente le trombe del giudizio hanno suonato a senso unico.
Era presente un parlamentare dichiaratamente omosessuale, comunista, presentato come presidente onorario dell’Arci gay, ma non c’era alcun ospite chiamato a rappresentare una controparte: quella vasta opinione pubblica – alla quale mi onoro e vanto di appartenere - che non ritiene normale l’omosessualità.
E già qui vediamo la prima violazione di una par condicio che, su simili temi, dovrebbe essere esercitata con la massima attenzione, altrimenti si scade nella propaganda di parte e, nello specifico, nel mero sfruttamento di una disgrazia per finalità estranee alla vicenda.
Ma, soprattutto, tutta la trasmissione è stata articolata sulla questione omosessuale come se i suicidi, tentati o anche riusciti, perché “grassi”, “brutti” o per gli insuccessi scolastici, non fossero degni di analisi.
Come ha scritto Stars&Stripes : chi di noi non è mai stato oggetto di scherzi, anche pesanti, a scuola, all’università, durante il servizio militare (i famosi “gavettoni”: il cucù e la rivista cingoli, tra gli esempi meno “pesanti” e più goliardici) o anche al lavoro ?
E’ la risposta che ognuno di noi fornisce a tali episodi che dobbiamo esaminare, non il tipo di scherzo o presa in giro che viene portata.
Ed è compito della famiglia, prima ancora che della società, insegnare ai più giovani a difendersi e rispondere a tali comportamenti, in modo tale da acquisire il rispetto del prossimo.
Giustamente Stars&Stripes punta l’indice contro una società che ha elevato al rango di totem la "cultura" della resa e questo senza che le famiglie riuscissero a contrastarla.
Il messaggio che viene inviato e quindi percepito, dalle giovani generazioni è un messaggio di debolezza intrinseca, a fronte del quale l’unica legge è quella del “branco”.
Come si può vedere nulla di tutto ciò ha a che vedere con l’accusa di omosessualità che, prendendo per oro colato le prime informazioni, è diventata il centro di ogni dibattito, con i sostenitori di leggi per la elevazione a diritto dei capricci omosessuali, che, non fermandosi neppure davanti alla morte, hanno sfruttato il momento.
E’ la classica figura di quanti, davanti ad un problema complesso, si fermano, individuandone anche un tornaconto personale, a guardare il dito di chi cerca di indicare il problema generale.
E il problema generale è l’educazione delle giovani generazioni.
Un’educazione che deve trovare nella famiglia, naturale, al cui vertice devono esserci un uomo e una donna, il suo nucleo di base per insegnare al rispetto della gerarchia, del prossimo, del più debole, ma anche a saper reagire alle avversità con forza e carattere, per acquisire il rispetto degli altri e soprattutto per avere rispetto di se stessi.

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