Ciò che è bene per la sinistra è male per l’Italia. Ciò che è male per la sinistra è bene per l’Italia.

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Si devono intraprendere le guerre per la sola ragione di vivere senza disturbi in pace (Cicerone)

No alla deriva

No alla deriva
Diciamo NO alla deriva

30 settembre 2007

La Secessione è un diritto

Umberto Bossi, il Leader della Lega, è tornato.
Già da alcuni mesi, nonostante la voce più che roca, il senatùr aveva dimostrato di “esserci”, riprendendo in mano il movimento da lui fondato e partecipando in prima persona alle più importanti occasioni di incontro con Berlusconi e con gli altri alleati.
Ieri, nella splendida cornice palladiana di Villa Bonin Maistrello a Vicenza, l'alfiere del federalismo è tornato a tuonare, durante la sessione dei lavori del Parlamento del Nord alla presenza del Presidente Silvio Berlusconi, contro le varie oppressioni romanocentriche.
Il riflesso compulsivo della sinistra è stato immediato, con il segretario del partito presunto democratico che vorrebbe “fermare” Bossi.
Non dice come anche se le radici comuniste del soggetto ci fanno intuire il metodo che intenderebbe usare.
Bossi fa paura e fanno paura le idee della Lega, come dieci anni fa.
Perché Bossi ha ragione, perché gli Italiani sanno che ha ragione, perché i fatti gli stanno dando ragione.
Il Governo Berlusconi aveva introdotto, con la Riforma Costituzionale, elementi di interessante federalismo che andavano nel senso di un processo di rinnovamento delle nostre istituzioni nazionali.
Elementi di governabilità (la figura e i poteri del Premier), di snellezza (la fine del bicameralismo perfetto e la riduzione dei parlamentari), di ripartitizione dei poteri a favore delle regioni che avrebbero conquistato più autonomia, parificando le 15 regioni attualmente “ordinarie” ale 5 a statuto speciale.
La scelta solo ideologica, della sinistra fu quella di far leva sul sentimento di paura di abbandono da parte del nostro Meridione che, infatti, votò compattamente contro la Riforma.
Le elezioni del 2006, con il dubbio esito degli scrutini , hanno portato al governo personaggi (Prodi, D’alema, Veltroni, Fassino, Letta, Napolitano, Diliberto, Pecoraro, Bertinotti, Marini … ) davanti ai quali anche un nazionalista quale io sono è costretto a dire: meglio la Secessione che loro.
E la Secessione è un diritto dei cittadini prima ancora che dei popoli perché lo stato altro non è che un contratto mediante il quale più persone si associano per fruire dei benefici che derivano dal mettere in comune risorse, ingegni, forza.
Ma quando la sperequazione nell’uso delle risorse fa sì che alcuni di questi cittadini siano sistematicamente danneggiati a favore di una casta che è nomenklatura di funzionari, boiardi e burocrati, allora quel contratto può (e deve) essere legittimamente rescisso, consentendo ai cittadini di ricostituirsi in diverse strutture associative.
Quando la sinistra, occupando – nel modo dubbio che abbiamo già citato e più volte ricordato - i palazzi del potere centrale, con tasse abnormi, con persecuzioni economiche, spionaggi fiscali, con scellerate scelte ideologiche fondate sul pauperismo e su un malinteso senso di accoglienza, rinunciando ad una versa politica di sicurezza, penalizza i cittadini che producono, allora questi hanno il diritto (e il dovere) all’autodifesa che si manifesta con l’anelito alla Libertà che deriva dalla Secessione.
La Cecoslovacchia ha fatto da apripista per una separazione pacifica in due stati, con reciproca soddisfazione dei rispettivi cittadini.
Nel Belgio acquista forza un analogo movimento secessionista.
Perché non dovrebbe essere permesso in Italia parlare di Secessione ?
Forse perché i comunisti al governo, con le loro foglie di fico catto-comuniste, hanno in mente, ora come nel 1956 e nel 1968, il centralismo burocratico che soffoca, con ogni mezzo, la Libertà individuale ?
E allora ci spieghino perché quel che hanno, anche loro, tanto esaltato nella “rivoluzione arancione” dell’Ucraina 2004 e che, ancor oggi, li vedono esprimere concetti celestiali nei confronti dei monaci birmani che cercano di ribellarsi al regime (comunista) che li opprime da 50 anni, non dovrebbe essere applicato anche in Italia.
Perché non far votare i cittadini di ogni provincia del Nord su un referendum se vogliono o meno la Secessione, come hanno fatto in passato (e potrebbero tornare a fare) gli abitanti dell’Ulster e del Quebec?
Perché quel che viene riconosciuto come un diritto ad altri, non deve esserlo per noi Italiani ?
La risposta è una e una sola: i comunisti attaccano Bossi, perchè il loro dna è ancora ad alto tasso di totalitarismo.

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28 settembre 2007

La difficile sintesi nell'Italia politica

I media sono pieni di articoli e dibattiti che prendono spunto dalla crisi politica deflagrata per la incapacità della sinistra di esprimere una seria amministrazione della nazione e un progetto di ampio respiro, una sinistra il cui unico scopo è quello di conservare la propria poltrona, contro tutto e tutti.
Ma la crisi della politica è ben più profonda e trova le sue ragioni nella difficoltà delle varie correnti di pensiero a trovare una sintesi con quelle più vicine, oltre a scontare la presenta di un fattore, quello “k”, che ha provocato una situazione anomala rispetto al resto del mondo libero dove i comunisti sono ormai ridotti a percentuali irrisorie.
La presenza di un fattore che in Italia rappresenta un consolidato 25% circa dell’elettorato – perché per quanto mi riguarda Fassino, D’alema e soci restano comunistialtera gli equilibri al punto da costringere ad una innaturale alleanza liberali e conservatori in contrapposizione a quella – ugualmente innaturale – tra comunisti, socialisti e clerico marxisti.
Per i pignoli preciso che le classificazioni sono onnicomprensive delle varie identità di cui ogni gruppo è composto.
La sinistra, in questa situazione, è paralizzata, costringendo il governo che ne è espressione ad una politica schizoide tra aperture, peraltro solo apparenti, alla modernità e sclerosi ideologiche di cui le velleità terzomondiste, pauperiste e illiberali sono la punta apicale.
Ma anche il Centro Destra ha avuto e continua ad avere difficoltà nel formulare un progetto condiviso, dovendo scontare molteplici spinte identitarie.
Il sistema elettorale ideato per le elezioni del 2006 poteva consentire di trovare un punto di incontro tra l’esigenza di esprimere una maggioranza e le caratterizzazioni identitarie, ma è stato (volutamente ?) boicottato con l’imposizione del quorum regionale che ha provocato la ridicola situazione del senato (e magari anche alterato dai non ancora acclarati esiti degli scrutini).
Le tensioni che emergono a sinistra, mostrano l’impossibilità di far convivere elementi estremisti con personaggi (Dini, Di Pietro, Mastella) che non si sa (o forse lo si sa benissimo ma sono motivi che esulano dalla politica) per quale ragione si siano intruppati in quella coalizione.
Nel Centro Destra la situazione è più chiara anche se non mancano elementi (mi riferisco espressamente ai Riformatori Liberali) che ritengo un corpo estraneo alla Coalizione e che si troverebbero più a loro agio dall’altra parte.
Personalmente il cambio lo farei ….
Resta la questione di una alleanza che vede conservatori e liberali uniti, probabilmente, su temi di politica estera (cosa che la sinistra neppure può immaginare), ma divisi - sia pur non in modo traumatico - sia sulla politica economica e interna (intendendo con questa l’ordine pubblico, la giustizia, il lavoro).
Questa distinzione emerge leggendo numerosi blog dell’area del Centro Destra, dove quelli di ispirazione più marcatamente liberale o liberista hanno una – a mio parere – spropositata attenzione alla politica estera, infatuazioni per leaders stranieri (della serie l’erba del vicino è sempre la più verde) e eccessiva sovraesposizione sulla questione di Israele.
Temi sui quali sostanzialmente si può essere d’accordo, ma non attribuendo loro quella rilevanza che, per i conservatori, come è naturale che sia, deve essere posta sui temi interni, sul solco di un sano nazionalismo.
E in questa sede accantoniamo quelli che i radicali definiscono “diritti civili” perché la distanza è, con ogni evidenza, incolmabile.
E’ quindi necessario tornare alla politica, ai temi della politica e non alle esclusioni personalistiche.
Non ho alcuna riserva ad accettare come compagno di viaggio, anche temporaneo, chi su determinati temi la pensa o agisce contro le idee che sostengo, ma pretendo reciprocità.
I grandi gruppi ideali, che assommano al loro interno varie correnti identitarie, devono ritrovarsi per macroaree affini per definire un progetto di base condiviso, lasciando libertà di scelta e di azione su temi che esulano dal governo immediato della nazione, senza lanciare anatemi né elevare barriere, aspettando la definitiva risoluzione – probabilmente per fattore anagrafico – del “fattore K” che è il reale ostacolo per ogni vero progresso dell’Italia.

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27 settembre 2007

La via italiana alla giustizia

La Corte di Cassazione ha sentenziato: occupare una casa non è reato se si è in stato di necessità.
Se volessi commentare la sentenza dovrei approfondire il caso specifico e ricordare che in Italia non vige lo stare decisis anglosassone, per cui domani potremmo trovarci a commentare una sentenza che punisce rigorosamente chi avesse occupato abusivamente una casa, perché ogni giudice “interpreta” la legge (anche se, a mio parere, la legge andrebbe applicata e non interpretata e se vi sono magistrati che la interpretano o sono sbagliati loro o è sbagliata la legge).
Ma non voglio commentare la sentenza, ne prendo spunto per collegarla ad un’altra situazione che ha trovato ampia eco sui media: la protesta fiscale.
Casa e tasse.
Se la casa è un diritto, se lo stato di necessità giustifica l’occupazione di un appartamento (purchè sia vuoto e di edilizia popolare, cioè destinato alla fascia più debole della società) e se chi agisce per far valere un proprio diritto – negatogli dalle istituzioni preposte – viene legittimato dalla magistratura, perché altrettanto non dovrebbe accadere per chi, operando sul suo proprio denaro, legittimamente guadagnato, si riduce le tasse che paga allo stato ?
Soprattutto considerando che, in cambio, lo stato non fornisce quei servizi adeguati ai costi che sosteniamo per mantenerlo.
Caso di cui sono venuto a conoscenza oggi: dall’1 ottobre la sanità ha un giro di vite nelle prestazioni.
Se si supera un determinato budget di spesa, il cittadino che dovesse (obbligo, anche la saluto è un diritto fondamentale, o non più ?) farsi operare deve pagare di tasca propria o mettersi in una lunga lista di attesa che, adesso, rischia di diventare ancora più lunga.
La domanda è: la sinistra ha aumentato le tasse, anche quelle relative ai contributi e riduce le prestazioni ?
Ma perché dobbiamo ridurre la nostra capacità economica, quando poi dobbiamo pagarci tutto ?
Ecco che la Corte di Cassazione, con la sentenza de quo, ha aperto una interessante via italiana alla giustizia, anzi alla giustizia fai da te.
Se è legittimo occupare una casa, perché è un diritto e le istituzioni non provvedono, deve essere altrettanto legittimo autoridursi le tasse per compensare i maggiori costi derivanti dalla inefficienza dei servizi pubblici.
Chi semina vento

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26 settembre 2007

Indulto da esportazione

Una volta si diceva che dagli Stati Uniti importavamo sempre il peggio (in fatto di costumi, abitudini, musica, film …).
Da oggi possiamo affermare che anche l’Italia ha cominciato a cercare di piazzare il peggio di se stessa.
Per la verità cominciò già nel 1999, quando Prodi fu esportato nella commissione europea e cominciarono a conoscerlo.
Ma l’intervento dello stesso Prodi – in un’aula desolatamente semivuota – all’assemblea dell’onu di ieri ha espresso il peggio dell’Italia.
Un’Italia di cui non possiamo che vergognarci, occupata e preoccupata degli equilibri interni ad una sgangherata coalizione che regge solo per la fame di poltrone della sua nomenklatura e che non è in grado di esprimere altro che il nulla (e lo manda pure all’estero a fare discorsi).
Bruciante il confronto con l’assemblea dell’onu attenta e presente in ogni settore per ascoltare il Presidente Bush, il Cancelliere Merkel, il Presidente Sarkozy e persino l’iraniano Ahmadinejad (o come cavolo si scrive).
Un’Italia bizantina, ripiegata su stessa che ha anche rinunciato ad inseguire un posto permanente nel consiglio di sicurezza.
Un’Italia buonista per necessità, non per convinzione, che non rende il dovuto omaggio al sacrificio del nostri militari impegnati nelle aree calde del mondo.
Un’Italia accucciata ai piedi delle richieste radicali relative alla moratoria sulla pena di morte, che non distingue i sistemi politici e giuridici affastellandoli in un unico ambito e che si propone di esportare nel mondo il nostro modello (ben poco da imitare) di una politica della sicurezza priva di quei requisiti necessari a rendere sicura la giornata dei cittadini onesti.
Un’Italia che sembra voler esportare solo il “virus dell’indulto”, che favorisce esclusivamente i criminali, invece di sostenere una politica globale di lotta alla criminalità attraverso gli abituali strumenti della prevenzione e della repressione che contempla anche l’applicazione di pene severe, rapportate ai delitti commessi, purchè comminate al termine di un processo in cui la difesa abbia parità di condizioni con l’accusa.
Un’Italia “legale lontana mille miglia (per fortuna) dall’Italia reale che non può certo sentirsi rappresentata da un signore imbolsito e dal noioso eloquio funebre che può, al massimo, rappresentare, anche figurativamente, solo la sua parte politica.
Tocca al Centro Destra, rifiutando ogni collusione, ogni convergenza con la sinistra, restituire dignità alla nazione, credibilità nei confronti degli Alleati e, soprattutto, speranza nel futuro agli Italiani.

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25 settembre 2007

Il Conservatorismo compassionevole del Papa

Domenica scorsa, il Pontefice Benedetto XVI è intervenuto con un piccolo anticipo di quella che potrebbe essere la sua prossima enciclica dedicata al sociale.
La ricerca di un profitto eccessivo porta a svilire e calpestare la dignità umana.
Un concetto che non solo non è nuovo nella Chiesa, ma che appartiene all’insegnamento cristiano.
A sinistra hanno reagito in due modi diversi: ostentando indifferenza oppure strumentalizzando le parole, come già accadde con le invocazioni alla pace del predecessore di Papa Ratzinger.
Ma, come noto, non avendo alcuna fiducia nella nomenklatura di sinistra, non me ne occupo.
Invece devo occuparmi della reazione dell’ala liberalliberista con la quale, purtroppo, nella situazione peculiare dell’Italia, siamo costretti a convivere e anche ad allearci.
I talebani di un malinteso liberismo hanno preso cappello e si sono scagliati contro il Pontefice, reo di aver criticato il capitalismo, esattamente come i talebani dell’antifascismo si scagliano contro chi (De Felice, Pansa ad esempio) mette in luce gli aspetti negativi di tale movimento o i talebani dell’islam lanciano fatwe contro chi ironizza sui loro miti.
Mi sembra che la reazione dei massimalisti del liberismo sia fuori dalla logica.
Intanto perché sembrano confondere l’Hobbes dell’ homo homini lupus, con il Locke della società liberale, poi perché fanno emergere quel sentimento anticlericale che è una loro caratteristica negativa.
Come i tori quando si sventolo davanti al loro muso un drappo rosso, così i liberisti radicali vanno in confusione ad ogni parola del Papa.
Ma il Pontefice è il rappresentante di una Istituzione che ha più di duemila anni di Storia sulle spalle e che, oggi, rappresenta la continuità morale e civile di una società, di una civiltà, quella occidentale, che ha prodotto i migliori risultati per i popoli che vi appartengono o che vi si sono aggregati (penso, ad esempio, ai giapponesi).
Ma vivere nella migliore società possibile, non esime dal ricercare di migliorarla, perché la migliore società e civiltà possibile – la nostra – non è una società o una civiltà perfetta.
Ecco dove si innestano l’insegnamento, i moniti, di un Pontefice dello spessore culturale e morale di Joseph Ratzinger.
Un Papa che non ha preoccupazioni di governo terreno e, quindi, può indicare una strada da percorrere che sia da esempio per chi crede e anche per chi non crede, perché anche questi ultimi non possono disconoscere l’autorità morale del Papa di Roma, il retaggio e il significato di simboli, quali la Croce, che trascendono l’aspetto religioso per appartenere a tutti noi.
Allora il richiamo del Pontefice non solo è pertinente, ma deve far riflettere e essere tenuto in debita considerazione dal legislatore e dai singoli cittadini il cui comportamento virtuoso potrò produrre quel progresso sociale che è a vantaggio di tutti.
Quello che il Papa ha comunicato può essere ricompreso o, meglio, completare quel “conservatorismo compassionevole di cui il Presidente George W. Bush fece il suo cavallo di battaglia nel 2000 e che magari, senza l’aggressione musulmana e la guerra al terrorismo che siamo costretti a combattere per la nostra stessa sopravvivenza, avrebbe potuto svilupparsi in un netto miglioramento dei rapporti sociali nella nostra società.
E per passare dalla teoria alla pratica, vorrei segnalare l’articolo pubblicato il 13 settembre scorso su Libero nel fascicolo dedicato al mercato e finanza (che non riesco a reperire nel sito del quotidiano).
Il titolo dice già tutto: “Io, rovinato dal ciclone derivati”.
E’ la storia di un imprenditore, che ha dovuto portare i libri in tribunale, che avendo bisogno di finanziare la sua attività ha sottoscritto finanziamenti e “coperture” che si sono rivelati dei boomerang e, allargando il tema, chiunque si occupa di servizi bancari sa delle problematiche che determinati prodotti finanziari hanno fatto emergere.
Ma sa anche che ciò è conseguenza di un sistema che tende a massimizzare il profitto (aziendale e personale) ponendo in secondo piano l’etica del lavoro.
E si potrebbe proseguire con le operazioni di borsa fatta da raiders che muovono spesso denari non loro e, senza creare alcuna ricchezza generale, consumano solo – per un profitto sempre maggiore – quella di tutti.
E’ quindi sbagliato il richiamo del Pontefice ad un profitto che sia “giusto ?
No, come non lo era il richiamo del Cardinal Bertone a tasse che fossero “giuste”.
Il Papa non ha detto che il profitto è comunque sbagliato (come fanno i comunisti) né ha proposto di far “piangere i ricchi”, ha solo reclamato delle regole che impediscano gli eccessi che favoriscono solo i farabutti.
Non è una “terza via, è “la” via, quella che deve essere percorsa, che premia il merito che è fatto di capacità ma anche di onestà.

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24 settembre 2007

Opzione militare

La liberazione dei due militari italiani rapiti in Afghanistan tramite un blitz militare, riporta alla memoria la liberazione dei colleghi di Fabrizio Quattrocchi.
L’opzione militare, l’uso della forza, è sicuramente la soluzione più idonea per lanciare un messaggio chiaro e netto ai terroristi ed ai banditi di qualunque specie.
Ma non solo la liberazione dei nostri militari, anche il raid con il quale, dopo una attenta operazione di intelligence, Israele ha distrutto le velleità nucleari della Siria merita il nostro plauso, esattamente come fu un ventennio fa contro le installazioni nucleari dell’Iraq.
Ambedue le operazioni, pur nella loro diversa natura e scopo, sono utili a lanciare un forte messaggio a stati, come l’Iran, che tentano una loro via al rafforzamento militare, minaccioso per il mondo.
Ed è una garanzia per tutti noi che temevamo da un lato la riproposizione del calvario delle trattative e dei messaggi dei rapitori, dall’altro la maggiore disponibilità di armi di distruzioni di massa da parte di stati contigui al terrorismo islamico.
Sono sempre stato e rimango dell’idea che per trattare con il prossimo bisogna usare un linguaggio che possa capire.
Iran, Siria, come prima l’Iraq di Saddam, hanno una percezione diversa degli atteggiamenti di noi Occidentali, esattamente come le reazioni degli immigrati musulmani non rispondono a quegli automatismi indotti dal sedimentare di una cultura pacifica e civile.
Quindi mostrare debolezza significa anche stimolare una maggiore aggressività da parte di questi popoli e, soprattutto, da parte dei tiranni che li governano.
Probabile che in Iran e in Siria abbiano frainteso il significato della conquista democratica del Congresso Americano e immaginato un Bush sotto tono.
Bush, invece, non ha esitato a fornire il suo placet e a collaborare nella riuscita del blitz israeliano.
E per una volta diamo atto a Prodi di aver autorizzato il blitz (anche se ci rimane un duplice dubbio: era stato informato ? lo avrebbe autorizzato se al posto di due militari ci fossero stati due giornalisti o due simone ?).
Questi due episodi, a distanza di meno di 20 giorni, dovrebbero far riflettere sulla opportunità di dare credito e spazio ai terroristi e ai loro “fratelli”, sia chiamino essi hamas o hetzbollah (magari accreditandoli con passeggiate a braccetto amichevole), così come dovrebbe far rinsavire dalla sbornia di alcune amministrazioni comunali che, da Bologna a Ravenna a Napoli, si propongono di costruire cittadelle islamiche nel cuore dell’Occidente.
La miglior difesa è l’attacco.
Il blitz con il quale sono stati liberati i nostri militari e il raid israeliano in Siria confermano la validità del vecchio detto popolare.

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23 settembre 2007

Un no convinto all’accordo su welfare e pensioni

In questi giorni iniziano le assemblee dei lavoratori dipendenti (e dei pensionati ... ?!?) che porteranno l’8, il 9 e il 10 ottobre al referendum della triplice che dovrebbe mettere il sigillo sull’accordo del 23 luglio scorso, primo passo verso una controriforma delle pensioni e del mercato del lavoro.
Il referendum ha un esito scontato: vinceranno i “sì” nonostante molti lavoratori voteranno “no”.
E vinceranno i “sì” perché a fronte del “no” annunciato dalla FIOM CGIL e del “ni” della UILM/UIL la nomenklatura della trimurti metterà in campo i suoi legionari, i pensionati.
I pensionati che hanno rappresentato il nucleo portante di tutte le manifestazioni sindacali che nel quinquennio di Berlusconi Presidente del Consiglio hanno cercato di ostacolarne l’azione riformatrice.
E già la presenza dei pensionati su un accordo che riguarda – in termini di costi – i soli lavoratori attivi è una anomalia che viene giustificata dalla nomenklatura sindacale con la presenza di norme che interessano direttamente i pensionati.
Si sentono le unghie graffiare il vetro, perché i pensionati sono sì interessati, ma esclusivamente per incassare.
Ma a parte queste amenità, l’accordo è vantaggioso per i lavoratori ?
Sicuramente lo è per chi nel 2008 compirà i fatidici 35 anni di anzianità e 58 di età.
Con la Riforma Maroni non sarebbe andato in pensione, con la controriforma catto-comunista, sì.
Analogamente si può dire di chi avrà un rapporto 35/60 o 36/59 dal 1° luglio 2009 e 35/61 o 36/60 dal 1° gennaio 2011.
Il vantaggio si ferma qui.
La celebrata Cgia di Mestre ha calcolato che in anticipo rispetto alla Riforma Maroni, sarebbero 100.000 i lavoratori che potrebbero andare in pensione.
Centomila su venti milioni, lo 0,5% del totale.
A fronte di questo “vantaggio”, ci sono i costi che la controriforma produce e che verrebbero recuperati con svantaggi per chi resta.
A cominciare dai coefficienti di trasformazione, quel meccanismo infernale che calcola la rivalutazione della pensione per chi sarà soggetto al metodo contributivo, in base a vari elementi, il principale dei quali è l’aspettativa di vita che, come tutti sanno, per noi Occidentali è in progressivo innalzamento (per fortuna).
In sostanza con tale meccanismo più si calcola che si può vivere a lungo, più bassa è la tua pensione perché più a lungo te la si deve pagare.
Così vediamo che, oltre a disporre la revisione dei coefficienti ogni tre anni anziché ogni dieci come attualmente in essere, già il primo passo (nel 2010) porterà (dati reperibili sul sito della Cisl) a questi risultati:
chi andrà in pensione a 57 anni vedrà scendere il proprio coefficiente da 4,720 a 4,419
58 anni: da 4,860 a 4, 538
E così via fino ai
65 anni: da 6,136 a 5,620.
Poi, però, chi vota “sì” e va in pensione non si deve lamentare se “non si arriva a fine mese”.
Ma l’aspetto più grave dell’accordo del 23 luglio è che, a fronte di costi certi, dopo che la situazione dei conti previdenziali era stata sistemata dalla Riforma Maroni, non vi sono garanzie di effettivi benefici per i lavoratori.
Il punto che, tra i colleghi, sento maggiormente apprezzato è il ripristino delle 4 finestre di uscite per chi raggiunge i 40 anni di anzianità.
MA NON E’ SICURO.
Lo stesso segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni, nel presentare sul suo sito l’accordo scrive: “Il governo e le parti sociali costituiranno, inoltre, una commissione allo scopo di esaminare:
- la possibilità di estensione delle attuali due a quattro delle finestre utili per il pensionamento anticipato con il requisito contributivo dei 40 anni
…”
La possibilità, nulla è acquisito e nel testo dell’accordo si dice che, applicando le finestre anche per la pensione di vecchiaia (danno per quei lavoratori) il costo dovrà essere nullo.
Per chi si fida del conti di Prodi e Padoa Schioppa …
C’era bisogno di un accordo di 30 pagine con altrettante di grafici e slides per rimanipolare quel che era già acquisito dalla Riforma Maroni, cioè la stabilizzazione dei conti previdenziali ?
E perché, invece, non agire sul fronte del sistema di calcolo della pensione (retributivo vs. contributivo) o parificando l’età pensionistica delle donne e degli uomini, magari ad una età intermedia tra i 60 e i 65 anni ?
Mettendoci, in tal modo, veramente alla pari con la tanto citata “europa”.
Ma quei provvedimenti avrebbero agevolato i più giovani e la triplice sindacale è composta in prevalenza di pensionati e di lavoratori anziani che, ovviamente, guardano al proprio immediato tornaconto, senza considerare che è dall’occupazione futura che sono garantite le nostre pensioni e lasciare in eredità situazioni di pesantezza di bilancio e di sperequazione nei trattamenti non le garantisce affatto.
Questi, in sintesi, i motivi che mi inducono ad invitare i lavoratori che leggessero questo post a non farsi incantare dalle sirene sindacali, suonate da affabulanti conversatori di assemblee ed a votare dopo essersi posta la domanda: mi conviene ?

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21 settembre 2007

La dignità risiede a Destra con Storace

Giovedì sera la mozione della Casa delle Libertà sulla RAI è stata respinta per un voto.
Assenti al voto i 3 senatori de La Destra, Storace in testa.
Abbiamo subito assistito alla messa in stato di accusa di Storace, Lo Surdo e Morselli: sbagliato.
Purtroppo è un deja vù, un qualcosa che si è già visto e che ha, nuovamente, un solo e unico responsabile, con l’aggravante della recidiva: Gianfranco Fini.
I più giovani sono giustificati dall’età, ma chi nel 1996 era in età da voto, si ricorderà che le elezioni politiche di quell’anno furono perse per colpa di 50 collegi del centro sud, nei quali si presentò la Fiamma Tricolore di Pino Rauti, partito con il quale Gianfranco Fini non volle stringere alcun accordo.
L’impuntatura di Fini, la sua arroganza nel rifiutare quel che Berlusconi aveva capito fosse necessario, la sua supponenza nel pensare che, posti davanti al ricatto di votare per chi non li voleva o di far passare la sinistra si sarebbe votato turandosi il naso, quei 50 collegi significarono 5 anni di governo della sinistra.
Oggi, 11 anni dopo, lo stesso Gianfranco Fini nel trattare con Storace come con uno sguattero ha nuovamente subito una lezione di dignità, e salvato Prodi da una brutta caduta in senato.
E che l’errore sia stato commesso – gravemente – nel calpestare la pari dignità che anche un partito con 3 soli senatori deve avere nell’ambito della Coalizione, lo ha implicitamente ammesso lo stesso Leader del Centro Destra, Silvio Berlusconi, che secondo i resoconti di stampa ha affermato che non bisogna trascurare Storace (e Rotondi).
Berlusconi, comprendendo ciò, dimostra di avere la statura del Leader, chi, invece, ha posto il veto acchè anche Storace prendesse parte all’elaborazione della mozione e la firmasse, non ha attenuanti, soprattutto se recidivo.
Ma la vicenda può essere salutare, perché consente alla Casa delle Libertà di prendere atto che o si vince tutti assieme o si perde tutti e che per vincere c’è bisogno del rispetto reciproco che porti a pari dignità pur nella differenza del peso elettorale.
Sono pienamente concorde con la decisione di Storace e il monito è molto chiaro: la Destra non voterà turandosi il naso se verrà calpestata la pari dignità delle forze politiche.
Non è più il tempo dei voti sottobanco per eleggere presidenti della repubblica o appoggiare provvedimenti governativi.
Quello lanciato ieri da Storace è un messaggio che non potrà essere ignorato dalla Casa delle Libertà, pena la responsabilità, da parte di chi volesse erigere steccati a destra, di consegnare l’Italia alla sinistra.

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20 settembre 2007

Politica, ultima frontiera

Data stellare 2007.09.20
Ecco il viaggio dell’astronave Italia alla ricerca di nuovi modi per fare politica
.
Stamattina, mentre per Svulazen scrivevo velocemente il post sull’assemblea di ieri sera contro l’islamopoli che la giunta di sinistra vorrebbe innalzare a Bologna , ascoltavo anche le prime notizie dei giornali radio.
E sentivo della diatriba fra due bloggers con incarichi ministeriali avente come argomento un terzo blogger che fu comico di successo.
Leggo quindi i quotidiani abituali dove, con maggior dovizie di particolari, in vari articoli si riempiono colonne di piombo sul nulla che sortisce da quei tre bloggers.
Mi è venuto spontaneo guardare a tutto ciò con un insolito distacco.
Mi appassiona la politica, perché mi schiero, non faccio il doroteo con un piede in due staffe.
Come nel calcio.
Anche quando guardo partite nelle quali non è impegnato il Bologna, io scelgo per chi “tifare”.
Ma con quei tre personaggi proprio non so scegliere, ipoteticamente dalla torre butterei tutti e tre, contemporaneamente.
Non so quale contributo possano fornire alla crescita della nostra nazione, al progresso civile, sociale ed economico che è un “must” del nostro modello di sviluppo e dell’Umanità intera.
Allora mi sentivo molto Capitano Kirk alla scoperta di un mondo sconosciuto, quello della sinistra pronta a saltare via dalla barca che affonda.
Una sinistra che nelle sue espressioni comuniste o catto-comuniste è tutt’ora orgogliona di aver offerto alla nazione lo spettacolo di un governo in cui i ministri si scannano per un cabarettista in disarmo, mentre in quelle (altamente minoritarie) di diversa estrazione si stanno facendo i conti su cosa conviene fare per salvarsi dal disastro annunciato.
E, allora, rivolgendo nuovamente gli occhi a casa mia, la Casa delle Libertà, riesco persino ad apprezzare Gianfranco Fini che riprende il suo amico Mazza per l’editoriale del TG2 di ieri sera, mostrando indipendenza di giudizio e financo Casini che sgomita, come fa sin da quando lo conobbi al liceo, per emergere, ma che, in tutti questi anni, è sempre stato – anche pierineggiandosulla barricata opposta a quella dove sono trincerati i comunisti (ex, neo, post, vetero) e dove hanno trovato comodo rifugio i catto-comunisti, altresì autodefinitesi “cattolici adulti” o, come ho letto sono stati definiti qualche giorno fa, “adulteri”.
Non saranno della aquile i nostri Casini e Fini, non li vorrei come leaders del Centro Destra soprattutto in presenza di una figura carismatica come quella di Silvio Berlusconi, ma se li paragono ai Mastella, ai Di Pietro, ai D’alema, ai Prodi, ai Rutelli, agli Amato, mi sembra di aver a che fare con statisti di rango e il quinquennio 2001-2006 rappresenta l’età dell’oro della politica italiana, rispetto al presente, anni bui resi più oscuri da gabellieri e fanatismi ideologici che fanno pensare in termini estremamente pessimisti al futuro.
E il viaggio dell'astronave Italia continua ...

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19 settembre 2007

Paghiamo tre, lavora uno

L’ultima proposta indecente in campo economico di uno dei tanti ministri di sinistra, porta la firma di tal Luigi Nicolais, ministro temporaneo della funzione pubblica (nella foto in una delle sue espressioni più intense).
E la proposta è talmente indecente che in un soprassalto di coscienza – generalmente sconosciuto a quelle latitudini politiche – l’altro ministro temporaneo (del lavoro) Damiano, invita il collega alla coerenza.
Nicolais infatti propone la rottamazione dei dipendenti pubblici nella misura di uno a tre.
Cioè una assunzione per tre dismissioni.
Sono convinto che i rottamandi sarebbero ben lieti di poter incamerare incentivi all’esodo e una pensione per poi dedicarsi ad attività più piacevoli (se hanno saputo amministrare le loro risorse) o per arrotondare con lavoretti autonomi di vario genere.
Il punto … sono tre.
1) Con quale coerenza un governo propone un accordo che accompagna un aumento dell’età pensionabile per le compatibilità economiche della spesa previdenziale, se propone ai suoi dipendenti una uscita anticipata e incentivata ?
2) Perché noi tutti dovremmo pagare l’esodo incentivato di una pletora di dipendenti pubblici, quando nel nostro campo ci viene imposto di lavorare fino a oltre 60 anni ?
3) Il problema della pubblica amministrazione è l’organizzazione, la possibilità di sanzionare comportamenti indolenti e colposamente o dolosamente inefficienti e sostituire 3 “vecchi” con un “giovane” senza cambiare le norme che regolano il pubblico impiego significa peggiorare la situazione e gravare di ulteriori pesi la finanza pubblica.

Ma in questa occasione Nicolais deve anche scontare l’opposizione della triplice sindacale.
Per forza, i sindacati confederali hanno il loro bacino di utenza tra i lavoratori anziani e l’uscita anticipata di centinaia di migliaia di “vecchi” dipendenti pubblici significherebbe alterare profondamente il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati che già nella triplice rappresentano la maggioranza assoluta degli iscritti (tanto che per vincere il prossimo referendum relativo all’accordo sul welfare hanno convocato alla urne anche i pensionati che nulla hanno da pagare per tale accordo, con evidente intenzione di alterare i risultati finali a favore delle proprie scelte).
Dobbiamo aspettarci che Prodi e Visco istituiscano una gabella straordinaria in conto “esodo incentivato pubblica amministrazione” ?


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18 settembre 2007

Lo strangolatore di Scandiano

Romano Prodi da Scandiano (Reggio Emilia) è stato il protagonista (?) di una soporifera (al valium, direbbe qualcuno) puntata di Porta a Porta.
Pare che l’istituto Falqui (basta la parola …) in un instant poll abbia rilevato un aumento dell’uso degli sciacquoni e riduzione dell’insonnia e pensi di acquistare il filmato per brevettarne l’uso.
Tant’è, quel signore intervistato da Bruno Vespa (che ha visto tempi migliori anche lui) ha condannato gli Italiani: non ci saranno riduzioni delle tasse.
Ma, aggiunge, non voglio strozzare gli Italiani.
Anche perché, come ha acutamente osservato l’on. Mara Carfagna, con la finanziaria 2007 siamo già stati strangolati e il calo della produzione nelle grandi industrie lo conferma.
Prodi però dice di più, forse sperando di aver già addormentato tutti, circa le future (per chi ci crede) riduzioni.
Parlandone come una concessione dello stato nei confronti non di cittadini, ma di sudditi.
Un atteggiamento che, oggi, non sarebbe consentito neppure al Re Sole e non è possibile accettarlo da un figurante della politica statalista.
Se ci fosse stato bisogno di un motivo per aderire allo sciopero fiscale nei modi proposti dalla Lega, Prodi ne ha fornito uno che ha spessore morale: la riaffermazione della sovranità popolare.
Una sovranità che funzionari di partito, boiardi di stato o burocrati delle banche centrali non devono permettersi di irridere con le loro pasticciate finanziarie fatte solo di balzelli e di repressione fiscale.
E’ noto che la sinistra teme Prodi … quando appare in televisione perché fa più danni che utili, con il suo tono saccente ed arrogante ed ecco che, puntualmente, il piatto è servito.
Aggiunge, Prodi, di essere contrario al nucleare: gli Italiani, che rischiano il freddo d'inverno e il gran caldo d'estate, ringraziano ancora, non bastano le tasse, anche la sofferenza fisica ci viene pronosticata dalla sinistra ... se questa è la loro ricetta per la "felicità" !
Un colpo al cerchio ed uno alla botte, tanto per tenere buoni gli ecoambientalisti e gli estremisti di sinistra dopo che aveva confermato la realizzazione della TAV (ma, credo, la farà il Presidente Silvio Berlusconi quando riprenderà possesso di ciò che gli spetta e lo aspetta a Palazzo Chigi …).
Indifferente alla sofferenza che le sue tasse hanno provocato ai nostri stipendi Prodi insiste nel suo atteggiamento oltranzista e penalizzante per le categorie produttive, confidando nell’attaccamento alla poltrona dei suoi sodali.
Fino a quando, però, il Popolo Sovrano sopporterà di essere preso per il collo ?

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17 settembre 2007

Inebetiti come Ceausescu

Ricordate il primo girotondo morettiano dopo la vittoria del Centro Destra nel 2001 ?
Iniziò ad un comizio in cui dovevano parlare i funzionari della sinistra: D’alema, Amato, Rutelli, Fassino in prima fila.
Tanto “in palla” che quando Pardi e (forse, non ricordo bene) anche Moretti espressero la loro rabbia per la sconfitta, rimasero a subire il processo di piazza, inebetiti e con lo sguardo fisso nel vuoto.
La stessa espressione – ricordai in un forum al quale allora prendevo parte – che avevo visto dipinta sulla faccia di Ceausescu quando, affacciatosi dal balcone della sua residenza imperiale a Bucarest, fu tacitato dai fischi e dalla rabbia di una folla che sfogava così 50 anni di miseria, terrore e morte.
Quei funzionari di partito oggi sono – nel modo dubbio che abbiamo più volte evidenziato - al governo della nostra povera e derelitta Patria "sì bella e perduta" e, mostrando una atavica fame di poltrone, stanno occupando tutto l’occupabile e anche qualcosa in più, non volendo mollare la presidenza Rai che, con la Riforma Gasparri, dovrebbe essere appannaggio dell’opposizione (come il Centro Destra concesse per ben due volte la scorsa legislatura).
E se magari si poteva pensare che fosse il Popolo della Casa delle Libertà a manifestare rabbia contro il suo Leader - perché non andò oltre le parole nei dubbi su quella notte che il Presidente Silvio Berlusconi continua a chiamare “di spogli e di brogli” quando avrebbe potuto decidere un immediato riconteggio facendo sequestrare le urne dalla Polizia e dai Carabinieri - assistiamo invece a continui bagni di folla a suo favore.
E così è dalle file della sinistra che esce un comico che non riesce più a far ridere e quindi si dedica al blog, inventandosi proteste e proposte di legge di iniziativa popolare che risentono dei suoi trascorsi comici.
E ancora una volta leggiamo le timide risposte dei funzionari della sinistra, preoccupati di non scontentare una base che hanno già disilluso con l’incapacità di governo mostrata in questi ultimi tragici 18 mesi e, nel contempo, cercare di difendere la propria, tanto agognata e faticosamente conquistata, poltrona.
Possibile che l’unico politico a quelle latitudini che abbia avuto il coraggio di alzare la voce sia stato Clemente Mastella ?
Mi ricordo che alle elementari avevo dei quaderni con proverbi di “saggezza popolare”.
Uno di quelli recitava: “la prudenza è la paura che cammina in punta di piedi”.
La prudenza manifestata dai funzionari della sinistra è paura di vedere la loro stessa base, che loro stessi hanno istigato all’odio nei cinque anni di Governo Berlusconi, rivoltarsi contro di loro.
Ed è una paura che deriva dalla consapevolezza di non aver mantenuto, perché non erano sin dall’inizio in grado di mantenere, le avventate promesse elettorali.
La mancanza di un progetto politico a sinistra che vada oltre la distribuzione delle poltrone e degli strapuntini è evidente dal rilancio di assurde impostazioni ideologiche come quelle sulle pensioni (ne parleremo) e dell’istigazione del ministro Ferrero perché gli immigrati manifestino (su questo da leggere il post di Stars&Stripes ).
Ma la prudenza, cioè la paura che cammina in punta di piedi, sembra affiorare anche nel Centro Destra che dovrebbe invece abbandonare ogni tesi aperturistica verso riforme condivise con la sinistra (si parli di televisioni, di legge elettorale o di qualsiasi altro argomento) per spingere con forza per abbattere il governo figlio di uno scrutinio che deve ancora essere ratificato nella sua regolarità assestando il colpo del k.o. a funzionari di partito che appaiono di nuovo inebetiti come lo fu Ceausescu e incapaci di proporre una reazione forte che riaffermi il primato della conduzione politica.

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16 settembre 2007

Un blog e un blogroll per Fred Thompson

Ci abbiamo pensato un po’.
Abbiamo fatto alcune prove.
Abbiamo valutato quanto potesse essere di interesse una iniziativa del genere e, quindi, abbiamo deciso di procedere.
Così è in linea il blog Italiani per Fred Thompson ed è a disposizione il blogroll di sostegno creato da Il Giovine Occidente .
Ma che c’azzecca la corsa alla Casa Bianca con noi Italiani ?
Lo abbiamo già scritto , in parole povere, perché il Presidente degli Stati Uniti influenza anche i nostri destini nel male (come fu con Carter) e nel bene (Reagan e Bush).
Perché abbiamo scelto Fred Thompson quando il front runner dei Repubblicani è Rudolph Giuliani, il sindaco della “tolleranza zero” che già conta numerosi sostenitori italici ?
Perché noi siamo Conservatori, non Liberali o NeoCons, ma Conservatori, nella tradizionale accezione del termine.
Abbiamo molto che ci unisce ai Liberali (nella vecchia accezione italiana - quella di Croce, Einaudi, Malagodi - del termine,non certo in quella della politica anglosassone o in quella di Zanone) e ancor più ai NeoCons, ma il nostro conservatorismo è fatto di Tradizione, fedeltà alla Storia, concretezza, realismo.
Ci sembra che queste caratteristiche siano al meglio rappresentate da Fred Thompson, più che da ogni altro candidato Repubblicano e siano ben sintetizzate nel suo slogan: security – unity – prosperity che facciamo integralmente nostro.
Un solido conservatorismo, tradizionale, in opposizione agli ammiccamenti, soprattutto in quel campo che impropriamente è definito dei “diritti civili” dell’ex sindaco della Grande Mela.
Un tradizionale conservatorismo che rappresenta il cuore e l’anima degli Stati Uniti che amiamo.
Resta ovvio e naturale che l’adesione alla candidatura di Fred Thompson non ci impedirà, qualora venisse scelto Giuliani, di parteggiare per lui contro un qualsivoglia candidato democratico.




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14 settembre 2007

La forza energetica delle provocazioni

Roberto Calderoli è un genio del marketing, anche se amici e nemici non lo ammetteranno mai.
Le sue provocazioni sono sistematicamente un cazzotto nello stomaco, risvegliano sentimenti, passioni, che i soporiferi balbettii di Prodi non riescono neppure a far immaginare.
Riescono anche a risvegliare dal torpore le coscienze assopite da tonnellate di valium mediatico proposte nel nome del “politicamente corretto”, strappando un interesse e un sorriso anche a chi, solitamente, nei quotidiani legge solo la pagina sportiva e quella dei pettegolezzi dei divi televisivi e cinematografici.
Il bello è che ottiene il risultato di far emergere il livore e l’anima profonda (mica tanto) dei comunisti (ex, post, neo, vetero) che si prodigano in scuse per le affermazioni di Calderoli, quando di tali scuse non v’è ombra se ad essere soggetto di ironie e battute (ben più gravi) è la Chiesa cattolica.
E’ la forza del messaggio mediatico che arriva là dove il semplice ragionamento, anche quello più lineare, non giunge.
E’ la stessa forza che vediamo nelle gigantografie che troneggiano a Milano con l’immagine di Daniela Santanchè, testimonial dei suoi circoli D-Donna (e magari lo avesse fatto per una causa più consistente !) e che ha fatto discutere, arrabbiare, ma ha colto il bersaglio del ritorno di interesse.
Ugualmente la Leader dei Circoli della Libertà, Michela Vittoria Brambilla, ha proiettato nell’immaginario collettivo una specifica immagine che veicola il messaggio politico, uscendo vincitrice dalle malelingue degli stessi potenziali “alleati”.
Calderoli, Santanchè, Brambilla sono tutte persone (ma non sono le sole, dall’altra parte vorrei ricordare l’efficacia mediatica degli strafalcioni di Di Pietro o il richiamo ai più bassi istinti demagoghi di Grillo) che hanno imparato la politica ai tempi dell’immagine e del consumismo, anche delle idee, anche delle vicende di cronaca e che sanno come mantenere vivo l’interesse per quel che dicono, per ciò che rappresentano.
E’ solo uno sciocco chi pensa che dietro alle provocazioni non vi sia nulla, uno sciocco destinato a fare la fine dei pellerossa davanti ai Soldati Blu: i primi erano il passato, i secondi, come minimo, il presente.
E abbiamo bisogno di queste provocazioni, per accendere gli animi, per chiamare alla battaglia chi, tendenzialmente, si è messo in poltrona e aspetta solo il prossimo padrone.
Per completare un vecchio detto possiamo dire che se le parole possono uccidere più delle spade, le provocazioni possono riaccendere la volontà di combattere in chi l’ha smarrita.

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13 settembre 2007

Il Belgio si spacca?Considerazioni sull'europa

Il Belgio è in questi giorni sulle prime pagine dei giornali.
Dopo l’inquafilicabile comportamento dhimmi del sindaco socialista di Bruxelles che ha vietato una pacifica dimostrazione di chi si oppone alla islamizzazione dell’europa e ha addirittura sollecitato l’intervento violento della polizia belga, ecco la notizia riportata oggi sul “pericolo” secessione tra Vallonia e Fiandre.
Dopo il 1993, quando, pacificamente, la Cecoslovacchia diede vita a due stati sovrani, la repubblica Ceca e quella Slovacca, ecco in un altro stato, che evidentemente nazione non è, emergere la possibilità di una pacifica separazione, prima, magari, che quell’aggettivo, pacifica, debba essere cancellato dalle divergenze.
Il Belgio andò alle urne nel giugno scorso, ma ancora non ha un governo (meglio comunque nessun governo che quello che abbiamo in Italia …).
Fiamminghi e Valloni si guardano in cagnesco e ognuno reclama la sua fetta di potere.
Questa vicenda riporta al centro dell’attenzione il concetto di europa che i burocrati alla Prodi e Ciampi hanno cercato di imporre, creando una nuova unione sovietica (di cui il sindaco di Bruxelles rappresenta un “mazziere”).
Se poi vi aggiungiamo i sonori fischi all’indirizzo dei francesi a San Siro sabato scorso, il gelo tra Sarkozy e la Merkel, lo splendido (e beato …) isolamento della Gran Bretagna, la deriva laicista della Spagna ma, anche, il ripristino della Messa in Latino da parte del Pontefice (domani entrerà in vigore il motu proprio ed è una splendida occasione per gli agnostici come me per cercare un riavvicinamento alla Chiesa, confidando anche - lo sottolineo così evito che qualcuno guardi il dito che indica la Luna - nell’effetto evocativo di una liturgia al tempo stesso antica e moderna) e l’aggressione della commissione europea contro le presunte agevolazioni fiscali della Chiesa, allora ne deduciamo che l’europa non esiste se non come espressione geografica.
Allora che riprendano corpo i nazionalismi se questi sono in grado di far riscoprire quelle radici ora sepolte sotto una coltre di buonismo e di politicamente corretto.
Riprendano corpo le sfide, pacifiche, per la supremazia, liberando le energie delle nazioni senza che siano imbrigliate e soffocate dal dirigismo di stampo comunista e dal fideismo laicista.
La Cecoslovacchia e ora, forse, il Belgio ci indicano una strada che, legittimando il diritto di secessione e di separazione, potrà imprimere al futuro di un continente vecchio per definizione e decrepito nello spirito, nuovi stimoli, nuove prospettive … un nuovo inizio.

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12 settembre 2007

L'inverno del generale scontento

Fulvio Conti, amministratore delegato dell’Enel, ha dichiarato che il prossimo rischia di essere un inverno da passare al freddo e al buio e ha anche individuato come concausa di tale possibilità, una errata interpretazione sugli stoccaggi da parte del ministero dell’ambiente.
Errata interpretazione o interpretazione ideologica ?
Già, perché quel ministero è occupato (temporaneamente) da tale signor Alfonso Pecoraro Scanio, ecoambientalista, capo dei Verdi, principali responsabili della sciagurata scelta di abbandonare la virtuosa strada delle centrali nucleari.
Sull’onda emotiva di Chernobyll, nel 1987 fu promosso un referendum che, nella pratica, costrinse a chiudere le centrali nucleari già esistenti (Corso e Montalto di Castro) e rinunciare all’uso di tale pulita energia.
I verdi promossero il referendum, ma furono praticamente sostenuti da tutta la sinistra (e la rinuncia vile a contrastarli dei partiti allora di governo) e il Popolo Italiano si lasciò convincere.
Adesso ne paghiamo il conto.
Due volte.
Lo paghiamo a chi, avendo costruito quelle centrali (come Francia e Svizzera) possono venderci il loro surplus di energia al prezzo che fa il mercato e lo paghiamo nell’arretratezza del nostro sistema di approvvigionamento energetico che fa sì che ad ogni stormir di fronda in quell’ambito i primi ad esserne danneggiati, perché gravemente in ritardo, siamo noi.
Vorrei qui ricordare le panzane catastrofiste che, anche all’inizio di questa estate, avevano suonato le campane a morto parlando di siccità e dando spazio a pittoreschi signori – di cui non faccio il nome sia per evitare loro pubblicità, sia per evitare che i loro parenti se ne debbano ulteriormente vergognare – che proponevano di ridurre l’igiene personale, l’uso dello sciacquone, in pratica suggerivano di trasformare l’Italia in una cloaca e le persone in barbari primitivi.
Ebbene, questi signori che non vogliono il benessere dei cittadini, non vogliono che si usino condizionatori d’estate e riscaldamento d’inverno, hanno piazzato un loro uomo al ministero dell’ambiente, da dove può demolire ogni iniziativa (persino le pale eoliche non vanno bene agli ecoambientalisti !!!) tesa a racimolare un po’ di energia.
Così la “errata interpretazione” è ragionevole pensare che sia figlia di una impostazione ideologica che preferisce riportarci all’epoca delle caverne e non proiettarci in pieno terzo millennio.
E ci stanno riuscendo.
Infatti al richiamo preoccupato dell’amministratore dell’enel, rispondono blaterando di “risparmi”, non di come poter incrementare la produzione di energia, ma di risparmi, cioè di sacrifici, di penalizzazione, di miseria.
E l’immagine dell’inverno al freddo e al buio evocata dall’amministratore delegato dell’enel è rappresentativa dell’Italia sotto la sinistra.
Un’Italia stanca, sfiduciata, scontenta.
Vessata di balzelli e di gabellieri che tolgono anche quel poco che si ha e, in aggiunta, con ministri dalla vocazione penitenziale (per gli altri !) che all’annuncio di possibili carenze di energia, chiedono ulteriori sacrifici.
Se il prossimo sarà l’inverno del generale scontento, l’auspicio non può che essere in una primavera di rivincita che possa spazzar via una sinistra che sembra godere nello spingere verso la miseria e la povertà gli Italiani e non ha altre parole d’ordine se non: tasse e sacrifici.

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11 settembre 2007

11 settembre 2001 - 11 settembre 2007

L’11 settembre è ormai diventata la data che può indicare l’inizio della guerra mossaci dall’insorgenza musulmana.
A sette anni di distanza dall’assassinio di 3.000 civili a Washington, New York e sui cieli Americani c’è ancora chi si ingegna a inventarsi trame oscure da parte delle stesse vittime.
E’ una ottusa manifestazione di odio antiamericano, ideologia preconcetta e, soprattutto, incosciente leggerezza nel considerare la minaccia islamica.
L’11 settembre poteva essere la data simbolo in cui un Occidente unito avrebbe sradicato il fanatismo islamico.
Poteva essere, ma non è stata per la miopia di alcuni governanti occidentali (in primis Chirac e Schroeder) seguiti dalla pusillanimità di chi sembra abbia perso la voglia di combattere per Valori e Ideali di alto profilo.
La liberazione dell’Iraq, che seguiva quella dell’Afghanistan, la cattura e la giusta esecuzione di Saddam, sono state tutte occasioni mancate, perché da ognuna di esse un Occidente unito avrebbe potuto domare gli spiriti ribelli e pacificare, nell’interesse comune, una intera area geopolitica.
Le divisioni ci hanno invece portato al sacrificio di migliaia di vite dei “nostri” soldati, mandati allo scoperto per cercare di svolgere operazioni “pulite” nella bonifica dei territori liberati e, quindi, con una minore efficacia accompagnata a costi di gran lunga maggiori rispetto ad azioni meno precise ma più penetranti.
Siamo così, a sei anni di distanza, ad interrogarci sull’islamizzazione dell’europa che trova la sua punta dell’iceberg con il divieto a manifestare a Bruxelles imposto da un sindaco socialista.
A sei anni di distanza il pericolo del terrorismo islamico è diminuito esclusivamente grazie al sacrificio degli Americani, degli Australiani e degli Inglesi ed alla perseverante determinazione del Presidente George W. Bush, del Premier Howard e del Premier Blair, autentici leaders del Mondo Libero Occidentale.
Ma per colpa degli Chirac, degli Schroeder, degli Zapatero, dei Prodi, il terrorismo islamico non è ancora sradicato come avrebbe potuto essere.
La speranza che mi sento di esprimere in questo anniversario è che il prossimo presidente degli Stati Uniti prosegua la politica del Presidente Bush e possa agire con più efficacia (cioè usando tutta la forza di cui dispone l’Occidente e nell’unità dello stesso) contro l’insorgenza islamica, prima che questa rialzi la testa e riporti l’attacco nel nostro giardino di casa.
Solo così i Morti dell’11 settembre 2001 saranno onorati e troveranno pace.

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