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24 settembre 2008

I manager del capitalismo

Il Capitalismo ha i secoli contati.
Una battuta illuminante che sintetizza il fatto che, come la Chiesa Cattolica, in modo diverso dalla Chiesa Cattolica, il Capitalismo sia stato in grado di seguire (e, a volte, anticipare) l’evoluzione della nostra società, restando sempre sulla cresta dell’onda.
Dopo il protocapitalismo dei “padroni”, abbiamo avuto il capitalismo delle grandi famiglie e siamo ora giunti a quello dei manager.
Non più il “padrone” che “è” l’azienda, ma un “tecnico” cui un gruppo di azionisti, spesso senza detenere la maggioranza assoluta ma controllando le assemblee, conferisce il potere di indirizzo e decisionale, con un unico mandato: far fruttare l’investimento, cioè produrre utili.
Sul piano teorico non fa una grinza.
Il manager sceglie, comanda, incassa e se sbaglia paga.
Paga ?
Avete mai visto un presidente o un amministratore delegato di Alitalia o delle Ferrovie dello Stato, delle Poste o della Fiat “pagare” per i suoi errori ?
Ecco la stortura: il manager profumatamente remunerato, non paga per i suoi errori che si riflettono sui dipendenti, fornitori, su tutti i cittadini quando è il pubblico ad intervenire, ad esempio con i c.d. “ammortizzatori sociali”, per salvare una azienda o ripianarne i debiti.
Nonostante questa evidente stortura che rende i manager al di sopra di ogni sanzione, non si può negare che il sistema abbia funzionato, in modo perverso, ma ha funzionato e molte aziende hanno prodotto utili per i propri azionisti, svuotandosi però di valore e senza costruire quella ricchezza per il futuro che sarebbe andata a beneficio di tutta la comunità nazionale.
Al capitalismo dei manager i sindacati non hanno saputo rispondere.
Qualche giorno fa mi è capitato di leggere un aneddoto su Corrado Passera, ora CEO (sarebbe qualcosa di più trendy di un amministratore delegato) di Intesa Sanpaolo nonché demiurgo dell’operazione C.A.I..
Passera è stato in passato manager all’Olivetti con De Benedetti, Amministratore Delegato di Banco Ambrosiano veneto prima della fusione con Cariplo e Comit e Amministratore Delegato delle Poste prima di rientrare nel mondo bancario con Banca Intesa, ora Intesa Sanpaolo.
Bruno Vespa racconta su Il Resto del Carlino che quando si insediò come Amministratore Delegato delle Poste, fu accolto da 30 giorni di scioperi.
Non si scompose e disse: ci rivedremo al 31esimo giorno.
I lavoratori, condotti all’arrembaggio dai confederali si dovettero piegare alla strategia del manager e le Poste sono diventate quello che sono oggi.
Migliaia di lavoratori furono prepensionati in modo da ridurre i costi, furono assunti altre migliaia di “precari”, i costi furono drasticamente abbattuti.
L’errore dei sindacati ?Non aver capito che per quanti giorni di sciopero avessero fatto, non intaccavano la remunerazione del manager e sarebbero stati costretti a sedersi al tavolo delle trattative, in condizioni di debolezza.
Così da un ventennio a questa parte, l’errore dei sindacati è non capire che, quando si ha di fronte un soggetto che non è il “padrone” dell’azienda, questi ha una capacità di resistenza maggiore, non pagando una lira per i danni che subisce l’azienda e percependo comunque sia le sue retribuzioni sia abbondanti liquidazioni qualora gli azionisti di riferimento decidessero di sostituirlo.
Sostituirlo poi con chi ?
Con un altro manager con cui, magari, si scambia il posto.
E la politica di molti manager è quella del cattivo amministratore: fare i numeri per l’oggi, senza costruire per il domani.
Magari hanno anche un progetto, ma si trovano davanti ad un mandato preciso: fare utili e sempre, progressivamente in crescita per sfamare gli appetiti dei sindacati di azionisti.
Allora agiscono sullo strumento più facile: la riduzione dei costi del personale.
Prepensionamenti, incentivi all’esodo, scorpori, esternalizzazioni (che si ritrovano anche nel piano Cai per Alitalia) e tutto l’abbecedario della circostanza, depauperando l’azienda di risorse umane.
Il tutto con l’accordo dei sindacati confederali che, visti i contatti che i manager hanno con i loro vertici, si pongono in posizione difensiva, cercando di limitarsi ad ottenere quegli accompagnamenti all’esodo che consentono di far uscire dal lavoro i più anziani, avviandoli alla pensione (e in tal modo caricando l’Inps e gli istituti pensionistici di molteplici oneri) senza ridurne in modo sensibile la capacità economica grazie ai vari ammortizzatori, quasi sempre a carico del pubblico.
Un comportamento che il “padrone” dell’azienda non terrebbe perché interessato al futuro della sua società, soprattutto se poi avesse di fronte sindacati aziendali e di categoria interessati al futuro dei lavoratori che rappresentano e non a quello del proprio segretario confederale.
Le relazioni industriali in Italia devono essere profondamente riviste, ma prima di tutto sono i sindacati che devono recuperare la loro ragion d’essere aziendale e di categoria, superando il complesso del tuttologo, anche per poter fronteggiare con nuovi sistemi il nuovo capitalismo dei manager che si è formato in Italia.
Un’idea ?
Un qualcosa che ritroviamo sia nella pallida proposta della Cai di distribuire il 7% degli utili futuri, ma soprattutto nel rilancio dei piloti di Anpac e Up che mettono sul piatto liquidazioni e parte degli stipendi.
Si chiama partecipazione dei lavoratori alla gestione ed agli utili dell’azienda.

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3 commenti:

unedame ha detto...

D'accordo con te.
Il capitalismo é degenerato. Vedi cosa succede in America...

Lontana

sarcastycon ha detto...

distribuzione degli utili?
una novità? non proprio.....
Manisesto di Verona 14/11/1943
della RSI.
art.12)
In ogni azienda (industriale, privata, parastatale, statale) le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno intimamente - attraverso una conoscenza diretta della gestione - all’equa fissazione dei salari, nonché all’equa ripartizione degli utili tra il fondo di riserva, il frutto al capitale azionario e la partecipazione agli utili stessi per parte dei lavoratori.

In alcune imprese ciò potrà avvenire con una estensione delle prerogative delle attuali Commissioni di Fabbrica, in altre sostituendo i Consigli di Amministrazione con consigli di gestione composti da tecnici e da operai con un rappresentante dello Stato.

In altre ancora, in forma di cooperative parasindacali.

G.B. Vico ha colpito ancora....
ciao
sarc.

Massimo ha detto...

Lontana, negli Usa si avranno vari fallimenti e poi il Capitalismo risorgerà più forte di prima, con tanti nuovi ricchi al posto dei vecchi ormai debosciati e rammolliti.

Sarc. E' una idea nuova perchè non è mai stata applicata, ma solo teorizzata. Spaventa i manager perchè dovrebbero fronteggiare persone associate, magari con capacità di realizzazione concreta superiori alle loro e con l'interesse a far funzionare una azienda e non a smantellarla per incrementare le posizioni di rendita.