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23 settembre 2008

Sindacato, cosa ?

La vicenda Alitalia aggiunge spunti ad un dibattito che deve andare ben oltre alla questione della sopravvivenza della compagnia ex di bandiera.
Nella lettura di commenti e post sul temo, ritrovo un qualcosa che già vedo in Tribunale allorquando appare un magistrato nuovo, di primo pelo.
L’inesperienza che detta legge, perché è proprio così che succede grazie al sistema di reclutamento della magistratura (con un mero concorso teorico) per poi piazzare un “ragazzino” a decidere su questioni di cui, forse, ha solo sentito parlare i genitori oltre che semplicemente studiato la teoria che, come tutti sanno, non corrisponde alla pratica.
Così è quanto leggo sul sindacato.
Gli scritti denotano per lo più estraneità al mondo professionale, del lavoro e del sindacato, tanto che, in sintesi, lo schieramento sulla politica sindacale è in funzione della pregiudiziale scelta di schieramento partitico.
Invece è molto importante definire gli ambiti di un sindacalismo che è comunque necessario come controparte con la quale il datore di lavoro possa dialogare e che pertanto non solo non è possibile, ma neppure utile cancellare con un tratto di penna.
E la questione è nella tipologia del sindacalismo.
Da una parte il sindacalismo “tuttologo”, quello che vuol mettere becco ovunque, parlare di massimi sistemi, che si è trasformato in un business con i suoi tentacoli caf, patronati etc.
Dall’altro il sindacalismo aziendale e di categoria, che non pretende di dettare le leggi al governo, ma guarda solo ed esclusivamente all’utile dei suoi associati.
Inutile dire che mi sento dalla parte di questo sindacalismo.
I confederali, la vecchia trimurti cgil-cisl-uil che ora ha cooptato l’ugl, pretendono di essere convocati quando si decide la finanziaria, quando si discute di riduzione delle tasse, quando i servizi non funzionano o quando si devono impostare piani pluriennali di sviluppo.
Ma quello è un compito dei partiti politici, non dei sindacati che, per inseguire le riunioni al vertice, perdono di vista il lavoro concreto, di tutti giorni, delle singole categorie.
Ed è ancor più compito dei partiti, la sintesi tra i vari interessi particolari per giungere a quello che è l’interesse generale, se si pensa a quanto diverse siano le esigenze e le peculiarità lavorative di un metalmeccanico rispetto ad un docente, di un postale rispetto ad un bancario o ad un pilota.
Come è possibile pensare di raccogliere, in un unico sindacato, le aspirazioni di ciascuna categoria ?
Alla fine il segretario generale di una confederazione non può che ascoltare la federazione che gli porta il maggior numero di consensi e non è un caso se tutte le politiche promosse dai confederali sono finalizzate a premiare, nell’ordine, chi è appena uscito dal lavoro e poi chi al lavoro c’è ancora per poco, chi c’è da lungo tempo e solo alla fine chi ci è entrato da poco o chi deve ancora entrarvi.
Ed è una politica giustificata dal fatto che nelle confederazioni il maggior numero di iscritti, quelli che fanno o disfanno un segretario, sono i pensionati.
Ecco che abbiamo avuto la c.d. politica dei redditi che prende spunto dall’accordo del 1993 (Ciampi presidente del consiglio) che ha prodotto contratti fortemente penalizzanti per le nuove leve.
Viceversa i sindacati di categoria ed aziendali, guardano all’altezza dei loro occhi, a chi assieme a loro lavora e produce.
Poche cose contano: una retribuzione adeguata, carichi di lavoro e collocazione del posto di lavoro idonei a consentire di godere del tempo libero, per evitare l’abbruttimento di chi si limita ad una casa/lavoro, magari aspettando il sabato o la domenica per “lo sballo”.
Ecco che sono solo i sindacati di categoria, che non devono rispondere della loro politica a vertici che non possono premiare una categoria rispetto alle altre, a tutelare al meglio i lavoratori, svolgendo quella che è la funzione propria di un sindacato.
Funzione cui i confederali, avendo posto l’accento (ed il potere interno) sulla confederazione e non sugli interessi delle singole categorie, hanno abdicato.
Per questo un sindacato di categoria o aziendale non ha nelle sue corde lo sciopero “politico”, perchè è depurato dall'ideologia e perché il suo interesse è necessariamente da coniugare con quello del datore di lavoro, non in contrasto, ma parallelo e finalizzato alla salute aziendale, visto che ad una azienda florida, corrisponde un sindacato che può chiedere (ed ottenere) le migliori condizioni di lavoro.
E qui si innesta una anomalia dei tempi moderni, il passaggio da aziende di capitalismo proprietario, ad aziende con azionariato diffuso, sindacati di controllo e manager che non rischiano del loro, ma, comunque vada, percepiscono sempre laute retribuzioni e faraoniche buoneuscite.
E questo sarà un prossimo argomento perché è una autentica stortura del rapporto tra datore e prestatore di lavoro.

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1 commento:

Giuseppe ha detto...

I sindacati sono solo politici vestiti da sindacalisti. Il sindacato e' solo un trampolino di lancio per la politica, cosa ha promesso Veltroni alla cgil per non farli firmare prima ed aspettare il suo benestare per fare bella figura? Forse una poltrona sul futuro governo di sinistra all'attuale segretario diella cgil?
Vergognatevi, vergognatevi tutti. Ma chi volete prendere in giro?
Veltroni non avrai mai un tuo governo, sei solo ombra e ombra resterai.

Giuseppe