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12 gennaio 2009

Dico “no” allo stipendio statale per le casalinghe

Un alto prelato, a capo di una qualche commissione pontificia sul sociale, ha rilanciato un vecchio tormentone: il riconoscimento del lavoro in casa mediante uno “stipendio” che lo stato dovrebbe corrispondere alle donne di casa.
La esternazione del prelato trova fondamento anche nella situazione di crisi generale, quando ogni aiuto è un sollievo ed è un tentativo di rilanciare il ruolo della famiglia come nucleo di base della nostra società.
Il prelato ha ragione nel riconoscere dignità lavorativa alle donne che stanno in casa a lavare, cucinare, fare la spesa, occuparsi della prole e, magari, anche degli anziani.
Non solo svolgono un lavoro vero e proprio, ma aiutano la famiglia a far sì che quel che il marito guadagna sia utilizzato per altre necessità.
Ed è proprio qui che casca il prelato quando sostiene il riconoscimento statale alle casalinghe.
Perché le casalinghe devono essere remunerate attraverso un onere sulla collettività quando l’utile è privatistico, cioè della famiglia di cui fanno parte ?
Il prelato sostiene che se vengono pagate le colf per svolgere i lavori domestici, altrettanto deve essere riconosciuto alle casalinghe.
Giusto.
Ma le colf non ce le paga lo stato, le colf le paghiamo noi, per ottenere un beneficio privato.
O forse il prelato pensa che lo stato tanto corrisponde alle casalinghe e in egual misura alle coppie che lavorano (e che devono pagare una colf per quel che la moglie non fa in casa) o agli scapoli/nubili ?
Non credo.
Se venisse accolta la proposta del prelato si verificherebbe un ingiustificato arricchimento da parte delle famiglie le cui donne non lavorano perché non solo non dovrebbero pagare colf, ma riceverebbero anche un contributo dallo stato, mentre le coppie che lavorano e gli scapoli ( e le … zitelle … ;-) vedrebbero i loro redditi sistematicamente decurtati dagli oneri colf.
Se, quindi, l’istanza del riconoscimento del lavoro casalingo è giusta, perché di lavoro si tratta, tale riconoscimento non può pesare sullo stato perché ne beneficiano solo dei privati, ma deve essere posto a carico di chi ne beneficia.
Ad esempio obbligando ad un accantonamento/accreditamento a favore della moglie quanti beneficiano del ruolo di casalinga della propria consorte.
Per questo è mal posta la questione se si ritiene di far pagare allo stato, cioè a tutti noi, anche alle donne che lavorano, anche agli scapoli, uno stipendio per le casalinghe.

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3 commenti:

Eleonora ha detto...

Bhe, potrebbe farsene carico il vaticano di questo riconoscimento. Infondo sono loro per primi a difendere la famiglia... poi, bisogna vedere a quali donne va questo riconoscimento. Sai com'è, in italia ci sono tante donne (non italiane) che hanno figli a iosa e che non vanno a lavorare. Se se ne fa carico il vaticano, allora posso anche essere daccordo. Ma se deve farsene carico lo stato, assolutamente no.

Massimo ha detto...

Ottima osservazione quella sulle donne immigrate. Naturalmente concordo in pieno sul fatto che, purchè non sia a carico dello stato, cioè di noi contribuenti, se associazioni private, che vivono sul ocntributo volontario degli associati, vorranno accollarsi oneri vari, nulla osta. :-)

unedame ha detto...

Mah! Su questo non so...Se vogliamo che le ITALIANE facciano piu' figli, bisogna pure incoraggiarle in qualche modo. Le donne che hanno figli sono svantaggiate in tutti i modi e non hanno diritto nemmeno ad una pensione autonoma.
Per i figli la mamma é molto meglio di una colf straniera che storpia l'italiano.
Certo che una che non ha figli non ha motivo per stare a casa, a meno che assista un malato...