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No alla deriva

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18 gennaio 2009

Israele, Gaza, Alberto Tomba ed io

Alcuni giorni fa è apparsa sulla stampa una notizia con protagonista l’ex campione di sci Alberto Tomba.
In un parcheggio ha avuto un diverbio con un russo che lo ha steso con un pugno mentre Tomba scendeva dalla macchina.
Il nostro è risalito in macchina, se n’è andato e si è fatto visitare in ospedale, dichiarando “poteva andare peggio”.
Tomba, lo ricorderete, non è certo un fuscello ed ha una stazza sufficiente a difendersi, ma non lo ha fatto.
Mi è tornato alla mente un episodio di oltre dieci anni fa.
Stavo andando in stazione a prendere il treno di prima mattina, quando fui importunato da un drogato che chiedeva soldi.
Alla mia risposta negativa (non ho mai finanziato i vizi altrui) mi ha aggredito.
Per mia fortuna era uno straccio, molto più piccolo di me, probabilmente già marcio per il suo vizio.
Eppure ho avuto difficoltà.
Prima mi sono solo difeso, poi ho dovuto reagire per farlo smettere.
Ed anche colpendolo, mi sono accorto che non colpivo con troppa forza.
Avevo una sorta di inibizione, paura a fargli male.
Inibizione che lui non aveva.
Fosse stato anche solo un po’ più robusto e un po’ meno marcio, per me poteva finire male.
Come a Tomba.
Come ad Israele
.
I terroristi assassini di Hamas non hanno freni.
Lanciano i loro missili sulle città e sono portatori di stragi potenziali e, soprattutto, volute nei confronti dei civili israeliani.
Israele, invece, cerca di colpire in modo mirato, condizionato (inibito) dalla paura di fare stragi di civili, da scrupoli umanitari, dalle chiacchiere internazionali che chiedono, solo ad Israele, di “risparmiare i civili”.
Scrupoli ed inibizioni totalmente assenti in Hamas e in Hetzbollah che colpiscono “ando cojo, cojo”, senza preoccuparsi delle potenziali vittime civili e senza subire le reprimenda internazionali.
Ecco un grave aspetto della inferiorità in cui ci troviamo a combattere questa guerra contro il terrorismo: le inibizioni che si sono sedimentate in noi.
Crediamo di essere “civili”, perché cerchiamo di non colpire i civili dietro ai quali si nascondono i terroristi ma, così facendo, mettiamo in pericolo noi stessi, esattamente come accadrebbe a ciascuno di noi se venisse aggredito per strada da uno che non ha quelle inibizioni e colpisce per fare male, senza remore.
Non saremmo in grado di reagire con la tutta la forza necessaria per le inibizioni che ci siamo nel tempo creato e se presi alla sprovvista, non saremmo in grado di reagire tout court.
Se non ci libereremo di simili remore quando dobbiamo trattare con chi queste inibizioni non ha, rischiamo veramente che alla fine vincano i terroristi.
E per liberarcene dobbiamo, in prima battuta, non cedere più al richiamo del “politicamente corretto”, né in patria verso gli immigrati, né all’estero nel condizionare il sostegno a stati, come Israele, che sono in trincea contro il nemico comune.

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7 commenti:

Eleonora ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Eleonora ha detto...

Premessa doverosa: non sto nè dalla parte dei palestinesi nè da quella degli ebrei, però faccio caso che nessuno o sempre pochi parlano di scudi umani usati da Hamas, piuttosto si preferisce continuare a dire che gli ebrei continuano ad agire in maniera "sproporzionata". Da quando in qua, una qualunque guerra è proporzionata? Da quando lo dicono i pacifinti?

Eleonora ha detto...

Caspita, ogni volta che posto un commento, ne appaiono sempre due di seguito. I commenti eliminati sono i miei doppi. Chiedo scusa per il solito errore. Ma sono di coccio qualche volta.

Tommaso Pellegrino ha detto...

Nelle premesse, il tuo ragionamento non fa una grinza: è infatti evidente che chi opera nell'ambito della legalità e del diritto, nazionale o internazionale, si trova in un certo senso svantaggiato rispetto a chi invece non si pone altri vincoli che quelli determinati dal perseguimento dei propri scopi con qualunque mezzo ritenga opportuno. Questo discorso vale sia per quanto concerne il mantenimento dell'ordine interno in uno stato, sia per le operazioni a carattere militare.
Basti pensare, nel primo caso, alla ben diversa "efficienza" dimostrata nell'imporre il proprio potere su taluni territori del sud Italia da parte della malavita organizzata - libera di ammazzare chi vuole, di sparare per prima; libera dagli obblighi di osservare le più elementari regole legislative e morali e di rendere conto del proprio operato alla società - e da parte delle forze dell'ordine costituito, condizionate invece, nel loro agire, dalle leggi garantiste dello stato, da un'etica, dall'atteggiamento dell'opinione pubblica.
Tempo fa, le spregiudcate "corti islamiche" integraliste riuscivano ad imporre una sorta di relativa "pace", è facile immaginare con quale democraticità di metodi, persino nella Somalia da anni tormentata dall'anarchia e dall'ingovernabilità. Negli anni Trenta del Novecento, le truppe coloniali di Badoglio e Graziani, a suon di deportazioni di intere tribù indigene e stragi inaudite, riuscirono comunque a domare totalmente la ribellione araba in Libia.
Si tratta però, in questi ultimi due esempi, di "successi" conseguibili appunto da parte di soggetti combattenti certo molto lontani dal pretendere di incarnare le forze del diritto, o della libertà o della democrazia, e quindi decisi a tirare dritti allo scopo con tutti i loro mezzi e senza remore di sorta. Ben più arduo è invece portare in paesi travagliati da situazioni insostenibili, anche con il concorso di contingenti militari internazionali, una vera pace e un vero ordine nella giustizia e nel rispetto del diritto, valori per noi irrinunciabili, posti alla base di qualunque nostro pensiero e azione, tradendo i quali tradiremmo noi stessi, anche se bisogna riconoscere che, proprio essi, sono in gran parte alle origini di quelle "inibizioni" dalle quali dici dovremmo liberarci.
Ora, intendiamoci, a questo proposito convengo anch'io che si possa e si debba fare parecchio per superare talvolta la mancanza della determinazione necessaria nel portare avanti anche le azioni di impiego della forza più invasive, quando oggettivamente necessarie, senza quei falsi pudori e quelle ipocrisie "pacifondaie" che finiscono soltanto per tornare a danno di tutti, ma sempre tenendo presente che il rischio di livellamento verso il basso del grado di civiltà, dei singoli individui come delle nazioni, è perennemente in agguato.
Il discorso non è molto diverso sia che si tratti della missione della polizia italiana in terra di camorra, che di quelle delle varie forze di pace ONU e NATO nel mondo, che di quella di Israele a Gaza.
Tommaso Pellegrino-Torino
www,tommasopellegrino.blogspot.com

Massimo ha detto...

Alcuni sport in cui il contatto fisico è basilare, dimostrano che una persona apparentemente più esile, può battere uno apparentemente più robusto. Lo si ottiene perchè esistono delle regole che ambedue rispettano.
Quando uno dei due non rispetta le regole, se l'altro continua a rispettarle è destinato ad essere sconfitto.
Questo per dire che non vi è alcuna negazione dei nostri principi se, con chi non rispetta le regole, applichiamo il principio di reciprocità.
E la dimostrazione l'abbiamo proprio avuta nella esperienza Coloniale dell'Italia. Badoglio e Graziani hanno vinto e conquistato all'Italia un Impero perchè hanno capito che con chi non rispetta le regole e combatte a modo suo, non possiamo applicare le nostre regole. Diversamente avrebbero portato al massacro i nostri soldati.

Tommaso Pellegrino ha detto...

Rispondo ad Eleonora che la guerra "proporzionata", come la chiama lei, non è un'invenzione recente e neppure un parto della fervida fantasia dei "pacifinti".
Il suo vero nome è intanto "dottrina della risposta flessibile", ed è stata teorizzata agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, ai tempi del presidente Kennedy e del suo segretario alla Difesa MacNamara. Doveva sostituire la precedente teoria della "risposta massiccia", basata sulla reazione immediata, con tutto l'arsenale nucleare americano, a qualsiasi attacco sovietico di qualunque natura, ed ora non più realistica poichè anche Mosca si era nel frattempo dotata di armi atomiche e sarebbe successo il finimondo.
La nuova "risposta flessibile" prevedeva invece che si reagisse con i mezzi di volta in volta commisurati a quelli usati dal nemico nell'attaccare, e quindi, in eventuale "escalation", prima con i convenzionali, poi con i nucleari tattici ed infine con i nucleari strategici.
Ora l'epoca del drammatico confronto Est-Ovest, imperniato sull'equilibrio del terrore, è acqua passata, e le guerre attuali, tipo quella Israele-Hamas, sono un'altra cosa, ma credo che continuare a pensare che sia bene proporzionare l'intensità di ogni reazione all'offesa subita non costituisca poi, tutto sommato, un sintomo di poca saggezza.
Tommaso Pellegrino-Torino
www.tommasopellegrino.blogspot.com

Massimo ha detto...

Abbiamo visto tutti come la "risposta flessibile" di Kennedy, McNamara e di Johnson abbia portato al dominio comunista in gran parte del mondo.
No, credo che la risposta debba essere quanto più profonda possibile per impedire che il nemico possa rialzarsi.
E anche in questo avremmo tanto da imparare dai Romani ... ;-)