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No alla deriva

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13 aprile 2009

No alla tassa sul terremoto,meglio privatizzare la Rai

Me l’aspettavo.
Un evento così tragico non poteva lasciare indifferente chi vive, con preoccupazione, un periodo in cui le tasse non sono più allegramente inventate ed aumentate.
L’assalto alla diligenza del denaro pubblico trova ora un motivo per chiedere di vessare gli italiani con una nuova tassa, una tantum o addizionale è indifferente, con la scusa della ricostruzione dopo il terremoto in Abruzzo, ma che ha tutta l’aria di servire a ben altro, come abbiamo imparato in circostanze analoghe.
Non credo sia un caso che il primo gallo a cantare sia stato Giuliano Amato.
Sì, proprio quello che nel 1992 si inventò il prelievo forzoso del sei per mille sui depositi degli italiani.
Naturalmente entrando nei nostri conti correnti nottetempo.
A seguire Bersani, che cerca di accreditarsi – proponendo le sue espressioni più truci credendo che esprimano profondità di pensiero – come esperto di economia ma non riesce a nascondere le sue origini di tradizionale funzionario del pci.
Stavo quasi per intonare un “meno male che Silvio c’è” di ringraziamento per averci dato un governo che non tassa, quando ascolto un gr nel quale si dice che Tremonti, dopo la (giusta) decisione di dare l’opportunità di devolvere il cinque per mille alla ricostruzione in Abruzzo, starebbe anche pensando ad una addizionale irpef.
Cioè un prelievo forzoso sui nostri stipendi già ampiamente decurtati da una scure fiscale che resta ancora troppo vampiresca.
Mi auguro che questa “pazza idea” che porterebbe il governo Berlusconi allo stesso identico livello di un qualsiasi governo di sinistra o socialisteggiante, venga prontamente accantonata.
Anche perché i fondi per la ricostruzione – rapida e senza burocrazia o storni di denaro per altri scopi – sono reperibili in altro modo, senza alcun onere aggiuntivo per gli italiani, soprattutto con uno strumento così odioso come l’aumento delle tasse.
E non sto parlando del c.d. “accorpamento” delle votazioni per europee e amministrative con il referendum elettorale, perché tale soluzione, che consentirebbe ai referendari di raggiungere il quorum su una consultazione inutile e che provocherebbe solo danni riducendo ancor di più il pluralismo politico, rappresenterebbe un guadagno minimo, oltre ad essere un vuluns alla democrazia, quando si costringe a votare su materie differenti (e già è eccessivo l’accorpamento di elezioni amministrative con temi importanti ma squisitamente locali, con le europee finalizzate ad eleggere un parlamento inutile e senza poteri).
L’Italia è un cospicuo contribuente – a fondo perduto, cioè senza rimborsi – per ogni genere di iniziativa internazionale.
Sono centinaia di milioni di euro che possono essere, più correttamente utilizzati, per la finalità della ricostruzione.
Si è già parlato del cinque per mille, ma si può disporre che anche l’otto per mille di pertinenza dello stato sia destinato al terremoto.
E che dire di quei contributi ai giornali o al cinema che servono solo a retribuire prodotti (stampa o film) che non hanno alcun pubblico pagante ?
Nello spirito della libera iniziativa e del libero mercato deve sopravvivere solo chi è in grado di mantenersi.
Quando arriva l’assistenza dello stato, allora vuol dire che il prodotto non è adeguato al sentimento ed alle esigenze del Popolo e quale occasione migliore per tagliare simili sprechi ?
E non si può negare che i fondi in arrivo dall’estero e dai privati possono essere utilizzati per “sponsorizzare” la ricostruzione di monumenti e di interi quartieri, magari – e sarebbe meglio che non tramite organismi statali – sotto il diretto controllo dei donatori.
Ma c’è di più.
In Italia abbiamo uno strumento che provoca, sistematicamente, turbolenze e lotte di potere, con anche esborsi non indifferenti di pubblico denaro.
Questo strumento è uno dei più bramati nel privato.
E’ la Rai.
Perché non cogliere l’occasione per privatizzare la Rai, fare cassa e liberarsi, una volte per tutte, di quello strumento improprio di potere, lasciando che sia il mercato dell’ascolto a determinare il successo o meno (e quindi la chiusura) delle trasmissioni ?

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