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No alla deriva

No alla deriva
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30 maggio 2010

Troppe chiacchiere

Torno su un tema appena accennato in un precedente post: il troppo tempo che si perde per decidere di fare una qualsiasi cosa.
Non solo sulle intercettazioniio scriverei solo due articoli: 1) le intercettazioni sono vietate; 2) chi le esegue, chi le utilizza, chi le diffonde è punito con la reclusione in direttissima, per 5 anni senza condoni, permessi, sconti – che da due anni rimbalzano da una camera all’altra, ma anche per le pensioni, per la riduzione delle tasse, per il federalismo, per tutto quello che serve a ben governare una Nazione.
Ha ragione Berlusconi quando lamenta di non avere sufficiente potere per fare e cita il Duce che disse più o meno le stesse cose.
Con la non trascurabile differenzache i cattivi maestri che spargono odio contro Berlusconi, chiamandolo tiranno, dittatore, Nerone e imputandogli continui "colpi" di stato, ignorano in una orgia di ipocrisia– che almeno il Duce non doveva anche sopportare le continue critiche di media ostili e le persecuzioni giudiziarie.
Proviamo ad immaginare come finirebbe una azienda se solo dovesse agire sul mercato con gli stessi criteri di una democrazia – che a me sembra molto più una oclocrazia – contemporanea.
Probabilmente porterebbe i libri in tribunale nel giro di poco tempo.
E il paragone tra uno stato e una società è calzante: quello ha gli elettori, questa gli azionisti.
Quello ha un parlamento, questa un consiglio di amministrazione.
Quello ha un governo,questa una pluralità di dirigenti esecutivi.
Quello un presidente (del consiglio o della repubblica) , questa un amministratore (unico o delegato).
Il governo e il suo presidente non sono altro che la espressione di una maggioranza di elettori, come i dirigenti esecutivi e l’amministratore delegato non sono altro che l’espressione della maggioranza degli azionisti.
Quando si deve prendere una decisione, il consiglio di amministrazione vota sulla proposta dell’amministratore delegato e in una sola seduta si decide e poi si attuano le decisioni.
Se la società guadagna, i dirigenti sono riconfermati dagli azionisti, in caso contrario vengono sostituiti.
Purtroppo questi ultimi due aspetti non trovano corrispettivo nella politica.
Il governo deve scendere a continui compromessi, i suoi provvedimenti vengono modificati in corso d’opera e spesso risultano stravolti rispetto alla iniziale stesura.
Se poi passano, c’è sempre qualcuno che brandisce o, meglio, interpreta, qualche comma, qualche articolo, qualche legge per renderli inefficaci e far ricominciare tutto da capo.
Se, poi, il governo cerca di accelerare i tempi emanando un decreto, ecco che si levano al cielo anatemi solenni contro “l’abuso di potere” che verrebbe commesso.
Eppure il governo non fa altro che quello per il quale è stato eletto: rispettare la volontà di chi lo ha eletto.
Ci vorrebbe, anche nella gestione dei principi democratici, una sana cultura aziendale.
I provvedimenti che il governo presentasse, dovrebbero essere approvati o respinti, senza alcuna possibilità di modifica.
Al termine del mandato, gli azionisti dello stato, cioè i cittadini elettori, prima di votare dovrebbero guardare nelle proprie tasche (non in quelle del vicino) e riflettere se hanno avuto un miglioramento nella loro vita o meno.
Se lo hanno avuto, confermeranno la fiducia al governo, in caso contrario voteranno per chi propone un progetto ai loro occhi migliore.
Ma smettiamola con tutte le liturgie e le chiacchiere che fanno solo perdere tempo e competitività.


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