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30 agosto 2012

Carbosulcis e impresa

La scena rilanciata ieri dai telegiornali del sindacalista minatore del Sulcis che si ferisce l’avambraccio destro (e non “si taglia le vene” o “i polsi” come drammaticamente hanno titolato alcuni servizi) è sicuramente ad effetto, anche se personalmente dubito della irrazionalità del gesto e della non premeditazione degli effetti mediatici.
Tanto più che i danni sembrano praticamente nulli e il sindacalista minatore se l’è cavata con una decina di punti di sutura e senza essere mai stato in pericolo di vita.
Ben diverse sarebbero le conseguenze se uno, in preda alla rabbia o alla disperazione, avesse improvvisamente e irrazionalmente compiuto atti di autolesionismo, come del resto abbiamo imparato da tutti i suicidi che hanno fatto seguito alle tasse ed alla politica economica di Monti.
Il fatto che si sia trattato di una probabile sceneggiata sarda invece che napoletana, nulla toglie alla drammaticità del problema del lavoro.
Che non c’è o che viene meno.
Chi non vi è passato, difficilmente riesce a comprendere lo stato d’animo di quanti fino al giorno prima avevano certezze pur nella estrema onerosità della vita ai tempi del tecnici al governo (tasse, balzelli, divieti, aumenti …) e improvvisamente devono arrangiarsi con quanto hanno eventualmente risparmiato e, magari, senza prospettive per il futuro e con una famiglia da mantenere.
I minatori del Sulcis non fanno eccezione, soprattutto per una zona endemicamente povera, che ha potuto sollevarsi e migliorare la propria condizione esclusivamente in funzione della miniera.
Una miniera, però, che oggi in Italia non è più conveniente perché i costi sono superiori ai ricavi e deve affrontare la concorrenza delle miniere cinesi dove il carbone (utilizzato per far funzionare centrali elettriche e a gas) viene estratto e quindi venduto a prezzi stracciati, anche inferiori alla metà di quello del Sulcis.
Anche in Inghilterra, che sulle miniere ha costruito parte della sua grandezza anche letteraria (ricordiamo ad esempio Cronin con il famoso “E le stelle stanno a guardare” trasformato anche in un celebre sceneggiato anni settanta dalla televisione italiana) , ha dovuto ammainare bandiera.
Nessuna impresa può essere costretta a lavorare in perdita.
Neppure lo stato può essere costretto a gestire una attività passiva, sennò ci ritroviamo con 2mila miliardi di euro di debito pubblico e nella necessità di vendere i gioielli di famiglia e di tagliare comunque spese e costi improduttivi.
Anche quelli che potrebbero avere un pregio sociale come è nel caso del Sulcis.
E’ evidente che se ci troviamo in queste condizioni, la responsabilità è di chi, nascondendo la testa sotto la sabbia, ha evitato di affrontare per tempo il problema.
Come è del tutto evidente che non è accettabile che la miniera venga tenuta aperta, magari con una accise sulla benzina o una delle vecchie una tantum che Bersani chiama “tasse di scopo”.
I minatori del Sulcis dovranno essere tutelati con adeguati ammortizzatori sociali mentre dovranno essere introdotte azioni per industrializzare, se possibile o riconvertire il territorio su altre attività.
Facile a dirsi, non a realizzare.
Pienamente consapevole, come bisogna essere consapevoli che continuare a tenere artificialmente in vita una impresa, una azienda, una produzione in perdita porta, in prospettiva, molti più danni e dolori, come vediamo oggi per il Sulcis.



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2 commenti:

Giulio ha detto...

Per assurdo "stipendiare" con 2.000 euro al mese questi operai lasciandoli a casa, costerebbe molto meno che sovvenzionare l'estrazione di questo carbone.
La cosa drammatica è che non vedo la minima soluzione a questa crisi. Mussolini era riuscito a creare lavoro con il carbone, la città di Carbonia è nata per questo, ma ormai sono passati quasi 90 anni e non è più sostenibile questo business.

Massimo ha detto...

A Carbonia andavo in libera uscita quando, da militare, partecipai ad una esercitazione di due settimane a Capo Teulada. Una miseria nera e dignitosa. C'era una sola trattoria dove il piatto era unico: spaghetti. In precedenza avevo fatto addestramento anche a Persano con libera uscita ad Eboli (dove si "fermò" Cristo a rappresentare la povertà assoluta). Ebbene Eboli mi apparve più "ricca". Certo, parlo di più di 30 anni fa ...