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No alla deriva

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11 giugno 2018

Industriali assistenzialisti pro domo loro

Gli industriali, come la chiesa, stanno sempre dalla parte del potere, per poterne beneficiare a scapito dei "comuni" cittadini che, poi, sono quelli che mantengono tutti e tre (il potere, la chiesa e gli industriali).
È un concetto che ho maturato adolescente quando mi accorsi dell'atteggiamento rinunciatario, davanti al cosiddetto "autunno caldo", del sopravvalutato presidente della Fiat avvocato Gianni Agnelli poi anche presidente di Confindustria.
I suoi devastanti accordi con Lama, segretario cgil, finalizzati al solo interesse di una Fiat che noi Italiani abbiamo ripetutamente salvato dal fallimento accollandoci gli oneri, salvo poi vedere gli utili finire nei forzieri della finanziaria di famiglia rendendo effettivo il principio di "socializzare le perdite e privatizzare gli utili", sono emblematici del passaggio dell'industriale da motore del progresso e della produttività a freno sociale e drenaggio di denaro pubblico, senza alcun ritorno.
Naturalmente non sono tutti così, anzi lo sono solo ai vertici di quelle 800mila aziende più grosse a fronte delle sei milioni di imprese, anche individuali, esistenti in Italia che ne rappresentano la spina dorsale.
Il convegno dei giovani di Confindustria non smentisce l'assunto, anzi lo conferma e lo rilancia.
Gli interventi pieni di superbia dei due presidenti, dei "giovani" e dei "vecchi", con i loro professorali richiami ai politici ma, in realtà, nostalgici dei governi degli ultimi sette anni e palesemente ostili al Governo pentaleghista, ci dicono quanto, ancora, gli industriali italiani rappresentino il freno allo sviluppo.
Si sono dichiarati contrari alla flat tax per "salvaguardare il bilancio dello stato", mostrando preoccupazione per la spesa pubblica.
Però hanno chiesto la riduzione del cuneo fiscale e nuove agevolazioni per le assunzioni.
In pratica, l'incremento della spesa pubblica andrebbe loro bene purché a beneficiarne fossero solo loro, le grandi industrie, e non le piccole o i comuni cittadini.
Alzano la voce per una spesa (al lordo dei recuperi come l'abolizione del complesso sistema di detrazioni) di cento mliardi, ma non hanno alzato un sopracciglio davanti ai quattrocento miliardi di aumento della spesa pubblica prodotti dai governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni in soli sette anni.
Venerdì sera, nel solito confronto due (anzi tre con il conduttore di parte) contro uno, nel trio c'era, con il mancato premier Cottarelli,anche un tal Rossi (nella fotografia), presidente dei giovani imprenditori che, con atteggiamento supponente, blaterava, con espressione resa ancor più arrogante dall'essersi presentato con una sciatta barbetta, che lui era contrario alla flat tax.
E non ascoltava il senatore Siri che ne illustrava i benefici, ma cercava sempre di parlargli sopra tanto che persino un conduttore di parte ha dovuto invitarlo a tacere e lasciar parlare Siri.
Ma il momento più esilarante è stato quando Siri, spazientito dalla testardaggine con la quale il Rossi insisteva conto la flat tax, ha detto d'accordo, vorrà dire che faremo una norma per cui chi è contrario alla flat tax continuerà a pagare con il sistema e le aliquote attuali.
Una evidente battuta che il trio di oppositori non ha colto e, anzi, ha preso seriamente (a dimostrazione dell'assenza di ogni senso dell'umorismo) con il Rossi che già si era messo in moto per contestare l'ulteriore complicazione del sistema.
Non credo che con i Boccia e i Rossi il nostro sistema industriale possa recuperare, troppo abituati all'aiutino di stato, salvo poi delocalizzare o vendere allo straniero, lasciando a piedi migliaia di lavoratori.
Per questo la flat tax deve entrare in vigore il più presto possibile per tutti, a cominciare dalle piccole imprese (quelle grandi possono veramente aspettare visto che sono contrarie) e dai cittadini, contribuenti singoli, che in tal modo, avendo più denaro proprio in tasca, potranno spenderlo e investirlo anche diventando loro stessi imprenditori.    







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