Ieri la corte di assise di appello di Perugia ha assolto "per non aver commesso il fatto" Amanda Knox, studentessa americana e compagna di appartamento della vittima e Raffaele Sollecito, studente (ora laureato in ingegneria) pugliese e fidanzato dell'americana.
In primo grado i due erano stati condannati all'ergastolo e la pena dell'ergastolo era stata richiesta a conferma dalla procura.
Già la semplice esposizione dei fatti farebbe dire ad un marziano che scendesse oggi sulla Terra: ma come, prima l'ergastolo e adesso non hanno commesso il fatto e tutto sulla base degli stessi indizi ?
Ecco il punto: indizi, non prove.
Vaghe tracce, smentite da una perizia terza, di dna, ipotesi di morbose serate tra studenti, teoremi costruiti su fondamenta esili.
Pubblicando questo intervento anche nel blog dedicato principalmente alla pena di morte è evidente che ritengo che il delitto di Perugia sarebbe meritevole, per la sua efferatezza, sadismo, inutilità, della pena di morte, ove contemplata dal nostro ordinamento.
Comminata, però, a chi risultasse veramente colpevole, secondo la formula statunitense, "al di là di ogni ragionevole dubbio".
Io mi ricordo all'inizio degli anni novanta un atroce delitto ai primi di gennaio a Bologna, in cui furono trucidati tre carabinieri.
La procura indagò alcuni cittadini immigrati dal sud considerati "mafiosi".
Si scoprì poi che gli autori della strage erano stati i banditi della "uno bianca".
Ma il processo contro i primi indiziati continuò fino alla ovvia assoluzione.
Ecco, a Perugia si è ripetuta la stessa storia, con l'aggravante che il vero colpevole non è ancora stato scoperto, a meno di credere tale il solo Rudy Ghedè condannato a sedici anni con il rito abbreviato.
Sedici anni per quel che avrebbe commesso sono troppo pochi, anche perchè sarà fuori dopo meno di dieci.
Ma il punto resta sempre quello: è veramente colpevole ?
Visto l'esito dell'appello contro Knox e Sollecito i dubbi sul modo di condurre le indagini sono forti.
E qui veniamo ad una seconda considerazione in ordine alla sentenza di Perugia.
Ma che razza di giustizia abbiamo che condanna, sulla base di labili indizi all'ergastolo ed i cui procuratori insistono, per convinzione personale non suffragata da prove, per il massimo della pena ?
E, sempre per convinzione personale, che razza di giustizia abbiamo o possiamo aspirare ad ottenere quando chi assolve non propone neppure un minimo dubbio.
Certezze assolute che confliggono in modo assoluto con l'amministrazione della giustizia e agevola le critiche dall'estero per i nostri ritardi sanzionati anche con multe (a carico della collettività, ma andrebbero poste a carico dei magistrati) e con risarcimenti, anche quelli accollati al pubblico bilancio.
Knox e Sollecito, dopo quattro anni di carcere, ora che sono stati dichiarati del tutto innocenti, senza alcun dubbio, avrebbero ben diritto ad un congruo risarcimento milionario (in euro) nei confronti di chi ha sottratto loro quattro anni di vita, per di più a venti anni !
La sfiducia che qui ho sempre manifestato verso la giustizia italiana viene così prepotentemente confermata e, questa volta, nessuno può imputare il mio atteggiamento allo schieramento politico cui appartengo.
Anzi, la stessa battaglia di Berlusconi assume contorni più netti e sicuramente più popolari perchè le sue ragioni sono comprovate da processi estranei alla politica.
Se si trattasse solo di questo processo, si potrebbe anche dire: eccezione che conferma la regola.
Ma quale giudizio si può dare quando è un continuo di incertezze, processi indiziari, teoremi arditi e, alla fine dei conti, di convinzioni personali.
La lista è lunga, a memoria: piazza Fontana, stazione di Bologna, Olgiata, Simonetta Cesaroni, fino ai recentissimi casi di Anna Maria Franzoni, Salvatore Parolisi, la ragazzina di Avetrana ....
Non sono le convinzioni personali che ci si aspetta da un magistrato, ma buon senso e applicazione della legge.
Soprattutto ci si aspetta che, nell'incertezza, si applichi il sano, vecchio principio "in dubio pro reo" perchè è nella nostra cultura giuridica e civile ritenere che sia meglio un colpevole "fuori" di un innocente "dentro".
E troppi sono quelli incarcerati prima ancora di aver subito una condanna definitiva.
Com'è che diceva Bartali ?
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3 commenti:
D'accordo sul tutto da rifare.
Non hai citato il caso del delitto di Erba in cui Rosa e Olindo sono stati condannati in primo grado e in appello in base al riconoscimento indotto e forzato di Olindo da parte del superstite e in base alle confessioni dei due indotte anche queste dagli inquirenti che avevano promesso loro che se avessero confessato se la sarebbero cavata con poco.
Mentre non è stata creduta la smentita che i due hanno fatto in seguito delle loro confessioni.
Anche lì, di prove non ce n'erano, a parte una traccia di sangue, forse, sul predellino della loro auto.
Dici bene, i casi di questi ultimi anni non fanno altro che consolidare nei cittadini la convinzione che la giustizia operi alla ca***.
Non augurarti di cadere, anche solo come semplice testimone, tra le grinfie di qualche magistrato, soprattutto italiano.
Idem come Gaetano. Non son capaci di trovare una vera PROVA in nessun processo. Nemmeno nel caso di Avetrana dove c'era uno che aveva confessato..non hanno sequestrato la casa, il garage..niente. Incapaci e forcaioli.
NOn ho citato neppure il caso di Garlasco. Sono talmente tanti che, andando a memoria, ne restano fuori sempre molti altri.
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