Ciò che è bene per la sinistra è male per l’Italia. Ciò che è male per la sinistra è bene per l’Italia.

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Si devono intraprendere le guerre per la sola ragione di vivere senza disturbi in pace (Cicerone)

No alla deriva

No alla deriva
Diciamo NO alla deriva

30 novembre 2005

Tocque-ville, secondo me

Come habitus mentale sono dell’idea che strategie e critiche all’interno di una organizzazione debbano essere mantenute all’interno della stessa.

Così accade ne Il Castello , così auspicavo potesse accadere in Tocqueville : purtroppo, come ha ben denunciato Freedomland , c’è chi, prendendo a pretesto la pubblicazione su Thank You America delle parole di una canzone si è fatto prendere da ridicole isterie antifasciste ed ha, come si suol dire, “sbragato”.

Di conserva è arrivato il sermoncino di un giornalista del Foglio che nel suo blog si è permesso di tacciare come “idiozie” le posizioni contrarie alla grazia a Adriano Sofri espresse da molti bloggers di Tocqueville, meritandosi la reazione di uno dei più presenti e generosi bloggers, Otimaster che ha oggi espresso una posizione decisa che condivido appieno e che mi vede totalmente schierato al suo fianco.

Fermo restando che questo blog continuerà a visitare fatti e personaggi storici con lo stesso criterio adottato sino ad ora, senza alcuna sudditanza psicologica nei confronti degli anatemi, delle isterie e delle parole d’ordine, intimidatorie, della sinistra, hic et nunc intervengo non per difendere o attaccare, ma per descrivere quel che, sin dall’inizio, ho inteso essere Tocqueville e il suo spirito “fusionista”.

E parto dal referendum sulla scelta del nome: io votai per “Thr Right Nation” perché mi sembrava più appropriato a quello che si voleva costruire.

Ma cosa si voleva costruire ?

Un aggregatore per blog liberali, conservatori, neoconservatori, riformatori e moderati , certo, ma penso anche un esperimento di più ampia portata: un contenitore dove trovassero la loro casa comune le varie Destre (o Centro Destre se preferite).

E così (senza la pretesa di voler esaurire l’elenco) quella Sociale, Liberale, Cattolica, Radicale, Riformatrice, Federalista, Nazionalista.

Tante Destre, ognuna delle quali portatrice di Valori e di Idee che, singolarmente, definiscono una identità precisa e tagliata con l’accetta, ma che nella realtà si contaminano l’una con l’altra anche se in ognuno di noi prevale l’appartenenza ad una o all’altra, senza disdegnare di valutare o anche recepire proposte altrui.

Ma tante Destre, ognuna delle quali, da sola, non riuscirebbe a realizzare neanche una minima parte della propria proposta politica giacchè, accettando tutti, come immagino, il sistema della democrazia rappresentativa, nessuna delle singole Destre avrebbe la forza di raggiungere una maggioranza (come nessuna delle sinistre, ma questo è affar loro), rendendo d’obbligo un processo – difficile – di sintesi tra le varie posizioni la cui risultante dovrebbe essere un programma di governo di quell’area che può riconoscersi nell’attuale maggioranza di Centro Destra.

Per raggiungere questo obiettivo, ognuno deve rinunciare a qualcosa della sua specifica identità, accettare che su determinate questioni (soprattutto di coscienza) altri abbiano posizioni diametralmente opposte e, in cambio, ottenere che nel programma condiviso vengano inseriti anche alcuni elementi caratterizzanti la “sua” Destra.

Ma una cosa non si può e non si deve chiedere a chi appartiene ad “un’altra Destra”: rinunciare alle sue radici.

No. Questo proprio no.

E non credo che lo spirito “fusionista” tanto richiamato pretenda di avere adesioni orbate della propria anima.

Abbiamo molte battaglie in comune, qualche battaglia che ci vede contrapposti (com’è giusto che sia quando si incontrano identità diverse).

Tocqueville può e deve – a mio parere – essere il punto di incontro, nel quale si impari anche ad accettare chi non la pensa come noi e a leggere senza prevenzioni, patentini, esami o anatemi quel che ognuno di noi sente di pubblicare, ferma restando la battaglia comune per uno stato migliore, più libero, che potrà vederci tutti vincenti, solo se saremo e sapremo stare uniti al di là delle singole specificità che, allora, diventerebbero una forza e non una debolezza.

Ricordiamoci sempre l’esempio del 1996, quando sdegnosamente fu rifiutato l’apparentamento con le liste di Rauti: 40-50 collegi persi che avrebbero cambiato il corso della storia politica del nostro paese (provate a pensare un Governo Berlusconi nel pieno del boom economico mondiale …).


Divisi perdiamo tutti, uniti vinciamo ... TUTTI !

28 novembre 2005

Grazia a Sofri ? Prima deve pentirsi e chiedere scusa

Zàcchete !

Adriano Sofri viene ricoverato, come capita a tantissime persone, d’improvviso per una operazione urgente e riesplode la campagna mediatica a favore della grazia, tanto che sembra tutto pilotato da una apposita regia.

Pannella che si appropria della grazia, le polemiche nei confronti del Ministro della Giustizia che vi si oppone, le dichiarazioni di intenti delle varie forze politiche.

Subito si sospende la pena (provvedimento tutto sommato accettabile visto che in realtà, tecnicamente, è un differimento, cioè il periodo in cui la pena è sospesa sarà “recuperato” in seguito fino a scontare – auspicabilmente – tutti gli anni cui è stato condannato) ma la grazia no.

La grazia è un istituto che sopravvive alla fine delle monarchie.

Una decisione, in questo caso presidenziale e controfirmata dal ministro.

Un provvedimento unico, che parte dalla condanna definitiva e attraversa il pentimento del reo e il perdono dei parenti delle vittime.

Non può e non deve essere un quarto grado di giudizio che “corregga” i precedenti tre (nel caso di Sofri ben otto processi !) se le loro sentenze non sono gradite !

Non può e non deve essere un atto politico, neppure uno scambio con grazie uguali e contrarie (di segno politico).

Sofri non si è pentito perché non ha riconosciuto la sua responsabilità nell’omicidio del Commissario Calabresi e per tale ragione non ha ricevuto il pieno perdono della famiglia.

Mancano i presupposti per graziarlo.


Lasciamolo guarire nel silenzio e lasciamo che sconti senza … sconti politici, totalmente la sua pena, comminatagli da ben otto sentenze, a meno che non chieda scusa, non si penta realmente e non riceva così un pieno perdono dalla famiglia del Commissario Calabresi.

27 novembre 2005

La rivincita della Storia

Quello che segue è un intervento anonimo: l’ho trovato nella mail, senza firma e rispetto la volontà allì'anonimato..
Naturalmente riconoscerò la paternità a chi di dovere, se la reclamerà.
Ma poco importa di chi sia (anche se ho in mente almeno tre persone che potrebbero averlo scritto), quel che importa è che rappresenta una realtà coperta dalla propaganda di sinistra.
Il Fascismo fu anche questo e per valutare in modo obiettivo quei 20 anni della nostra Storia non possiamo limitarci all’agiografia resistenzialista degli ultimi due anni (con lo sbianchettamento dei ruolo Alleato) ma dobbiamo inquadrare il fenomeno nel periodo in cui è nato e per quello che ha realizzato.
La sudditanza psicologica alle parole d’ordine della sinistra ha fatto gridare al “Fascismo” nei confronti di chiunque osasse riportare anche gli aspetti positivi del Ventennio.
Non dimentichiamo quel che fu il Fascismo in termini di lutti e di oscuramento della libertà, ma di ciò debordano le librerie.
Una società libera ed evoluta è anche una società nella quale si collochi nella giusta dimensione un fenomeno storico, concluso come è il Fascismo, rappresentando alle giovani generazioni luci ed ombre.
E’ la rivincita della Storia che grazie alla Rete può affermarsi anche in Italia dove, a 60 anni dalla fine della guerra, alcuni argomenti restano tabù: squarciare la cappa di omertà è dare impulso alla libertà.

Nel merito dell’intervento – che ho lasciato tale e quale mi è pervenuto – c’è solo da aggiungere che personalmente non condivido al 100% la conclusione, perché il periodo “nero” della Repubblica Italiana non è per intero quello che va dal 25/4/1945 ad oggi, ma lo individuerei in quello, iniziato nel 1963, con il primo centrosinistra organico e l’ingresso dei socialisti al governo e che termina – con due brevi parentesi nel 1972 e nel 1994 con i governi Andreotti/Malagodi e Berlusconi – il 13 maggio del 2001.

Oggi viviamo un’altra storia, con le riforme messe in campo dal Governo Berlusconi che stanno togliendo le ingessature di uno stato assistenzialista e sprecone, per restituire all’Italia smalto, affidabilità e credibilità internazionale.


*****L’INTERVENTO*****

Quando l’aratro tracciava il solco


In un periodo in cui si parla di realizzare grandi opere, ma difficilmente se ne vedono di concluse, è giusto ricordare il periodo e gli uomini che ne seppero erigere di grandiose, perchè non tutti i mali vengono per nuocere.

Dopo che a Milano in galleria ed alla stazione centrale delle ferrovie erano state allestite, a cura di Palazzo Marino, analoghe manifestazioni, nel 1984 a Roma fu aperta al pubblico una mostra per illustrare i più svariati aspetti dell'economia italiana tra le due guerre mondiali nel periodo coincidente con il ventennio fascista. Sedi migliori non avrebbero potuto essere scelte se si pensa che ad accogliere gigantografie, pannelli e vetrine traboccanti di testimonianze merceologiche, oggetti e mezzi profusi in quell'epoca furono utilizzate due metropoli e, nella Capitale, uno dei più tipici esempi della romanità tanto cara al Regime: il Colosseo.
La partecipazione del pubblico fu ben superiore al previsto e se l'intento era quello di far sorridere per il divario tra i prodotti di sessanta anni fa e lo sviluppo tecnologico di oggi, fu invece unanime la sorpresa, sia nei più giovani sia negli anziani che avevano dimenticato, nel constatare una realtà che ci aveva resi giustamente orgogliosi allora di essere Italiani.

Di fronte ad un campione così eclatante di oscuramento della memoria giova quindi ricordare alcune delle più significative opere del Regime, a riprova di un periodo ove accanto alla retorica si realizzavano programmi che sono ancora sotto gli occhi di tutti; accenniamo a queste opere e ci riferiamo a città, borghi e villaggi creati dal nulla in pochi anni che già nel 1939 furono oggetto di una pubblicazione del giornalista sardo Stanis Ruinas "Viaggio attraverso le città di Mussolini".

Vediamole ora rapidamente, una per una, queste "città", anche se non tutte - lo ripeto arrivarono a tale livello di strutture, di sviluppo e di popolazione per le loro differenziate vocazioni.

Ovviamente la maggior parte ebbe proiezione agricola, susseguente per lo più a bonifica del suolo da acquitrini e paludi, data la lotta alla piaga dell'urbanesimo che veniva combattuto anche nelle scuole con il cosiddetto ruralismo magnificante in tutti i possibili modi e con tutti i mezzi di propaganda a disposizione, le virtù di un ritorno alla terra e la più naturale esistenza in campagna, di contro al crescente e minaccioso inurbamento, purtroppo vincente alla fine.

E cominciamo con la dolente nota di chi è venuto via, esule in Patria, o all'estero (e furono 350.000 persone!) e di ciò che è rimasto nelle zone perdute ormai fuori dai confini politici orientali.

FELICIA, ora la croata Cepie o slovena Cvic, edificata nella piana prosciugata dell'Arsa in provincia di Fiume all'altezza di Bersezio sul Quarnero, seguita, a partire dal 1936, da FERTILIA (chiamata temporaneamente FERTILIA JULIA) in Sardegna presso l'aeroporto della catalana Alghero dove, intorno agli anni Cinquanta, vennero "dirottate" perché ingombranti, aliquote di profughi della Venezia Giulia e della Terza Sponda adriatica, affinché vi... dimenticassero l'Istria e la Dalmazia natìe perdute.

Si tratta in entrambi i casi di piccolissimi abitati colonici restati tali, a parte qualche successiva appendice turistico-balneare.

TORVISCOSA in mezzo ad un autosufficiente comprensorio friulano di bonifica, dove all'agricoltura si unisce l'allevamento del bestiame ed una ricca produzione lattierocasearia.

Avrebbe dovuto forse chiamarsi FRIULIA, nata con l'investimento di capitali dell'industriale Marinotti. Invece prevalse, fissata nel suo nome, la memoria di fibre tessili (la viscosa della SNIA appunto) sperimentali, donde il Lanital, la lana artificiale italiana derivata dal latte.

Per rimanere in tema ecco in una incalzante sequenza le più famose città dell'Agro Pontino redento, costruite tutte nell'arco di appena otto anni:
LITTORIA (oggi LATINA) fondata il 30 giugno ed inaugurata il 18 dicembre 1932 divenuta capoluogo dell'allora più giovane provincia italiana il 18 dicembre 1934. Essa è tuttora alla testa di un comprensorio industriale oltre che agricolo in dinamico equilibrio di efficiente produzione economica.
SABAUDIA fondata in omaggio alla dinastia di Savoia allora regnante il 5 agosto 1933 ed inaugurata il 15 aprile 1935.
PONTINIA fondata il 19 dicembre 1934 ed inaugurata il 18 dicembre 1935, Giornata della Fede.
APRILIA fondata il 25 aprile 1935 ed inaugurata il 29 ottobre 1937 anno XV dell'Era Fascista.
POMEZIA fondata in ricordo di un'antichissima città laziale mai rintracciata, il 22 aprile 1938 ed inaugurata il 28 ottobre 1940, capodanno dei XVIII E.F.

Ma assai prima di esse il 28 ottobre 1928 era stata fondata nell'Oristanese MUSSOLINIA DI SARDEGNA eretta a Comune nel 1930 e divenuta ARBOREA nel 1944, sul terreno della bonifica di Terralba dove fra l'altro si produce il rinomato vino di Torrevecchia.

Nasce nella grossetana bonifica prossima alla foce dei Fiume Albegna, in Toscana, ALBINIA che rimane un gruppo di case vicino alla ferrovia con il silos dell'acqua e la chiesa, come del resto MUSSOLINIA Di SICILIA inaugurata nel 1939 quasi alla vigilia della guerra, ed oggi frazionata tra Botteghelle e Mazzarrone e contratta nel nome troppo semplicisticamente camuffato di CASE MOLINIA a sud di Caltagirone, in vista della piana di Gela e Comiso che, al di là dei mare, guarda lontanissima la Quarta Sponda africana.

In Puglia a sud di Foggia abbiamo borgo SEGEZIA con il vicino Ovile Nazionale e quindi centro agro-zootecnico e nella Basilicata, allora Lucania, non lontano da Pisticci MARCONIA.

Presso Fano alla foce dei Metauro, nelle Marche, ecco ancora nel 1938 sull'Adriatico sorgere a cura dell'Opera Nazionale Combattenti METAURILIA. Essa unisce nel suono del nome del vicino storico fiume quello dei "suovetaurilia" il cruento sacrificio agli dèi pagani dell'Urbe di un majale (sus) una pecora (ovis) ed un toro (taurus) per propiziarne la prosperità e la sorte.

Infine VOLANIA prossima al Po di Volano, nel Ferrarese, presso Comacchio, nascerà con una grossa fattoria cinta da un muro che la fa apparire quasi un centro fortificato più che agricolo. Forse avrebbe potuto meglio chiamarsi BALBIA dedicata al Trasvolatore dell'Atlantico e Governatore della Libia, Italo Balbo, caduto nel 1940.

Per tutti questi abitati e per le fertili e variegate coltivazioni circostanti ben si addice l'espressione mussoliniana dell'epoca "Questa è la guerra che noi preferiamo" vincolata all'altra. "E' l'aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende", alludenti alla sfida insita in una più che pacifica attività contadina abbinata alla tenace volontà di difendere, contro chiunque, la sorgente autarchia cerealicola. E ciò nonostante le inique Sanzioni economiche, applicate inutilmente da 52 nazioni all'Italia, per soffocare la conquista del nostro posto al sole in Abissinia. Qui, nel Galla e Sidamo, ed in altre plaghe interne etiopiche, alcune aree di messa a coltura, tra le diverse realizzazioni di civiltà, che ebbero vita effimera ma ugualmente indicativa: una "Romagna d'Etiopia", una "Puglia d'Etiopia" ed un"Veneto d'Etiopia", dissodate per lo spazio di appena un lustro coi sudore dei coloni provenienti dalle omonime regioni nazionali!

Ed ancora, alla periferia dell'Urbe, oltre l'EUR (allora detta Eur '42) verso quello che fu chiamato Lido di Roma (ex ed attuale Lido di Ostia) ecco VITINIA ed ACILIA del 1939, centri satelliti. Oggi quartieri estremi della Città Eterna.

Nel 1938 andarono in Libia, antico granaio dell'Italia romana, 20.000 agricoltori per redimere, alla fecondità, la Gefara e l'altipiano tripolino nonché il Gebel cirenaico, un tempo verde .

E lì, i nostri coloni hanno trovato pronti 25 villaggi agricoli: OLIVETTI, BIANCHI, GIORDANI, MICCA, TAZZOLI, BREVIGLIERI, MARCONI, GARABULLI, CRISPI, CORRADINI, GARIBALDI, LITTORIANO, CASTEL BENITO, FILZI, BARACCA, MADDALENA, SAURO, OBERDAN, D'ANNUNZIO, RAZZA, MAMELI, BATTISTI, BERTA, LUIGI DI SAVOIA, GIODA.

Intanto, fianco a fianco, Arabi e Berberi indigeni imparavano a lavorare e a far fruttare la loro terra in altre in altre dieci località nuove dai poetici nomi di EL FAGER (Alba), NAHIMA (Deliziosa), AZIZIA (Profumata), NAHIBA (Risorta), MANSURA (Vittoriosa), CHADRA (Verde), ZAHRA (Fiorita), GEDIDA (Nuova) e MAMHURA (Fiorente) nonché l'odierna EL BEIDA già BEDA LITTORIA (la Bianca) che Idris el Senussi, nel dopoguerra fatto Re dagli Inglesi, volle sua residenza. Arabi e Berberi concorrevano così inoltre a contenere e bloccare mediante le colture agricole ed arboree l'espansione della sabbia avanzante del Sahara.

Sempre nelle quattro Province metropolitane della Libia (Tripoli, Misurata, Bengàsi e Derna) si ebbe la modernizzazine di 17 centri abitati costieri e dell'entroterra: APOLLONIA, TOLMETTA (Tolemaide), LEPTIS MAGNA (ar. Homs Lebda) etc.

Né può essere tralasciato, anche se dovuto esclusivamente alla personale, solitaria iniziativa fiorente degli anni Venti del Duca degli Abruzzi (che vi volle esser sepolto) il nascere ed il prosperare di una enorme Azienda agricola modello per quei tempi, centro pilota di una esemplare pluricoltura nell'arida Somalia presso il fiume Uebi Scebeli, VILLABRUZZI (sintesi di VILLAGGIO DUCA DEGLI ABRUZZI) oggi Jawhar nel Corno d'Africa.

Ma torniamo in Italia per rintracciare sempre negli anni Trenta le città minerarie e carbonifere di ARSIA fondata il 27 ottobre 1936 ed inaugurata nel novembre 1937, oggi purtroppo la croata Rega, presso Albona, pardon Labin in croato, nell'Istria, e, fondata il 17 dicembre 1938 nel Sulcis (Iglesiente) della Sardegna CARBONIA che con alterne vicende ha superato ormai i 33.000 abitanti, come preconizzato dal Duce al momento della inaugurazione.

Abbiamo poi TIRRENIA presso Livorno, città cinematografica della fu "Pisorno" che accompagna e segue Cinecittà del 1936. GUIDONIA città aviatoria, anzi delle ali e della scienza dell'aria, sede di studi ed esperienze d'avanguardia della Forza Armata del cielo, consegnata il 31 ottobre 1937 all'Aeronautica ed inaugurata nel 1938 sotto Montecelio, verso Palombara Sabina. Ed infine, sorta nel 1936, CERVINIA, città sciatoria con Breglio (Breuil) in Val d'Aosta.

Fin qui si è elencato quanto è stato creato ex novo magari vicino ad altre sedi abitative lasciando al "libro dei sogni" le realtà in progetto ed allo studio rimaste in pectore nella Madrepatria ed Oltremare, abbandonate allo scoppio della seconda guerra mondiale.

Non possono altresì essere passati sotto silenzio, anche se in parte accennati sopra, i centri monofunzionali inseriti organicamente nell'Urbe quali:
- la città sanitaria Ospedale del Fascio, poi San Camillo, Spallanzani e Forlanini nella cosiddetta "zona del silenzio", del 1929;
- la città dello sport Foro Mussolini oggi Foro Italico del 1932;
- la città militare Cecchignola con l'adiacente successivo Villaggio Giuliano-Dalmata;
- la città del cinema Cinecittà del 1936;
- la città dell'esposizione universale romana E. '42 (EUR del 1947)
.

Per concludere, secondo il buon senso che consigliava e consiglia, contro l'eccesso di campanile, il trovare ed incoraggiare motivi di unione e di fusione rispetto a ciò che troppo individualisticamente tende a dividere e separare, è bene enumerare, nelle nuove denominazioni allora assunte, Massa e Carrara in APUANIA, Intra e Pallanza in VERBANIA, Oneglia e Porto Maurizio in IMPERIA (dal torrente Impero che scorre tra esse), Anzio e Nettuno in NETTUNIA fino al 1946. E come elemento onomastico di proiezione al futuro ma ricavandolo dalla tradizione classica, CORRIDONIA in luogo di Pausula nelle Marche, tralasciando volutamente le "puristiche" italianizzazioni di nomi dal suono straniero come ad esempio in Val d'Aosta PORTA LITTORIA in luogo di La Thuile (fr. La Tegola), CUORMAIORE in luogo di Courmayeur dal lat. Curia Major, ed altre.

Il Fascismo tuttavia - è bene riaffermarlo , non compì certo solamente opere materiali murarie e d'asfalto quali le prime autostrade. Come dimenticare infatti l'Accademia d'Italia, il nuovo Codice Civile e Penale "Rocco", l'Opera Nazionale Maternità e Infanzia, l'Encilopedia Treccani, le Carte del Lavoro, dello Sport e della Scuola, le Colonie marine e montane per i figli del popolo, etc. esortando gli Italiani ad andare al mare ed a volare (Giornata dell'Ala)?

Quella che abbiamo presentato è senza dubbio una panoramica necessariamente non approfondita, ma tale da far conoscere l'entità gigantesca dello sforzo e dell'erculeo impegno affrontato in quegli anni, oltre alle innumerevoli iniziative ed attività eseguite nelle città italiane, ed in tutto il territorio nazionale, di qua e di là del Mare Nostrum in un amplissimo programma di realizzazioni che attinge l'universale.

Non vuole essere sterile e banale ironia, ma si avanza prepotente a questo punto il bisogno di un confronto tra il tanto deprecato Ventennio imperiale ed il mezzo secolo di repubblica democratica e tangentopolitana che ancora ci ammorba dall'inizio degli anni Novanta. Cos'è stato meglio?

Quell'Era "nera" detta fascista o questo cinquantennio di vergogna e di dissipazione?

Ogni ulteriore commento è evidentemente scontato!


Tuttavia lascio ai Lettori vecchi e giovani, memori, smemorati od ignoranti la risposta.

25 novembre 2005

Pinochet compie 90 anni


Il Generale Augusto Pinochet compie oggi 90 anni (nato il 25 novembre 1915).

90 anni sono una bella età anche oggi, quando si legge di tante persone che varcano la soglia dei cento anni.

Ma, ancora oggi, 90 anni rappresentano un peso per chi li porta.

La circostanza non è ricordata rievocare il suo ruolo importante nel freno imposto al comunismo dilagante negli anni settanta (cosa che abbiamo già fatto con tre
recenti post), ma vuole invitare ad una riflessione nel momento in cui, contro una persona di 90 anni, si accanisce una sistematica azione giudiziaria.
Azione che non riusciamo proprio a chiamare "giustizia" e che se di vendetta si tratta, lasciamo giudicare sulla qualità e spessore morale delle persone che si vendicano su un novantenne.

E rimarchiamo come altrettanta azione di "giustizia" o "vendetta" non venga svolta contro i ben peggiori tiranni comunisti che si godono la loro vecchiaia, alcuni ancora al potere.

23 novembre 2005

Mamma li turchi !

Alcune settimane fa il consiglio dei ministri dell’europa a 25 ha definito i primi termini per aprire il negoziato per l’adesione alla unione europea della Turchia.

Un negoziato che si prevede decennale e che, se si concluderà positivamente, vedrà la Turchia in europa solo nel 2014.

In occasione della visita di Ciampi in Turchia, si ripropongono le polemiche su tale progetto.

Il destro per rispolverare l’argomento me lo ha fornito l’amico Pseudosauro con un post formalmente ineccepibile al quale provo a rispondere con le mie “ragioni del sì”.

Mi rendo perfettamente conto che la mia opinione è nettamente minoritaria e che il sentimento prevalente è contro l’ingresso della Turchia in europa.

Ciononostante mi sia consentito esprimere una opinione “di minoranza” che peraltro nulla ha a che vedere con la liturgia dell’europa, anzi

Vi sono alcuni elementi che inducono ad essere favorevoli all’ingresso della Turchia nell’unione europea.

Intanto la posizione consolidata della Turchia nella NATO.

Per anni la Turchia ha, solidamente e solidalmente, presidiato il fronte sud-orientale, divenendo argine all’espansionismo comunista, nonostante molti stati musulmani, in ostilità contro l’Occidente, avessero abbracciato il credo marxista e l’orso sovietico.

E’ un dato di fatto, un riconoscimento di un servizio svolto nell’interesse dell’Umanità.

La Turchia, poi, sarebbe la prima nazione dell’unione per popolazione.

Avrebbe una rappresentanza proporzionata nelle istituzioni europee.

Il suo atlantismo non è, come abbiamo visto, discutibile.

La sua presenza nelle istituzioni europee azzererebbe, nella pratica, ogni velleità francotedesca di dominio in europa, portando un validissimo contributo ad un eventuale asse Londra-Roma alternativo e con prospettive meno dirigiste e più atlantiche.

L’ingresso della Turchia in europa ci consentirebbe inoltre di avere un valido guardiano del fronte sud, questa volta dalle invasioni degli extracomunitari.

Una delle condizioni che dovrebbero essere poste alla Turchia è quella di far cessare ogni transito per chi volesse entrare illegalmente in europa: credo che si possa stare certi che tale condizione verrebbe pienamente rispettata, forse anche con troppo zelo.

Uno dei timori che provoca l’ingresso della Turchia è quello di un coltello puntato al cuore dell’europa da parte dell’islam: e se fosse invece il contrario ?

Se invece fosse un coltello che lacera l’islam stesso ?

I musulmani, per quanto tenuti nell’ignoranza e cresciuti nel fanatismo, sono uomini e come tutti gli uomini aspirano a condizioni di vita sempre migliori.

Se l’ingresso della Turchia nell’europa fosse il passo decisivo per la occidentalizzazione di quel paese, con il benessere e, anche, con una certa dose di “libertinaggio” nel costumi, non potremmo invece pensare che tale esempio possa essere devastante per gli altri stati islamici ?

Che, da parte loro, avranno sempre maggiori difficoltà a nascondere le informazioni, grazie anche agli strumenti mediatici sempre più perfezionati e diffusi.

L’ingresso della Turchia, però, non andrà fatto gratis et amore Dei, ma sulla base di precisi passi e condizioni.

Una già l’ho scritta: il blocco delle migrazioni illegali verso l’europa.

La Turchia dovrà poi impegnarsi a consentire una piena libertà religiosa, culturale e di diffusione del pensiero, delle immagini e delle varie forme artistiche.

La Turchia dovrà accettare anche la nostra e (in parte) la sua Storia.

Non dimentichiamo che Costantinopoli (Istanbul) fu per oltre 1000 anni la capitale dell’Impero Romano d’Oriente.

I massacri dei Cristiani dopo la conquista musulmana non possono far dimenticare quella che fu una delle capitali della cristianità e, quindi, si ripresenta con forza la necessità del richiamo delle radici Romano-Cristiane nella nostra idea di europa.

Un’altra condizione potrebbe essere posta.

Analogamente a quanto avviene in campo sportivo: perché non ammettere anche Israele ?

Sarebbe un ulteriore passo verso l’atlantizzazione dell’unione europea.


In fondo ogni novità è sempre una scommessa e, pascalianamente, io sono disposto a scommettere, con quelle specifiche condizioni, sul buon esito dell’ingresso della Turchia in europa.

20 novembre 2005

L'ultimo dei Grandi di Spagna *


30 anni fa moriva, nel suo letto, a Madrid, all’età di 83 anni (era nato il 4 dicembre 1892) un uomo che ha fatto la Storia della Spagna: Francisco Paulino Hermenegildo Teódulo Franco y Bahamonde Salgado Pardo de Andrade, il “Generalissimo”, il Caudillo spagnolo, clui che salvò la Spagna da un governo socialcomunista.

La Spagna è stata terra di Grandi condottieri e re e regine.
Di grandi passioni e grandi tumulti.

Nel 1936 i socialcomunisti ottennero una contestatissima vittoria elettorale.

La Spagna si stava avviando ad un destino tragico ed oscuro di stampo sovietico.

Il Generalissimo, dal suo esilio nelle Canarie, organizzò la resistenza alla deriva socialcomunista e entrò in Spagna dal Marocco sostenuto dalle sue capacità militari e dalla fierezza degli Antichi Spagnoli, deciso a combattere per impedire la dominazione socialcomunista nel suo paese.

L’aiuto dei volontari dell’Italia Fascista e delle truppe della Germania nazionalsocialista, compensando le “brigate internazionali” che combatterono per il fronte socialcomunista, consentì a Franco, dopo tre anni di guerra civile, di entrare a Madrid da Caudillo.

La Spagna era salva.

Franco seppe tenersi in posizione di neutralità nella seconda guerra mondiale, come in Portogallo fece Salazar, e pur tenuto ai margini delle convenzioni internazionali, seppe guadagnarsi un rispettoso posto tra i governi fieramente anticomunisti durante la guerra freda che oppose l’Occidente all’est comunista, posizionando con fedeltà e coerenza la sua Spagna nel campo Occidentale.

Franco, da subito, pose in atto una politica di pacificazione nazionale, onorando i caduti d'ambo le parti: un esempio che in Italia i "vincitori" (grazie alle armate Alleate) non seppero seguire.
E non è un caso che oggi, in Spagna, a voler infrangere quell'esempio di civiltà sia proprio il vile meschinello che è fuggito dall'Iraq.

Ma Franco era anche un organizzatore e seppe preparare il paese alla sua scomparsa, restaurando la monarchia e nominando un primo ministro nella persona di Adolfo Juarez, il traghettatore alla democrazia compiuta, noto anche per aver mantenuto composta dignità durante l’incursione nel parlamento del Colonnello Tejero.

Che Franco seppe organizzare la sua Spagna è anche testimoniato dal numero dei primi ministri spagnoli che si sono succeduti dal 20 novembre 1975 ad oggi: 4.

Il già citato Juarez, Felipe Gonzales (socialista), Josè Maria Aznar (popolare proveniente dalle file giovanili del partito di Manuel Fraga Iribarne, ministro franchista) e l’attuale Zapatero (socialista) che ha posto in atto la vergognosa fuga spagnola dall’Iraq.

Quanti i presidenti del Consiglio italiani negli stessi 30 anni ?

Credo nessuno possa, senza compulsare gli annuari, ricordarselo.

Sono 5 solo negli ultimi dieci anni: Dini, Prodi, D’Alema, Amato e Silvio Berlusconi (grazie al quale sono appunto 5 e non di più vista la sua longevità che dura ininterrottamente dal 2001 !).

La storiografia comunista ha cercato di sminuire la figura di Franco, come cerca di fare con quella di tutti i “dittatori” non appartenenti all’area comunista.

Qui noi ricordiamo un uomo che, senza alcuna garanzia di successo, confidando solo sulla sua fede e capacità, tentò, riuscendovi, di impedire che la Spagna fosse corrotta dal cancro socialcomunista.

La Spagna di oggi è diretta erede di quella di Franco, non certo del Fronte popolare.


(*) questo post è dedicato ad un amico dei miei genitori, morto 11 anni fa, che, giovanissimo, combattè volontario in Spagna, rimanendo ferito, e che non ha mai rinnegato la sua Fede.

13 novembre 2005

Donne al voto tra lacrime e strip


AVVERTENZA:
questo post è sconsigliato a streghe, fattucchiere, veterofemministe … :-)

La cronaca di questi giorni riporta due risposte diverse, due reazioni di giovani (una giovanissima) donne alle questioni elettorali.

Da una parte il Ministro Stefania Prestigiacomo che si identifica nelle “quote rosa” al punto da sfoderare le lacrimearma di distruzione di massa di ogni donna - trovando ostilità al suo progetto e farsi consolare dal “buon” Gianfranco Fini, mentre il “severopater familias, Silvio Berlusconi, la rimbrotta come si fa con le figlie : “non fare la bambina” !

Dall’altra una donna di 16 anni che, per ottenere l’elezione a rappresentante di classe, non esita ad improvvisare uno strip in assemblea e, compiaciuta del successo, concede il bis per la gioia dei suoi compagni di classe, novella Demi Moore.

Ho già espresso il mio parere sulle quote rosa, considerandole un insulto per le donne e una lesione del principio di uguaglianza.

Ma è legittimo che ognuno faccia le battaglie in cui crede, con gli strumenti a sua disposizione e le lacrime della Prestigiacomo hanno la stessa dignità dello strip della studentessa di Udine.

Ridicoli sono i commenti moralisteggianti che ci raccontano di una studentessa contrita, chiusa in casa per la vergogna (non ci credo neanche un po’ !), subito dopo aver dato conto delle migliaia di ragazze pronte a provini, non certo in scafandro da palombaro, per diventare “ina” (velina, letterina) o per entrare nel prossimo turno del “Grande Fratello”.

Ridicole sono le reazioni di alcune donne in politica, vetero femministe, che accusano la Prestigiacomo non per le quote panda, ma per le lacrime, perché non doveva mostrarsi debole davanti a degli uomini in Consiglio del Ministri.


Se per fare “carriera” (in politica o altrove) una donna deve snaturare se stessa, allora meglio i tempi in cui comandava più una Pompadour di un Condè e quando la Contessa Castiglione, con le armi proprie delle donne, riuscì a cucire l’ultimo tratto della tela di Cavour, consentendo al Regno di Piemonte di dare il via alla Unità d’Italia.

11 novembre 2005

Si riapra la discussione sulla pena di morte

Un bel post di Elena, coblogger di Robinik , mi fornisce il destro di riprendere il discorso sulla pena di morte.

Un tema che non finisce e non finirà mai di dividere, a testimonianza della sua incidenza nella società e anche del sentimento, magari inconscio, sulla sua utilità.

Serial killer, terroristi musulmani, assassini di funzionari dello stato.

Queste le categorie che mi vengono in mente per comminare quella che è, da sempre, la massima pena, la pena capitale.

Comminata al termine di un regolare processo, con tutte le garanzie di un contraddittorio e, magari, solo con una unanimità dei giurati, “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

E questo significa che la pena di morte è una pena giusta solo negli stati democratici , dove la cultura giuridica fornisce adeguate garanzie contro l’arbitrio.

Per quale ragione ci si dovrebbe preoccupare di lasciare quei criminali liberi di guardare il sorgere del sole, le stelle e la luna (sia pure a scacchi) quando alle loro vittime tutto ciò è precluso ?

Per quale ragione dovremmo preoccuparci di una improbabile rieducazione di tali assassini, ai quali magari concedere, tra amnistie, buona condotta e permessi vari, la possibilità di tornare liberi a godere di quella vita che hanno sottratto alle loro vittime ?

Pensiamo che la libertà per siffatti individui vuol dire uccidere una seconda volta le loro vittime e offenderne i parenti.

Lo stato si costituisce per meglio tutelare gli interessi dei singoli contraenti: quale garanzia può dare uno stato che mette potenzialmente in libertà efferati criminali ?

Quale garanzia può dare uno stato che, a priori, esclude di comminare il massimo della pena che ha diritto a infliggere ?

E’ un invito ai criminali a delinquere, tanto, al massimo, si faranno qualche anno in galera, con sin troppo ampie possibilità di riduzioni, sconti e permessi.

Allora ripensiamo all’opportunità di introdurre nella nostra democratica, garantista legislazione civile la pena di morte per quei crimini che maggiormente offendono la coscienza dei cittadini onesti: serial killer, terroristi musulmani e assassini di funzionari dello Stato.

Senza paura e senza pruriti buonisti che sono la migliore garanzia per Caino e un offensivo epitaffio per Abele.

09 novembre 2005

Accadde il 9 novembre 1989


Il Presidente degli Stati Uniti era George Bush padre, successore di Ronald Reagan.

Il Papa era Giovanni Paolo II, l’Uomo venuto dall’est.

Premier Britannico era Margareth Thatcher.

Reagan, Giovanni Paolo II, Thatcher: gli artefici della caduta del muro di Berlino, coloro i quali credettero e agirono, vincendo, per sconfiggere la piaga peggiore che abbia mai infestato la nostra Terra: il comunismo.

Il 9 novembre si festeggia la Libertà, il trionfo dei Valori di Giustizia e Democrazia sull’oscurantismo comunista che ritroviamo oggi in quello islamico.

Ricordiamo sempre il comunismo come la negazione dell’umanità e del vivere civile e non prestiamo ascolto ai loro epigoni e a chi con loro si allea.

07 novembre 2005

Armare gli onesti

Le devastazioni provocate in Francia dagli immigrati musulmani, devono farci riflettere e assumere preventivamente provvedimenti a difesa delle persone e delle proprietà degli Italiani.

Sì, perché prevenire è meglio che reprimere e allora: speriamo nel meglio, ma prepariamoci al peggio.

Non sarà come scioccamente afferma il reginetto della sinistra, la concessione della cittadinanza a fermare le sommosse, perché allora ci dovrebbe spiegare come mai i protagonisti in Francia (e i terroristi in Gran Bretagna) sono cittadini alla seconda o terza generazione.

Ma sarà, come con maggior sensatezza scrive Giordano Bruno Guerri su Il Giornale (e come aveva affermato il Cardinale Biffi con tema già affrontato anche su Il Castello ) , se ammetteremo alla cittadinanza ed entro i nostri confini anche solo come ospiti, immigrati che non vogliono integrarsi: immigrati musulmani.

In Gran Bretagna la terza generazione di immigrati musulmani è quella che ha messo le bombe del 7 luglio e tentato di ripetere la strage il 21 successivo.

In Francia è la seconda generazione a pensare di dover essere mantenuta dai francesi e a distruggere proprietà compiendo anche tentati omicidi come quello nei confronti della disabile che ha rischiato di morire bruciata dopo il lancio di una molotov su un autobus.

Allora aspettiamoci che altrettanto accada anche in Italia.

Pretese sempre maggiori, dalle pause nel lavoro, all’abbigliamento, agli spazi per il loro dio, alla cucina, ai simboli della nostra Tradizione che a loro non garbano.

Sarà un crescendo continuo di rivendicazioni cui dobbiamo, da ora, rispondere tutelando chi realmente vorrà integrarsi, ma cacciando senza biglietto di ritorno quanti strumentalizzano la loro religione per importare in Italia i loro costumi, imponendoceli.

E sarà scontro.

Saranno automobili incendiate, disordini di piazza, lanci di molotov contro i cittadini onesti, tentativi di “esproprio” dei beni di consumo, di effrazione delle proprietà, di violenza contro le nostre donne.

Dovremo difenderci e difendere le nostre proprietà, perché non potranno esserci pattuglie di Polizia e carabinieri ad ogni angolo delle strade, ad ogni portone delle nostre case, ad ogni supermercato e negozio.

La soluzione è una Guardia Civica, basata sul volontariato, composta da Italiani incensurati e che abbiano svolto il servizio militare.

Quindi la legittimità del porto d’armi da parte di tutti gli Italiani onesti, per uso difensivo, con una profonda revisione della legittima difesa, che vada anche oltre i criteri della riforma purtroppo ancora ferma al senato.

I liberi cittadini Romani avevano le loro armi nelle loro abitazioni, pronti a difenderle e a difendersi dalle aggressioni da chiunque fossero portate.

Perché noi dovremmo essere impediti dal difenderci e dall’aiutare le Forze dell’Ordine ?


Pensiamoci prima di ritrovarci con le strade trasformate in campi di battaglia, con le nostre automobili e negozi incendiati e senza la possibilità di una efficace difesa personale.

06 novembre 2005

La catena di Milady de Winter

Potrebbe sembrare il titolo di un romanzo di Dumas e, da un certo punto di vista, Dumas c’entra.

Milady de Winter è la perfida eroina de “I tre moschettieri”, agente del Cardinale Richelieu e moglie del “povero” Athos, il Conte de la Fere.

Come potevo io, che come nick oltre 5 anni fa scelsi “Monsoreau”, a caso, alzando gli occhi verso la biblioteca e “catturando” il primo titolo di Dumas, ignorare che nella blogosfera esiste un blog titolato proprio
Milady de Winter?

Così sono andato e … ho scoperto che la Milady della blogosfera è una piacevolissima, colta giovin signora, che ritrae nel suo “diario”, scritto in ottimo italiano, personaggi ed episodi di vita quotidiana con garbo, ironia e arguzia.

Ma cosa c’entra la “catena” ?

C’entra, perché il 19 ottobre Milady pubblicò un
post inaugurando una “catena” che non interrompo, riportanto per intero quanto scrisse Milady.

Naturalmente le risposte sono le mie risposte e de gustibus … ;-)

E che la catena di Milady non si interrompa, sennò … non accade nulla, come sempre.



Questa catena di Sant'Antonio ha ristagnato nella mia casella di posta per secoli...Stamane l'ho completata in preda ad un raptus (evitando di citare romanze d'opera ma limitandomi a canzoni "normali") ed ora con gran coraggio la pubblico e ve la giro: chi ha un blog abbia il coraggio delle proprie azioni e la compili a sua volta!!

PRIMO DISCO ACQUISTATO :troppo indietro nel tempo ….
ULTIMO DISCO ACQUISTATO :Enya, aspettando la prossima uscita di Madonna
DISCO CHE HA CAMBIATO LA TUA VITA :Il domani appartiene a noi
COPERTINA PREFERITA : BerTex
DISCO IMBARAZZANTE : come può imbarazzare un disco ?
LA CANZONE CHE VORRESTI AVER SCRITTO : Giovinezza
QUELLA CHE VORRESTI FOSSE STATA SCRITTA PER TE : Grande grande grande
QUELLA CHE TI FA VENIRE IN MENTE LA TUA INFANZIA: Aulì Aulè
QUELLA CHE TI FA VENIRE IN MENTE LA TUA ADOLESCENZA:Io vorrei non vorrei ma se vuoi
QUELLA CON CUI VORRESTI SVEGLIARTI: Yellow Submarine
QUELLA DA SUONARE CON GLI AMICI SULLA SPIAGGIA: Sapore di sale
QUELLA CHE NON VUOI SENTIRE MAI PIU' : Bandiera rossa
QUELLA CHE ODIAVI MA ADESSO AMI : Mi ritorni in mente
QUELLA CHE VORRESTI AL TUO MATRIMONIO : The Great Pretender
QUELLA CHE VORRESTI AL TUO FUNERALE : Carissimo Pinocchio
QUELLA CHE NON CONOSCERESTI SE NON FOSSE PER UN TUO AMICO : Socmel (di Andrea Mingardi in dialetto bolognese)
QUELLA PER QUANDO SEI INCAZZATO : Hey, Jude
QUELLA CON IL MIGLIOR FINALE : Michelle
QUELLA CON IL MIGLIOR INIZIO : Only You
QUELLA CHE PIU' TI ESTRANIA DALLA REALTA': Azzurro
LA MIGLIORE DI UNA COLONNA SONORA : il finale di C’era una volta il west di Ennio Moricone
QUELLA PER USCIRE CON GLI AMICI E FARE BARACCA:Rock around the clock
QUELLA CHE FA PIù PAURA AL BUIO :La sigla iniziale di un vecchio telefilm “I sopravvissuti”
QUELLA DA CANTARE SOTTO ALLA DOCCIA :Faccetta nera
QUELLA CHE TI FA VENIRE VOGLIA DI BALLARE :Ray of light (Madonna)
QUELLA CON IL MIGLIOR DUETTO :non me ne viene in mente alcuna
QUELLA CON CUI FARE L'AMORE :La isla bonita (Madonna)

05 novembre 2005

Il comunismo? Un errore senza scusanti

Si allunga la lista degli errori, riconosciuti dagli epigoni degli stessi responsabili, del comunismo e dei comunisti.

Lista degli errori, dicevamo, perché quella degli orrori è ben nota, evidenziata dagli oltre 100 milioni di morti che il comunismo e i comunisti hanno provocato e provoca ancora.

Così, ancora una volta, tramite il suo funzionario di partito (PCI/PDS/DS) più rappresentativo e accreditato (il signor Massimo D’Alema, neosostenitore del neofita della legalità, quel sindacalista cremonese, ora sindaco di Bologna, che non troppo tempo fa raggiungeva il massimo dell’orgasmo con gli scioperi politici che sottraggono produttività alla nazione) assistiamo al rito purificatore del riconoscimento dell’ ennesimo errore dei comunisti: l’assassinio del Duce e il bestiale trattamento riservato al Suo cadavere e a quello di Claretta Petacci e degli altri Gerarchi assassinati.

Con 60 anni di ritardo.

Non c’è che dire: per essere “il sole dell’avvenireil comunismo e i suoi adepti non sembrano particolarmente tempestivi e lungimiranti, anzi …

Così dopo la NATO, gli euromissili, la democrazia e Craxi, siamo arrivati al riconoscimento dell’errore di quel 28 aprile 1945.

La lista comincia a farsi lunga (quasi quanto quella degli orrori dei comunisti) e non su questioni di secondo piano e sarebbe più semplice elencare i meriti del comunismo … se solo ce ne venisse in mente almeno uno.

Del resto come potrebbe essere altrimenti, visto che ab ovo la loro ideologia è fondata su presupposti sbagliati, come la previsione che il comunismo si sarebbe affermato nelle realtà industrializzate … infatti fu costruito in Russia, con un passaggio diretto dalla feudale società zarista alla società del terrore comunista …

Saranno contrizioni veritiere ?

Ne dubitiamo, visto che continuano a perseverare nell’errore di diffondere odio e distruzione, come ammettono loro stessi (“mai stato verso la DC l’odio che c’è contro Berlusconi” afferma Bertinotti) e il loro programma di governo (?) consiste in una serie di “niet” di brezneviana memoria, finalizzati a smantellare, con l’appoggio delle truppe cammellate dei cattocomunisti come il loro reginetto Prodi, quello stato più efficiente costruito in questi anni di Governo del Centro Destra.

Può una persona ragionevole, un popolo saggio, affidare il proprio futuro a chi ha sempre sbagliato, accorgendosene poi a tempo scaduto ?

04 novembre 2005

4 novembre: Festa Nazionale


Scrivendo della Marcia su Roma avevamo detto che la Festa Nazionale non può essere fissata in una data che divide, ma in una che unisce.

Chi vuole può celebrare quel che ritiene di celebrare, ma quale potrebbe essere il nostro 4 luglio ?

Oggi celebriamo una data che da quasi 30 trent’anni è stata declassata, ma che, per me, mantiene intatto il suo valore Nazionale: il 4 novembre.

Nel 1918, il 4 novembre, “ I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza. “, fu una Vittoria del cuore, di un’Italia ancora in secondo piano nello scacchiere internazionale.

Una Vittoria della borghesia, pagata a carissimo prezzo in termini di risorse mentali, umane e materiali.

Una Vittoria osteggiata dai socialisti, che si affacciavano sulla scena politica italiana cominciando la abituale politica antinazionale e internazionalista della sinistra di ieri, di oggi e di sempre.

Una Vittoria osteggiata anche da alcuni notabili liberali, come Giolitti.

Una Vittoria non sfruttata adeguatamente al tavolo delle trattative di pace di Versailles.

Una Vittoria che un anno prima era apparsa, con Caporetto, una chimera.

Ma fu una Vittoria tutta Italiana.

Questa volta contro l’Impero AustroUngarico non c’erano i Francesi o i Prussiani al nostro fianco, ma c’era il popolo del Nord e del Sud Italia, per la prima volta unito nei campi di battaglia contro lo stesso nemico.

Fu la prima manifestazione unitaria dell’Italia.

Ecco perché il 4 novembre è una delle date possibili per la nostra Festa Nazionale.

E questo 4 novembre 2005, 87 anni dopo, mi piace rendere omaggio agli Italiani che caddero per riportare nei confini della Patria Trento e Trieste.

VIVA L’ITALIA !


Il bollettino della Vittoria: 4 novembre 1918

Comando Supremo, 4 Novembre 1918, ore 12


La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l'Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 Maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi è vinta.La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso Ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuna divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatre divisioni austroungariche, è finita.

La fulminea e arditissima avanzata del XXIX corpo d'armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al Torre l'irresistibile slancio della XII, dell'VIII, della X armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente. Nella pianura, S.A.R. il Duca d'Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute.

L'Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell'accanita resistenza dei primi giorni e nell'inseguimento ha perdute quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecento mila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinque mila cannoni.I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.

Diaz

01 novembre 2005

La lezione venuta dal Brasile


Molti personaggi si ergono ad interpreti del sentimento popolare.

Spesso sono persone che vivono tra lussi e sfarzi tali da far perdere ogni contatto con la realtà.

Così accadde ai miliardari di Manhattan e di Hollywood che hanno formato la schiera dei pretoriani di un dimenticato John Kerry nella sua perdente sfida a Gorge W. Bush, così è accaduto alla lobby brasiliana dei proibizionisti nella loro perdente battaglia contro la libertà di possedere armi in quel paese.

Ed è stato anche un segnale della parabola discendente di quel Lula che già nel nome ricorda più un figurante dell’avanspettacolo che uno statista, nell’aspetto somiglia incredibilmente ad uno dei capi sindacali italiani (Pezzotta) e nel prendere denaro da chiunque, sembra ora persino dal “povero” Castro, il solito furbetto che si arricchisce alle spalle dei suoi concittadini.

I brasiliani ci hanno dato una lezione.

L’hanno inflitta a tutto quello schieramento finto buonista e finto pacifista che si spende per Caino e dimentica subito Abele.

Possedere armi è un diritto naturale del cittadino libero.

I brasiliani l’hanno capito e hanno respinto con referendum una legislazione vessatoria e proibizionista.

Noi abbiamo la pessima abitudine di voler regolamentare tutto come se chi ci sta davanti avesse i nostri stessi sentimenti e civiltà.

Non è così.

In Italia sono arrivati dai due ai tre milioni di persone che hanno un retroterra culturale nel quale la vita e la morte hanno un diverso significato e dove la vita umana ha una importanza di gran lunga inferiore a quella che è da noi attribuita.

La criminalità, interna ed esterna, non ha alcuna remora né difficoltà a trovare armi.

In questa situazione Abele (cioè il cittadino onesto) è in condizione di inferiorità, provocata dalla stessa legislazione che dovrebbe porre in primo piano la sua stessa sicurezza.

Allora cerchiamo di applicare un sano principio liberale: vietare solo in casi circoscritti: pregiudicati, stranieri, malati di mente.

Lasciando a tutti gli altri cittadini la libertà naturale di possedere e portare armi per la difesa della propria persona e della proprietà.


Che la lezione venuta dal Brasile illumini i nostri legislatori, anche in relazione alla nuova normativa sulla “legittima difesa” ancora ferma al senato.