Ed ho anche ripetutamente scritto che non credo nell'unione europea che vorrei tornasse semplicemente ad essere un mercato unico di libero scambio di merci e persone.
In linea teorica, quindi, sono contro i dazi.
Ma i dazi, così come concepiti dagli Stati Uniti (e anche dagli stati europei nei confronti della Cina, ad esempio) non sono una alterazione del Mercato, bensì un correttivo necessario per garantire condizioni paritarie alle merci.
Noi, in Occidente, abbiamo una legislazione di tutela dei lavoratori, di contratti sul salario, di controlli sulla salubrità degli ambienti di lavoro e sulla pericolosità dei prodotti.
Abbiamo inoltre inserito clausole e tasse particolarmente penalizzanti con la scusa della tutela dell'ambiente.
Tutto questo costa e se, da un lato, rende i nostri prodotti di qualità superiore (anche e soprattutto perchè le tecniche, la fantasia, la genialità, particolarmente di noi Italiani, porta ad un livello superiore i nostri prodotti) dall'altro li rende molto onerosi rispetto a quelli che apparentemente forniscono lo stesso utilizzo, ma vengono prodotti in fabbriche senza leggi di sicurezza, senza salari contrattuali, sfruttando i lavoratori, non avendo cura di usare materiale che non sia dannoso.
Ecco che il dazio diventa un riequilibratore per consentire che prodotti, spesso scadenti, ma a basso costo, vengano venduti con costi in linea a quelli che produciamo noi.
L'alternativa è la chiusura delle nostre aziende e la disoccupazione per i nostri lavoratori, a meno che non ci si adegui, invertendo la rotta del progresso e della civiltà, verso uno sfruttamento intensivo di chi lavora, eliminando ogni regola o controllo di sicurezza.
Lo stesso concetto di ripristino di un equilibrio è da applicarsi alle tasse applicate da alcuni stati, come ad esempio nell'ambito dell'unione europea, l'Iva, o le limitazioni alla produzione di specifiche tipologie di prodotti, come le automobili a combustione fossile.
Sono tutte alterazioni del Libero Mercato che, chi le subisce, risulta autorizzato ad assumere provvedimenti per riequilibrare la possibilità competitiva dei propri beni: i dazi.
Il problema, quindi, non è il dazio, ma l'avidità collettivistica dei governi che oltre a continue interferenze nella produzione di beni e servizi, alterano la concorrenza con imposizioni, regole e direttive indirizzate unicamente ad incrementare i propri bilanci da poter utilizzare in modo clientelare per soddisfare le proprie pulsioni ideologiche.
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