Il termine della sanatoria per colf e badanti è l’occasione per un paio di riflessioni ulteriori sulla immigrazione.
Trecentomila le adesioni pervenute, meno della metà delle “stime” che “esperti”, tali solo per autoreferenzialità, avevano sbandierato.
Prima riflessione: non è vero che ci sia un così gran bisogno di mano d’opera straniera.
Le stime degli “esperti”, ancora una volta smentiti dai fatti, dimostrano che si sparano numeri a caso e su quei numeri si costruiscono tesi prive di ogni valore concreto.
Trecentomila sono state le regolarizzazioni richieste e tale è la necessità, molto meno di quei settecentocinquantamila che era stato strombazzato anche per dimostrare che “non possiamo fare a meno degli immigrati” e che “gli immigrati sono una risorsa”: luoghi comuni, smentiti dai fatti.
Hanno ragione dunque quelli che chiedono uno stop, un blocco rigido agli ingressi in Italia, da accompagnare con una vasta azione di accertamenti nei confronti di chi è già sul territorio, espellendo, senza se e senza ma e soprattutto senza cavillare su una “interpretazione” della legge che non ha bisogno di essere interpretata: se sei in Italia illegalmente devi essere cacciato. Punto.
Vogliamo con questo chiudere ad ogni nuovo apporto ?
No di certo, ma questo apporto dovrà essere commisurato a reali esigenze, controllato e proveniente da chi, veramente, vuole far parte della nostra comunità nazionale.
Seconda riflessione: questo significa che, una volta bonificata l’Italia dal pregresso derivante dagli anni del lassismo, potremo ammettere solo chi è disposto ad essere assimilato, accettando le nostre leggi, la nostra storia, la nostra lingua, la nostra religione, la nostra cultura, i nostri costumi, la nostra cucina.
Chi può, dunque, essere considerato ammissibile perché assimilabile ?
Non certo chi viene assieme a centinaia o migliaia di altri, professando – e volendo continuare a farlo – una propria identità, una propria cultura, una propria religione storicamente ostile all’Occidente, ferma nella sua evoluzione a sei/sette secoli fa e come tale fondamentalmente assolutista.
Ammettere in Italia gruppi di persone che coltivano e praticano costumi differenti dai nostri, significa portarsi in casa il germe dei futuri disordini sociali e, soprattutto, innescare un processo che rischia di portare al dissolvimento la nostra società.
Chi propone l’integrazione, attribuisce a tali gruppi dignità propria e una sorta di rappresentanza che porterebbe ad accantonare le nostre leggi per accettare, almeno in convivenza, le loro.
Ecco la rimozione del Crocefisso, il burka, il burkini, gli orari delle piscine per sole donne mascherate, il parlare di “era comune” anziché di “dopo Cristo”, l’augurare buone feste, anziché Buon Natale, l’accettazione che questi gruppi, costituendosi in una sorte di stato nello stato, pratichino i loro costumi, diffondano gli odori della loro cucina, applichino le loro leggi religiose anche in palese contrasto con le nostre leggi civili.
L’integrazione è la rinuncia, da parte nostra, cioè di chi dovrebbe essere padrone della terra d’Italia, a quelle che sono e devono restare le nostre prerogative.
Per questo, una volta sistemato il pregresso, non dovremo più fare l’errore di accogliere chiunque, ma di fargli un serio esame e, soprattutto, adottare filtri tali da impedire che si costituiscano comunità che rappresentino il perpetuare di quei costumi che gli immigrati devono lasciare a casa loro.
Solo così potremo assimilare i nuovi venuti e far cominciare loro il lungo percorso per trasformarli in italiani.
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Trecentomila le adesioni pervenute, meno della metà delle “stime” che “esperti”, tali solo per autoreferenzialità, avevano sbandierato.
Prima riflessione: non è vero che ci sia un così gran bisogno di mano d’opera straniera.
Le stime degli “esperti”, ancora una volta smentiti dai fatti, dimostrano che si sparano numeri a caso e su quei numeri si costruiscono tesi prive di ogni valore concreto.
Trecentomila sono state le regolarizzazioni richieste e tale è la necessità, molto meno di quei settecentocinquantamila che era stato strombazzato anche per dimostrare che “non possiamo fare a meno degli immigrati” e che “gli immigrati sono una risorsa”: luoghi comuni, smentiti dai fatti.
Hanno ragione dunque quelli che chiedono uno stop, un blocco rigido agli ingressi in Italia, da accompagnare con una vasta azione di accertamenti nei confronti di chi è già sul territorio, espellendo, senza se e senza ma e soprattutto senza cavillare su una “interpretazione” della legge che non ha bisogno di essere interpretata: se sei in Italia illegalmente devi essere cacciato. Punto.
Vogliamo con questo chiudere ad ogni nuovo apporto ?
No di certo, ma questo apporto dovrà essere commisurato a reali esigenze, controllato e proveniente da chi, veramente, vuole far parte della nostra comunità nazionale.
Seconda riflessione: questo significa che, una volta bonificata l’Italia dal pregresso derivante dagli anni del lassismo, potremo ammettere solo chi è disposto ad essere assimilato, accettando le nostre leggi, la nostra storia, la nostra lingua, la nostra religione, la nostra cultura, i nostri costumi, la nostra cucina.
Chi può, dunque, essere considerato ammissibile perché assimilabile ?
Non certo chi viene assieme a centinaia o migliaia di altri, professando – e volendo continuare a farlo – una propria identità, una propria cultura, una propria religione storicamente ostile all’Occidente, ferma nella sua evoluzione a sei/sette secoli fa e come tale fondamentalmente assolutista.
Ammettere in Italia gruppi di persone che coltivano e praticano costumi differenti dai nostri, significa portarsi in casa il germe dei futuri disordini sociali e, soprattutto, innescare un processo che rischia di portare al dissolvimento la nostra società.
Chi propone l’integrazione, attribuisce a tali gruppi dignità propria e una sorta di rappresentanza che porterebbe ad accantonare le nostre leggi per accettare, almeno in convivenza, le loro.
Ecco la rimozione del Crocefisso, il burka, il burkini, gli orari delle piscine per sole donne mascherate, il parlare di “era comune” anziché di “dopo Cristo”, l’augurare buone feste, anziché Buon Natale, l’accettazione che questi gruppi, costituendosi in una sorte di stato nello stato, pratichino i loro costumi, diffondano gli odori della loro cucina, applichino le loro leggi religiose anche in palese contrasto con le nostre leggi civili.
L’integrazione è la rinuncia, da parte nostra, cioè di chi dovrebbe essere padrone della terra d’Italia, a quelle che sono e devono restare le nostre prerogative.
Per questo, una volta sistemato il pregresso, non dovremo più fare l’errore di accogliere chiunque, ma di fargli un serio esame e, soprattutto, adottare filtri tali da impedire che si costituiscano comunità che rappresentino il perpetuare di quei costumi che gli immigrati devono lasciare a casa loro.
Solo così potremo assimilare i nuovi venuti e far cominciare loro il lungo percorso per trasformarli in italiani.
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2 commenti:
Bravo Massimo ottimo post!
...e poi vuoi mettere il kebab (buono, ma niente di più di una carne fatta a straccetti) con un bel piatto di tortellini alla panna bolognesi o di cappellacci alla zucca ferraresi??? YUMMMMMM
Ti sei dimenticato una cosa: accettare chi viene a lavorare e si vuole integrare va bene, ma alla prima infrazione A CASA CON UN CALCIO NEL CULO!
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