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30 agosto 2010

Processi e giustizia

Il cosiddetto “difensore dei carcerati” di Bologna (è un avvocato che viene nominato, credo a carico della comunità, per la tutela dei “diritti” dei carcerati) ha “denunciato”, alla vigilia della sua decadenza dall’incarico, la situazione delle carceri bolognesi della “Dozza”.
Sovraffollamento, spazi angusti, quindi, a suo dire, “diritti” negati.
Tra i dati sfornati, indicativa l’incidenza degli extracomunitari: 63% sul totale dei reclusi.
Senza gli extracomunitari le carceri della “Dozza” sarebbero perfette per il soggiorno dei “nostri” condannati.
Ecco il primo aspetto che deve essere affrontato: perchè non espellere gli stranieri, rimandandoli a casa loro, magari in base ad un accordo con le loro autorità perchè scontino la pena nel loro paese di origine ?
Naturalmente adottando quegli accorgimenti opportuni (acquisizione di impronte digitali, dna, impronte biometriche) per catturarli ed espellerli immediatamente qualora cercassero di rientrare in Italia.
Non ho trovato nei resoconti il dato sui detenuti condannati con sentenza passata in giudicato e di quelli in attesa di giudizio.
Ed ecco il secondo aspetto: la durata delle “esigenze cautelari”.
Non si può consentire che ad una persona sia tolta la libertà personale prima di una sentenza definitiva passata in giudicato, se non per oggettive, evidenti, non interpretabili e conclamate esigenze cautelari (pericolo concreto di reiterazione del reato) ma certamente non per esercitare nei suoi confronti una tortura psicologica per indurlo a “confessare”.
Vi è infine la questione delle lungaggini processuali.
L’Italia è stata ripetutamente condannata per l’eccessiva durata dei processi e, si sa, una giustizia ritardata è una giustizia negata.
Ma, di più, rinviare la sentenza finale, tenere “in ballo” pressochè all’infinito una persona nella condizione di imputato vuol dire impedirgli di sviluppare la propria personalità, la propria legittima attività.
In sostanza vuol dire condannarlo prima ancora che sia emessa la sentenza e, soprattutto, averlo condannato anche quando, alla fine, dopo quindici, venti anni, venisse assolto.
Tali situazioni si sono notoriamente verificate: ma chi risarcisce la vittima ?
A tutto questo vuole porre rimedio la riforma della giustizia, con quello che viene chiamato “processo breve”.
E’comprensibile che imporre tempi certi per i processi, limitare la carcerazione preventiva, espellere i carcerati extracomunitari nell’ambito di una politica complessiva di blocco o contenimento dell’immigrazione, trovi resistenze da parte di chi, per motivi vari, trova nell’attuale sistema un supporto a sostegno delle proprie prerogative.
Ma è indubbio che tempi certi per i processi e limitazione della carcerazione preventiva sono i capisaldi per amministrare giustizia e non terrore.
Se, quindi, il Governo riuscirà a far passare il provvedimento sul cosiddetto “processo breve” ma che in realtà è per un processo giusto, primo tassello della più complessiva riforma della giustizia e della magistratura, bene, in caso contrario l’unica alternativa non può che essere il voto alla prima scadenza prevista a termini di legge, con il minimo di giorni previsti per la campagna elettorale.


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