L’ultima fantasia di Saccomanni (puntualmente smentita) è la
vendita della partecipazione dello stato in Enel, Eni e Finmeccanica, cioè i
“gioielli di famiglia”.
I titoli azionari hanno immediatamente perso valore.
Io non sono contrario alla vendita del patrimonio di questo
stato, al contrario credo che lo stato debba uscire quanto più è possibile da
ogni partecipazione e da ogni proprietà che non sia strettamente connessa con
la difesa della Sovranità, dell’Indipendenza nazionale e della Sicurezza
Interna.
Non sono d’accordo con il vendere i gioielli di famiglia,
cioè le partecipazioni produttive, per ridurre il debito pubblico senza che
questa operazione sia preceduta da un importante taglio della spesa (e
tralasciamo in questa sede la colonizzazione dei nostri migliori marchi da
parte degli stranieri interessati a comprare il meglio dell’Italia).
E’ infatti inutile ridurre il debito pubblico, se si
continua a sostenere la stessa spesa che quel debito pubblico ha prodotto.
Vendere i gioielli di famiglia significherebbe solo rinviare
il problema, scaricandolo su un governo successivo, riducendo momentaneamente
il debito, salvo poi trovarsi dopo pochi anni o anche mesi allo stesso livello
di prima e senza più i “gioielli” da vendere.
Vediamo di essere più chiari con i numeri (arrotondati).
Il nostro debito pubblico è di 2100 miliardi di euro.
La spesa annua … non riesco a capire bene se sia di 800
miliardi o di 2500 come ha scritto ieri Libero, comunque tanta.
Il patrimonio dei beni mobili e immobili dello Stato era pari al debito pubblico con Berlusconi (1800 miliardi) poi è arrivato il "genio" con il loden, Monti e secondo Libero di ieri il nostro patrimonio oggi non arriva a 1000 miliardi (meno della metà del debito pubblico che nel frattempo il "salvatore della patria" ha lasciato lievitare nonostante la repressione fiscale imposta agli Italiani).
Enel, Eni e Finmeccanica valgono 35 miliardi euro sul
mercato azionario attuale (quindi valori molto al di sotto di quello reale di
simili aziende).
Appare evidente che ridurre il debito pubblico di 35
miliardi di euro una tantum, senza tagliare la spesa, è inutile.
Quei 35 miliardi potrebbero servire unicamente ad allungare
la vita a Letta, pagando imu, iva e parte dei debiti della pubblica
amministrazione, poi tutto tornerebbe come prima, peggio di prima.
Tutti riconoscono che il macigno italiano è la spesa
pubblica, dilatatasi in modo mostruoso per il clientelismo della prima
repubblica, particolarmente negli anni settanta e ottanta, che ha elargito a
tutte la varie lobbies che, ora, condividono l’idea dei tagli, purchè siano
effettuati su “altri”, perché le loro attività sono essenziali.
Così dicasi per i dirigenti pubblici e le pensioni d’oro,
difese dalla corte costituzionale i cui componenti evidentemente, sanno che
finito il novennato rientreranno in tale categoria, per i magistrati, gli
insegnanti, le spese sanitarie, per l’istruzione, per gli enti locali (anche
qui la corte costituzionale ha impedito la miseranda decimazione delle
provincie).
Sì ai tagli, purchè colpiscano il mio vicino.
Così non si arriva da nessuna parte e il debito pubblico
continuerebbe ad aumentare e per pagare gli impegni pubblici i cittadini
vengono sempre più oppressi da controlli e tasse, trasformandoci in schiavi.
E’ ragionevole pensare che un governo composito possa
risolvere i problemi nell’unico modo concepibile, cioè impugnando la daga per
tagliare brutalmente le spese ?
No.
Infatti in Grecia gli scontri sono all’ordine del giorno per
aver licenziato il 5% dei dipendenti pubblici (in Italia significherebbe
licenziare 250mila persone circa) e decurtando i loro stipendi del 35% (ve
l’immaginate la reazione di magistrati, insegnanti, commessi parlamentari,
impiegati del catasto a tale taglio ?).
In ponderosi articoli di giornali e nelle trasmissioni di
approfondimento giornalistico della televisione, ci illustrano con numeri
concreti i costi di questo o quel settore, intervento, attività pubblici.
I giornalisti, con i loro servizi, snocciolano milioni,
miliardi di euro “recuperabili” dalla spesa pubblica: perché alle parole non
seguono i fatti ?
Non è pensabile che Letta, Saccomanni e i loro predecessori
vicini e lontani non siano in grado di conoscere tali spese, come non è
pensabile che non sappiano che SOLO tagliando le spese possono rimettere in
carreggiata l’Italia, rendendo utile la vendita non solo di Enel, Eni e
Finmeccanica, ma anche di immobili e beni dello stato.
E’ invece ragionevole pensare che NON POSSANO tagliare
perché agire su un solo settore (ad esempio la sanità) risulterebbe
insufficiente (oltre che ingiusto) e, comunque, provocherebbe una reazione lobbistica tale da far cadere il governo.
Analogamente per ogni altro settore e, quando si cerca di
toccare un po’ ovunque, allora c’è qualche magistrato che interviene e blocca
tutto con una sentenza nel nome della costituzione o di qualche principio
teorico ma privo di qualsivoglia concretezza e utilità pratica.
Un governo che tagliasse la spesa pubblica come dovrebbe, si
troverebbe rapidamente in minoranza davanti al primo Grillo che passa e che
istigherebbe alla rivolta tutti coloro che fossero danneggiati da tali
iniziative, manipolandone la volontà e illudendoli che sono “gli altri”, magari
“i ricchi” categoria quanto mai evanescente e dal perimetro incerto, a dover
pagare.
Dovrebbe essere completamente ripensata la forma di rappresentatività,
di stato, a cominciare dai sistemi di formazione della volontà popolare, dalla
loro traduzione esecutiva, della tutela giurisdizionale e di chi la esercita.
Questo stato, come lo conosciamo, con i suoi parrucconi, le
sue liturgie, le sue regole scritte e non scritte, dovrebbe essere azzerato e
sostituito da una concezione moderna, efficiente, fondata su Valori solidi,
universali, non economici e momentanei che cambiano con il cambiare dei
costumi.
Dovrebbe … ma come possiamo immaginarci un cambiamento così
radicale e necessario attraverso la attuale dialettica politica ?
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2 commenti:
Scusa una curiosità, considerando che nel 2012 i prezzi degli immobili sono scesi del 10% le partecipazioni azionarie pubbliche sono salite in borsa e non c'è stata nessuna privatizzazione da dove arriva l'ipotesi che i beni dello stato siano scesi da 1800 miliardi a 1000 ?
Esiste qualche dato particolareggiato e argomentato o sono i soliti numeri a casaccio tipici della stampa italiana ?
Perdere il 10% sul 90% del proprio patrimonio e guadagnare altrettanto sul restante porta ad un saldo ampiamente negativo. Ma il punto non sono i numeri che ognuno spara come più gli conviene, il punto è la spesa pubblica che nessuno taglia per le resistenze lobbistiche, a cominciare dai sindacati del pubblico impiego.
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