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21 agosto 2025

Il realismo della Meloni

Ogni volta che ci si avvicina ad un possibile accordo che ponga fine alla guerra in Ucraina, si distinguono, in negativo, individui ai quali, probabilmente, prudono le mani e, in realtà, avrebbero bisogno di una lezione, più che di essere coccolati e ascoltati in favore di telecamera.

Ogni riferimento a Macron è voluto, ma anche Tusk, tutti i baltici che sembrano fatti con lo stampino di Kaia Kallas, primi ministri di stati con un paio di milioni di abitanti, eppure eccola a dettar legge credendosi una Churchill in gonnella.

Per non dire dell'ambiguità di un Merz che vorrebbe, ma non può, far riemergere lo spirito bellicoso, più che bellico, del suo popolo.

Si distingue, e sono felice di aver contribuito ad insediarla a Palazzo Chigi, Giorgia Meloni che, pur seguendo coerentemente la scelta di appoggiare l'Ucraina, mai messa in dubbio, esclude con forza che l'Italia possa schierare reparti sul campo, anche dopo una eventuale pace.

La Meloni sa che il suo appoggio all'Ucraina le costa simpatie, anche se forse non perderà consensi perchè a destra sappiamo ragionare e non abbiamo l'antifascismo compulsivo che i bellaciao applicano ad ogni espressione della politica, come vediamo quotidianamente leggendo i loro commenti su X.

L'Italia è sempre stata considerata un alleato inaffidabile, uno stato dalla lingua biforcuta, frutto di un duplice tradimento nelle due guerre mondiali.

Nella prima guerra, l'Italia era parte, inopinatamente, della Triplice Alleanza, con i nemici storici di Austria e Germania, salvo entrare in guerra, un anno dopo il suo inizio, contro di loro e a fianco della Triplice Intesa.

Una scelta naturale considerati i territori rivendicati tutti sotto amministrazione austriaca, ma inopportuna dal punto di vista della affidabilità del giovane Regno.

Nella seconda guerra mondiale abbiamo fatto di peggio, iniziando la guerra, sempre un anno dopo, assieme, sì, al nostro alleato (ancora una volta la Germania, scelta sempre sbagliata), aggredendo una Francia già piegata, con l'illusione che gli Inglesi si sarebbero non arresi, ma accontentati di una pace che avrebbe consegnato l'Europa ad Hitler.

Calcolo sbagliato e così la guerra si prolungò fino ad esaurimento di uno stato già provato dalla conquista dell'Impero nel 1936 e qui si consumarono una serie di tradimenti: il Gran Consiglio che sfiduciò Mussolini, il Re che lo fece arrestare per sostituirlo con Badoglio e la resa senza onore, segreta e occultata fino all'8 settembre, di quest'ultimo al nemico, al punto che pare che gli Inglesi stessi avessero coniato il verbo "to badogliate" per indicare un tradimento.

Con tali premesse non potevamo pensare di ricoprire ruoli affidabili e la stessa ambigua politica della prima repubblica su alcuni scacchieri internazionali (soprattutto sul Medio Oriente da parte di Andreotti e ancor più di Craxi che prima protesse a Sigonella e poi lasciò andare liberi dei terroristi palestinesi assassini che avevano dirottato l'Achille Lauro e ucciso un passeggero ebreo) non avevano contribuito a sanare la naturale e legittima diffidenza sulla nostra affidabilità.

Ci provò Berlusconi a ristabilire una credibilità dell'Italia, con la partecipazione alla liberazione dell'Afghanistan e alla pacificazione dell'Iraq liberato dopo l'infame attentato islamico dell'11 settembre, ma dopo i suoi governi si tornava sempre alla solita politica ambigua.

E' arrivata quindi l'operazione militare speciale contro l'Ucraina da parte della Russia e qui, accodandosi all'unione europea, in perfetto stile Prodi che predica la bellezza di "stare dietro" a Berlino e Parigi, Draghi scelse di stare con l'Ucraina e di rincalzo Mattarella pronunziò e continua a pronunciare pistolotti infarciti di retorica bellica a sostegno del comico di Kiev.

Vinte le elezioni del 2022 con un elettorato probabilmente diviso in due, ma prevalentemente incline a non immischiarsi nelle guerre altrui, la Meloni ha presumibilmente scelto di non cambiare, ancora una volta, la posizione dell'Italia, confermando la linea di sostegno all'Ucraina, inviando denaro e armi ma, almeno, tenendo ferma la barra, negando coinvolgimenti diretti.

Una scelta che comprendo, in parte, relativamente alla necessità di non dare dell'Italia la solita immagine inaffidabile, condivido, ma che mi auguro mantenga la linea rossa invalicabile dell'invio di reparti sul campo di battaglia, anche sotto forma di forze di pace e di interposizione.

Sono confortato in questo da una secca battuta che la Meloni avrebbe rivolto a Macron, chiedendogli: e quanti uomini dovremmo inviare ?

Infatti se è mia convinzione che un'azione militare delle truppe occidentali, anche senza gli Stati Uniti, sarebbe in grado di respingere i russi (al netto del rischio nucleare che sarebbe immenso perchè se i russi si vedono sconfitti non esiterebbero a lanciare i missili contro di noi e non saremmo in grado di fermarli) perchè abbiamo armi migliori, militari professionisti e addestrati, il problema è proprio quello della quantità, lo stesso che sta facendo arretrare costantemente ma inesorabilmente le linee ucraine.

Nel 2005 fu sospeso e poi abolito un servizio di leva che, già nel ventennio precedente, era stato fortemente penalizzato riducendo i mesi di "naja" e gli effettivi in addestramento.

Questo vuol dire che quasi tutta la popolazione di età inferiore ai 40 anni e una vasta parte tra i 40 e 60, cioè quella che prima di ogni altra fascia d'età, in ogni tempo, è chiamata a servire la Patria in armi, è totalmente priva di addestramento militare.

Impossibile in tale situazione, nel breve, schierare reparti in numero adeguato a controllare una lunghissima linea di confine terrestre in Ucraina, anche assieme agli eserciti di nazioni praticamente tutte nelle nostre condizioni.

E' giusto, a mio avviso, aumentare le spese per la difesa, come sarebbe giusto ripristinare il servizio militare obbligatorio, con richiami periodici di aggiornamento, magari con riservisti inquadrati in una Guardia Nazionale.

Ma un simile progetto richiede tempo, sono passati venti anni dall'ultimo scaglione chiamato a svolgere il servizio di leva e venti anni sono tantissimi per pensare di avere una riserva che possa essere mobilitata in ventiquattro ore come sta in queste ore facendo, con grande efficienza, l'IDF di Israele.

L'apprezzabile realismo della Meloni è tutto qui: cercare di riparare ai danni del passato mostrandoci credibili e affidabili nelle nostre alleanze e, nel contempo, trovare il modo per guadagnare quegli anni necessari per poter tornare ad avere Forze Armate non solo bene armate e tecnologicamente avanzate, ma anche con un numero di effettivi addestrati adeguato a sostenere impegni prolungati e diffusi.

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