Netanyahu ha rinunciato a vincere la guerra e adesso dovrà vincere la pace, seguendo i punti del protocollo Trump e quindi vedendosi confermato dalle elezioni come Premier di Israele.
Hamas, per il rotto della cuffia, ha salvato la ghirba ai suoi dirigenti di quarta e quinta fila, essendo già stati giustiziati quelli che la guidavano al 7 ottobre 2023 e, adesso, deve, anche Hamas, facendo buon viso a cattivo gioco, provare a vincere la pace.
Come fecero i terroristi dell'Ira dopo il Venerdì Santo del 1998, quando deposero le armi e si impegnarono sulla via civile delle competizioni elettorali che, oggi, li vedono parte importante e spesso determinante nell'alchimia politica dell'Irlanda del Nord e del Sud.
Vincere la pace è sicuramente più difficile che vincere la guerra, qui, infatti, si distrugge, là si costruisce ed è notorio che costruire è ben più difficile e lungo che distruggere come sappiamo noi Italiani considerato quanto poco abbiano impiegato i cattocomunisti a rovinare le nostre finanze, tradizioni, cultura e quanto sia lungo il cammino di risanamento intrapreso dal Governo Meloni.
Nessuno può dire come si svilupperà il processo di pace e c'è da augurarsi che siano pochi a metterci le mani o a voler mettere il proprio cappello sulla ricostruzione di quel lembo di terra.
Già è consolante sapere che a Sharm non è stata invitata l'unione europea e, come è giusto che sia, l'Europa è presente con le sue nazioni più rappresentative storicamente, politicamente e culturalmente: Italia, Regno Unito, Germania e Francia.
Se il processo si avvierà con continuità, nessuno può saperlo, ma possiamo solo sperare che i contendenti sappiano, ognuno nel suo ambito, vincere la pace.
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