No, non è un nuovo commento all’indimenticabile film di Frank Capra con James Stewart, che, pure, mi ha ispirato il titolo del post che è anche il messaggio del film.
Questa è una riflessione sulla vicenda che ha conquistato le prime pagine dei giornali a seguito di una discutibile decisione di una corte di appello, con la magistratura che, ancora una volta, interpreta la legge per crearne, di fatto, una nuova che, ancora, il parlamento – volutamente – non ha approvato.
Mi riferisco alla vicenda di Eluana Englaro, in coma da 19 anni, il cui padre, da tempo, chiedeva di essere autorizzato a staccare gli strumenti che la tengono in vita: è stato accontentato.
Io non so, in questo caso, quale possa essere la risposta giusta credo sbagliatissimo farne una questione “di bandiera” tra i sostenitori dell’eutanasia, i cui maggiori urlatori altri non sono che le solite frattaglie anticlericali che abbiamo visto all’opera l’8 luglio scorso in piazza Navona, e quelli contrari “a prescindere” che magari non hanno – per loro fortuna – mai avuto esperienze che possano anche solo avvicinarsi a quella di Eluana.
E’ però certo che non c’è una legge che consente l’eutanasia.
Non c’è una legge che possa applicare una presunta volontà espressa da chi non è più in grado di manifestare la sua.
Ma, soprattutto, la vita non è un bene disponibile.
Molti anni fa, a mia madre fu diagnosticato un tumore maligno.
Morì dopo 21 mesi.
Gli ultimi tre furono i peggiori.
Più per noi, penso, che per lei, ormai quasi sempre incosciente.
Se fosse esistita una legge sull’eutanasia avrei probabilmente dato il mio consenso a procedere.
Anni dopo ho capito che sarebbe stato un atto di egoismo, mio personale, per la mia tranquillità.
L’ho capito quando toccò a mio padre un ben più lungo travaglio, anche se non della stessa portata, durato all’incirca cinque anni, con tanti – piccoli e meno piccoli - problemi.
Uno su tutti: la progressiva perdita della vista che, per uno come lui, abituato a “perdersi” nei libri era probabilmente la più grande menomazione.
Nonostante tutti i problemi mio padre non ha mai perso il suo particolare senso dell’umorismo, l’interesse per le vicende del mondo, la voglia di conoscere.
Ancora negli ultimi giorni, scherzava sul “lauto pranzo” che gli davano in ospedale e quando non riuscì più a mangiare due cose continuava almeno ad assaggiare: vino e un mezzo pasticcino con la crema che gli portavo quando andavo a trovarlo.
Poi, per dirlo con le parole che spesso usava, la macchina si è fermata del tutto.
Naturalmente.
Senza interventi esterni.
Pur nella progressiva menomazione (i “guasti della macchina dovuti all’età”) non ha mai, mai, pensato o anche solo accennato a voler porre fine alla sua sofferenza.
Certo, la situazione che ha affrontato mio padre è profondamente diversa da quella di Eluana, così come ogni singolo caso che porti a farci riflettere sul diritto alla vita è diverso da ogni altro.
Ma, personalmente, e non può che essere una riflessione strettamente personale fondata sull’esperienza personale, sono giunto alla conclusione che il principio sia il medesimo: la vita non è un bene disponibile e la medicina – con i suoi “operatori” – deve aiutare a vivere, semmai deve aiutare a vivere senza sofferenze, ma mai, mai, deve essere strumento di morte.
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Questa è una riflessione sulla vicenda che ha conquistato le prime pagine dei giornali a seguito di una discutibile decisione di una corte di appello, con la magistratura che, ancora una volta, interpreta la legge per crearne, di fatto, una nuova che, ancora, il parlamento – volutamente – non ha approvato.
Mi riferisco alla vicenda di Eluana Englaro, in coma da 19 anni, il cui padre, da tempo, chiedeva di essere autorizzato a staccare gli strumenti che la tengono in vita: è stato accontentato.
Io non so, in questo caso, quale possa essere la risposta giusta credo sbagliatissimo farne una questione “di bandiera” tra i sostenitori dell’eutanasia, i cui maggiori urlatori altri non sono che le solite frattaglie anticlericali che abbiamo visto all’opera l’8 luglio scorso in piazza Navona, e quelli contrari “a prescindere” che magari non hanno – per loro fortuna – mai avuto esperienze che possano anche solo avvicinarsi a quella di Eluana.
E’ però certo che non c’è una legge che consente l’eutanasia.
Non c’è una legge che possa applicare una presunta volontà espressa da chi non è più in grado di manifestare la sua.
Ma, soprattutto, la vita non è un bene disponibile.
Molti anni fa, a mia madre fu diagnosticato un tumore maligno.
Morì dopo 21 mesi.
Gli ultimi tre furono i peggiori.
Più per noi, penso, che per lei, ormai quasi sempre incosciente.
Se fosse esistita una legge sull’eutanasia avrei probabilmente dato il mio consenso a procedere.
Anni dopo ho capito che sarebbe stato un atto di egoismo, mio personale, per la mia tranquillità.
L’ho capito quando toccò a mio padre un ben più lungo travaglio, anche se non della stessa portata, durato all’incirca cinque anni, con tanti – piccoli e meno piccoli - problemi.
Uno su tutti: la progressiva perdita della vista che, per uno come lui, abituato a “perdersi” nei libri era probabilmente la più grande menomazione.
Nonostante tutti i problemi mio padre non ha mai perso il suo particolare senso dell’umorismo, l’interesse per le vicende del mondo, la voglia di conoscere.
Ancora negli ultimi giorni, scherzava sul “lauto pranzo” che gli davano in ospedale e quando non riuscì più a mangiare due cose continuava almeno ad assaggiare: vino e un mezzo pasticcino con la crema che gli portavo quando andavo a trovarlo.
Poi, per dirlo con le parole che spesso usava, la macchina si è fermata del tutto.
Naturalmente.
Senza interventi esterni.
Pur nella progressiva menomazione (i “guasti della macchina dovuti all’età”) non ha mai, mai, pensato o anche solo accennato a voler porre fine alla sua sofferenza.
Certo, la situazione che ha affrontato mio padre è profondamente diversa da quella di Eluana, così come ogni singolo caso che porti a farci riflettere sul diritto alla vita è diverso da ogni altro.
Ma, personalmente, e non può che essere una riflessione strettamente personale fondata sull’esperienza personale, sono giunto alla conclusione che il principio sia il medesimo: la vita non è un bene disponibile e la medicina – con i suoi “operatori” – deve aiutare a vivere, semmai deve aiutare a vivere senza sofferenze, ma mai, mai, deve essere strumento di morte.
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5 commenti:
Un Post da pubblicare. Mandalo al Giornale.
Ciao Mons... sono d'accordo con te sul non strumentalizzare....
ma come c'è chi vuole vivere fino in fondo, c'è chi NON vuole durare anni a vegetare in un letto. Io sono uno di quelli. Mi aspetterei che non ci vogliano 16 anni di battaglia legale per riconoscermi il "diritto di decidere per me". tutto qui.
un caro saluto....
Se l'eutanasia è giusta o sbagliata ci si può discutere, e verrebbe un discorso lungo. Io non conosco certe situazioni, ma probabilmente se io mi trovassi in condizione di soffrire e di non poter fare niente, preferirei terminare il più presto possibile.
Una cosa che mi dà l'amaro in bocca è che tu fai propaganda "per il diritto alla vita", ma mi sembra di capire che sostieni la pena di morte; ho capito bene?
Gabbiano, ben ritrovato. Purtroppo in questi giorni che precedono la partenza per le vacanze ho poco tempo e sarò necessariamente sintetico, con te e con Paolo.
Ho scritto che la vita non è un bene disponibile. Quindi neppure io posso decidere di porvi fine. Se (art. 5 c.c.) vige il divieto degli atti di disposizione del proprio corpo, a maggior ragione la Vita non rientra nela sfera della nostra personale disponibilità.
Paolo. Io non faccio propaganda per la pena di morte, sostengo il diritto dello stato e dei cittadini a difendersi contro efferati criminali come quello che - se risultarà colpevole - ha commesso un sedicesimo omicidio a Pescara, essendo stato liberato dopo averne commessi altri 15. Se fosse stato giustiziato oggi una persona innocente sarebbe ancora viva.
Se, poi, non riesci a comprendere la differenza che c'è tra il comminare una sanzione punitiva, deterrente e preventiva a tutela della collettività e un atto che sopprime una vita innocente, allora sarei preoccupato. Per te, s'intende. :-)
NO a un'indegna salsa relativista e nichilista. La Vita (con la V maiuscola) non è una cosa a cui si rinuncia per capriccio o per una sentenza di una magistratura inetta.
P.S. Che ne dici di uno scambio di link?
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