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No alla deriva

No alla deriva
Diciamo NO alla deriva

24 ottobre 2008

Dire no ai tagli significa dire sì agli sprechi

In questi giorni di neocontestazioni studentesche, le litanie degli okkupatori che ho ascoltato più frequentemente erano:
- la scuola/università è pubblica e deve restare pubblica
- vogliamo una scuola/università a misura di studente
- vogliamo una scuola/università che fornisca un titolo di studio qualificato
- vogliamo il tempo pieno e tutte le maestre

ma, soprattutto
- no ai tagli.
Ora il secondo e terzo punto non meritano neanche di essere commentati.
Rappresentano solo il miserrimo tentativo di dare una patina di nobiltà ad una contestazione che di nobile non ha proprio nulla.
Sul tempo pieno, il maestro unico e via discorrendo si innestano con ogni evidenza considerazioni di carattere meramente utilitaristico ed egoistico (l’essere liberi dalla educazione dei figli) con una forte ignoranza dovuta alla trasformazione della scuola elementare in un asilo infantile prolungato dove, in realtà, invece di insegnare – come quando la frequentai io – i rudimenti di italiano, storia, matematica e geografia, oltre a comportarsi in modo disciplinato ed ordinato, a rispettare l’Autorità e la Gerarchia, si accettano i capricci dei bambini, in base a “innovative” teorie, lasciandoli “liberi di esprimersi” (cioè fare caos e non imparare nulla).
Così la scuola media deve svolgere quella funzione che una volta era delle elementari ed è indubbio che, in tal modo, si procede ad un progressivo scadimento della qualità della nostra istruzione.
Sul fatto che scuola e università devono essere pubbliche c’è un clamoroso fraintendimento da parte degli okkupanti.
Il “pubblico” loro lo interpretano come “lassista”, come spendaccione, come se tutto fosse dovuto, come se non dovesse confrontarsi con degli equilibri di bilancio.
Ebbene, okkupanti, sappiate che il pubblico, visto che è pagato da tutti noi e non solo dai vostri genitori, deve trovare un equilibrio tra entrate e uscite.
Sappiate che i servizi, tutti i servizi, si pagano e se magari lo stato può stanziare una certa cifra per l’istruzione obbligatoria, quella superiore e universitaria non deve essere posta a carico della collettività, ma pagata da chi ne usufruisce.
Magari lo stato può, come negli Stati Uniti, disporre dei prestiti per gli studi che dovranno però essere tassativamente restituiti, con i relativi interessi.
Probabilmente, se così si fosse fatto sin dall’inizio, non sareste ad occupare scuole e facoltà, perché il costo ricadrebbe, indirettamente visto che sarebbero i vostri genitori a pagare, su di voi.
I servizi si pagano e la Riforma Gelmini intende avviarsi, con le Fondazioni, su questa strada.
Gli studenti si iscrivono ad una determinata scuola, una determinata università e pagano la loro quota in cambio dei servizi che ricevono.
E’ evidente che più l’istruzione è qualificata, più studenti ci sono, più disponibilità finanziarie ha quell’istituto e quella università per migliorare la qualità del servizio e le retribuzioni dei docenti, potendo così assumere gli insegnanti migliori.
E, naturalmente, viceversa.
E veniamo ai “tagli”.
Non devono essere tagliati i dipendenti pubblici.
Non devono essere tagliate le spese sanitarie.
Non devono essere tagliate le spese per il mezzogiorno.
Non devono essere tagliate le spese per le pensioni.
Non devono essere tagliate le spese (a fondo perduto) per i paesi sottosviluppati.
Non devono essere tagliate le spese per le Forze Armate e le Forze dell’Ordine (e qui sono perfettamente d’accordo).
Non devono essere tagliate le spese per le rappresentanze all’estero.
Non devono essere tagliate le spese per la giustizia.
Non devono essere tagliate le spese per scuola e università
.
In pratica, a guardare singolarmente ognuna di queste categorie , è apparentemente giustificata ognuna di queste pretese e delle altre che ho omesso.
Ma il bilancio dello stato è basato su entrate e uscite, dove le uscite non finiscono mai se si dovesse dar ascolto alle richieste dei vari postulanti, mentre le entrate sono rappresentate dalle nostre tasse che sono già sin troppo alte, direi eccessive.
Allora non ci rimane che tagliare, ovunque, con giudizio, obbligando le singole strutture ad evitare gli sprechi e a far pagare, anche solo al prezzo di costo, i servizi che vengono erogati.
E’ facile demagogia dire “vogliamo” o dire “non si tagli”.
Ma chi fa simili affermazioni deve anche dire dove andare a prendere i soldi, perché quella demagogia ci porterebbe tutti alla bancarotta, alla povertà e avremmo sia i tagli che la miseria.

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