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No alla deriva

No alla deriva
Diciamo NO alla deriva

26 ottobre 2008

Si torna a parlare di pensioni

Siamo in crisi.
La borsa, l’indice più oggettivo che ci sia sullo stato di salute di una economia, ha perso decine di punti percentuali.
E’ minacciato il nostro Benessere e quell’elevato tenore di vita cui ci siamo prontamente abituati.
Mi piace una pubblicità televisiva – non mi ricordo di quale prodotto – che fa vedere i “gesti che ci siamo dimenticati”, come cambiare manualmente il canale della televisione.
Ce li siamo dimenticati perché, come per la televisione i comandi a distanza, è stato reso tutto più facile, più comodo.
Ma non senza un prezzo.
Il prezzo è quello dei costi, della necessaria disponibilità di denaro.
Sta circolando, con la solita catena di S. Antonio, questo video in formato pps .
Ora, l’ultima sequenza è opinabile, perché noi non dobbiamo ringraziare per come stiamo in rapporto ad una situazione, come quella documentata dalle fotografie precedenti, relativa a nazioni arretrate culturalmente, socialmente, economicamente e politicamente come l’India, ma dobbiamo avere sempre l’aspirazione a migliorare.
Ma è indiscutibile che quando si discute di protocollo di Kyoto e connessa direttiva europea che imporrebbe a noi, nazioni evolute, limiti onerosi, mentre consentirebbe a nazioni come l’India di sforare allegramente gli stessi limiti; quando si parla di sicurezza sul lavoro e si accollano alle aziende i costi per garantire un ambiente di lavoro sicuro e confortevole, orari equilibrati tra il lavoro e la vita privata, limiti agli straordinari e quant’altro mentre in nazioni come l’India tutto questo non accade; quando davanti a tutto ciò non si vuole neppure imporre dazi che riequilibrino quei costi da noi sopportati per produrre nei confronti di merci a bassissimo costo realizzate – in quel modo - altrove, allora è evidente che ci troviamo davanti a dover fare delle scelte relative al nostro modello di sviluppo.
Il Mondo, da sempre, è incamminato su un percorso di progresso che ha reso la vita più facile all’Uomo.
Se vogliamo continuare in questo percorso, dobbiamo scegliere un modello di sviluppo che, salvaguardando ciò che abbiamo conquistato, ci proietti verso il futuro, migliorando la qualità della nostra vita.
Ma la “qualità della vita” non è uguale per tutti.
C’è chi è interessato a situazioni di carattere filosofico-speculativo, chi a beni essenzialmente materiali, chi si appaga interiormente e chi invece è appagato solo dalla esibizione di oggetti, la “Roba” del Verga, effimeri ma non per questo forieri di minore soddisfazione per chi li possiede e li può mostrare ad amici e conoscenti.
Non ci può quindi essere una regola uguale per tutti, ma solo un quadro di insieme all’interno del quale ognuno possa scegliere dove collocarsi.
Ovvio che il governo di una nazione deve garantire, tramite tasse “eque e sostenibili”, i servizi essenziali quali la Sicurezza, l’Ordine, l’Istruzione di base, la Salute, la Difesa degli interessi nazionali.
Questo, sul piano economico, si può ottenere applicando quei dazi che non si devono introdurre sulle merci provenienti da nazioni che hanno sistemi di controllo e produzione onerosi quanto i nostri, ma sono d’obbligo, per ripristinare una par condicio violata alla fonte, nei confronti di quegli stati i cui sistemi produttivi si basano su un basso costo del lavoro a scapito della sicurezza e della qualità dell’esistenza dei lavoratori che da noi rappresentano un costo non secondario del manufatto.
Ma dobbiamo anche prendere atto che l’aumento della media della nostra vita, rende particolarmente onerosi i sistemi pensionistici, obbligando gli stati ad interventi sempre più pesanti per garantire pensioni sempre meno adeguate.
In questo quadro il Vice Direttore della Banca d’Italia, con una espressione che sarà sicuramente ripresa, ha affermato che per mantenere il nostro tenore di vita, dobbiamo lavorare in più, di più e per più tempo.
Le reazioni si sono focalizzate sull’ultimo punto: per più tempo, cioè una nuova riforma delle pensioni che allontani tale traguardo.
Personalmente non ne farei un dramma.
Anche se, rebus sic stantibus, io avrei maturato (con gli anni riscattati per la laurea e il militare) 31 anni di anzianità e andrei quindi in pensione con il retributivo, considerando che la media di vita si avvicina agli 80 anni, non riterrei “macelleria sociale” l’aumento dell’età pensionabile a 65 anni.
Per tutti.
E per tutti significa per gli uomini, ma anche per le donne che attualmente si “fermano” a sessanta anni.
Ma vi sono altri due corollari da rispettare se vogliamo che questo provvedimento sia efficace da subito.
Abolire la pensione di anzianità con 40 anni di lavoro, per avere, come unico traguardo, la pensione di “vecchiaia”.
Abolire la differenza – ovviamente ex nunc (cioè per chi è attualmente al lavoro, non per chi è già andato in pensione) – tra retributivo e contributivo, cioè tutti in pensione con il contributivo.
E’ evidente che questo provvedimento favorisce o, meglio, non danneggia i più giovani, mentre penalizza i più anziani, ma quando si cambiano le regole del gioco c’è sempre qualcuno che perde e qualcun altro che guadagna.
Una perdita, peraltro, ampiamente compensata dal mantenimento di un tenore di vita adeguato e, soprattutto, dalla certezza che, in questo modo, si abbia la certezza che la pensione sarà pagata a chi già è in pensione (cioè i più deboli), a chi ci deve andare nei prossimi anni e a chi si affaccia ora nel mondo del lavoro.
Una certezza che, oggi, nessuno ha.
Non sarà certo facile convincere chi oggi sta assaporando il traguardo dei quaranta anni o chi pensava di avere una pensione più consistente in virtù del sistema retributivo, a rinunciarvi, ma è una scelta obbligata che consente a molti di perdere poco a fronte di una alternativa che imporrebbe a pochi (in rapida e progressiva crescita) di perdere molto.
E’ anche vero che non tutti i lavori sono gratificanti e che per uno che resterebbe senza problemi al suo posto anche fino ai 65 anni perché gli piace ciò che fa, ve n’è un altro per il quale, invece, ogni mattina è una sofferenza non il lavoro in se, ma quel particolare lavoro cui gli pare di essere inchiodato come i servi della gleba del periodo medioevale.
E’ un problema di difficile soluzione che può essere alleviato, ma non risolto, da un contratto che preveda rotazioni nei compiti e da una maggiore flessibilità del mercato del lavoro che consenta più agevolmente di cambiare.
Ma può essere anche affrontato radicalmente – e qui torniamo alle scelte personali – consentendo un anticipato ritiro con l’avvertenza che, comunque, la pensione maturata con base il contributivo, sarà erogata non prima del compimento del sessantacinquesimo anno di età.
In pratica uno può ritirarsi dal lavoro o, meglio, da quel lavoro, ben sapendo che non avrà la pensione prima di un certo tempo e in base a quanto effettivamente versato in contributi.
E’ una scelta, consapevole, che non esclude affatto la possibilità che, raggiunto un certo livello professionale e una certa disponibilità economica, uno scelga di ritirarsi oppure scelga di “rischiare” aprendo o accedendo ad un’altra attività.
E qui evidenziamo le altre due indicazioni del Vice Direttore della Banca d’Italia: lavorare in più e di più.
Abbastanza evidente il proposito di aumentare l’occupazione e il tempo dedicato al lavoro.
Ma anche qui deve essere una scelta individuale, nella quale entra l’elemento soggettivo delle necessità personali, di cosa uno vuole dalla vita, dal lavoro e quanto è disposto a faticare ed a rinunciare per ottenerlo.
Non deve essere vietato ritirarsi a “vita monastica” (o quasi …) se, dopo anche pochi anni di lavoro, uno volesse mettersi a contemplare l’ombelico per pensare al trascendente, oppure rispondere all’ancestrale richiamo della coltivazione della terra.
L’importante è che sia chiaro che i servizi costano “tot” e che, pertanto, chiunque voglia usufruirne deve pagare “quot”, che non si chiedano quindi contributi statali, agevolazioni, sconti, privilegi.
Basta saperlo prima.
Ognuno è libero di scegliere la vita che più gli sembra confacente, ma non deve ribaltarne i costi sul prossimo se le sue scelte si rivelassero un fallimento.
Per questo ben venga l’affrontare, una volta per tutte, la questione della pensione, purchè sia la volta definitiva, anche se dolorosa per alcuni, e non il solito pannicello che, dovendo rinnovarlo dopo uno o due anni, rende tutto provvisorio e non consente alcuna programmazione per il proprio futuro.
Patti chiari, amicizia lunga.

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