L’ossessione antirazzista, che ha, di suo, volgarizzato il significato del termine, ha trovato un nuovo “bersaglio grosso” per celebrare la propria retorica liturgia: i cori dei tifosi delle squadre di calcio.
Sin dal tempo degli anfiteatri romani, dagli spalti e dalle gradinate, il Popolo ha sempre manifestato con espressioni colorite, spesso non utilizzate nella vita civile di tutti i giorni.
Una volta era di moda “l’arbitro cornuto”, poi “c’è un filo d’erba ...” che immancabilmente faceva combaciare una rima “significativa” al nome del giocatore, della squadra o della città avversa.
Da sempre vengono prese come bersaglio caratteristiche fisiche del “nemico” del momento.
Viene ad essere ridicolizzata una particolare gestualità o una accentuata inflessione dialettale.
E' razzismo tutto questo ?
No di certo.
E’ un modo di interpretare il tifo sportivo, un modo sanguigno e sgradevole per il bersaglio, ma l’obiettivo è proprio quello di “dare una mano” alla propria squadra creando tensione e nervosismo nell’avversario “beccato”, al punto che possa sbagliare anche conclusioni facili.
La reazione nei confronti di simili cori non può che essere l’organizzazione da parte dei tifosi avversari di analoghi cori che accolgano, al prossimo campionato, i giocatori della Juventus con uno sfottò accentuato dall’ennesimo scudetto cucito sulle maglie della grande avversaria ( e chi scrive ha in antipatia entrambe le squadre e non può essere accusato di “partigianeria” in proposito da alcuno).
Il vero razzismo lo si alimenta invece dando spazio alla retorica, confondendo il rettangolo di gioco con la vita reale.
Il vero razzismo lo si alimenta con iniziative, come quella di Ginevra, dove un gruppo di staterelli, spesso retti da piccoli tiranni sanguinari, si permettono si applaudire uno di loro che offende la realtà, lo stato che lo ospita e la verità di una situazione, rappresentando il mondo come esiste solo nelle fantasie perverse di chi vorrebbe trasformarlo in una gigantesca moschea.
Lasciamo stare il calcio e lasciamo che i tifosi si sfoghino con le parole, come è sempre stato e cerchiamo di essere tutti più concreti: i veri problemi sono altri.
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Sin dal tempo degli anfiteatri romani, dagli spalti e dalle gradinate, il Popolo ha sempre manifestato con espressioni colorite, spesso non utilizzate nella vita civile di tutti i giorni.
Una volta era di moda “l’arbitro cornuto”, poi “c’è un filo d’erba ...” che immancabilmente faceva combaciare una rima “significativa” al nome del giocatore, della squadra o della città avversa.
Da sempre vengono prese come bersaglio caratteristiche fisiche del “nemico” del momento.
Viene ad essere ridicolizzata una particolare gestualità o una accentuata inflessione dialettale.
E' razzismo tutto questo ?
No di certo.
E’ un modo di interpretare il tifo sportivo, un modo sanguigno e sgradevole per il bersaglio, ma l’obiettivo è proprio quello di “dare una mano” alla propria squadra creando tensione e nervosismo nell’avversario “beccato”, al punto che possa sbagliare anche conclusioni facili.
La reazione nei confronti di simili cori non può che essere l’organizzazione da parte dei tifosi avversari di analoghi cori che accolgano, al prossimo campionato, i giocatori della Juventus con uno sfottò accentuato dall’ennesimo scudetto cucito sulle maglie della grande avversaria ( e chi scrive ha in antipatia entrambe le squadre e non può essere accusato di “partigianeria” in proposito da alcuno).
Il vero razzismo lo si alimenta invece dando spazio alla retorica, confondendo il rettangolo di gioco con la vita reale.
Il vero razzismo lo si alimenta con iniziative, come quella di Ginevra, dove un gruppo di staterelli, spesso retti da piccoli tiranni sanguinari, si permettono si applaudire uno di loro che offende la realtà, lo stato che lo ospita e la verità di una situazione, rappresentando il mondo come esiste solo nelle fantasie perverse di chi vorrebbe trasformarlo in una gigantesca moschea.
Lasciamo stare il calcio e lasciamo che i tifosi si sfoghino con le parole, come è sempre stato e cerchiamo di essere tutti più concreti: i veri problemi sono altri.
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