Io studiavo.
A quel tempo le lezioni universitarie erano infrequentabili a causa dell’affollamento e, sin dal primo anno, avevo preso l’abitudine di studiare da solo al mattino e ripetere la lezione al pomeriggio con una amica.
L’esame che stavo preparando era Diritto Civile, uno dei fondamentali, biennale.
Ad un certo punto squilla il telefono.
Era un amico che mi diceva di guardare la televisione, perché avevano rapito Moro.
Aldo Moro non mi era particolarmente simpatico, anzi lo consideravo il responsabile di uno dei peggiori periodi politici che ha avuto l’Italia, quello del grande inciucio tra dc e pci, quello dell’arco costituzionale elevato al rango di sistema di governo, al quale era rimasto estraneo, quindi pulito, il solo MSI di Giorgio Almirante.
Aldo Moro era il padrino politico di Benigno Zaccagnini, il segretario della dc eletto nel 1975 dopo l’ennesima sconfitta di Fanfani e che, per la prima volta, portò la sinistra dc (quella che 20 anni dopo si schierò con i comunisti a dimostrazione di una comunanza di intenti e 30 anni dopo, cioè oggi, si è squagliata nel partito comunista in cambio solo di una nuova “insegna”) al governo del maggior partito, tradendo il voto di moltissimi elettori prevalentemente anticomunisti (che votavano, seguendo l’invito di Montanelli, “turandosi il naso” un po’ come verrebbe chiesto oggi a favore del Pdl con la formula del “voto utile” …).
Aldo Moro fu quello che, dopo le elezioni politiche del 1976, avrebbe portato i comunisti al governo se non fosse stato per l’opposizione degli Stati Uniti e della parte migliore della dc, dovendo quindi adattarsi ad un governo che, in seguito, Andreotti chiamò “della non sfiducia”.
Ciononostante l’impressione fu tanta.
Moro era anche il presidente del consiglio durante i miei primi approcci alla politica, era un personaggio spesso citato dai telegiornali e, per tutte le volte che appariva con quel suo cappotto anni cinquanta, era quasi una figura “di casa”, praticamente quelli della mia generazione erano cresciuti con Moro presidente o ministro degli esteri.
Moro fu quindi rapito a Roma quel 16 marzo 1978, di prima mattina.
La sua scorta fu massacrata.
Lo sbandamento in politica e nella pubblica opinione fu enorme e forse c’è da ringraziare che a presiedere il governo fosse uno come Giulio Andreotti che non ha mai perso il suo proverbiale sangue freddo.
Ci fu chi, come Bettino Craxi, si mise alla testa del partito delle trattative e, in questa circostanza, il pci sostenne invece la tesi opposta.
Il rapimento di Moro spazzò via ogni dubbio sulla necessità della lotta ai “compagni che sbagliano” e infatti dal rapimento di Moro iniziò il recupero dello stato nella lotta al terrorismo comunista.
Ma tutto questo era ancora da venire.
Quel 16 marzo 1978 l’Italia toccò il punto più basso della sua storia recente e ne eravamo tutti consapevoli, perché l’aggressione delle brigate rosse era quotidiana.
Non dimentichiamo che quel punto più basso fu raggiunto nel momento in cui il pci raggiunse il punto più vicino al governo della nazione, durante un periodo in cui il grande inciucio tra dc e pci era realtà.
Chi nel 1978 era nell’età della ragione, del capire, del partecipare alla vita sociale della nazione, non potrà mai dimenticare i brividi che le quotidiane cronache davano nelle consapevolezza che nessuno poteva essere sicuro della sua incolumità, perché lo stato era in ginocchio.
Forse è difficile da capire per chi non c’era, per chi era troppo giovane, ma il clima di quegli anni era … incendiario.
Posso cercare di dare una idea, del clima, con un ricordo personale.
Mio padre, che pure ha vissuto periodi molto accesi della vita italiana, mi disse che l’unico paragone che riusciva ad immaginare era con l’8 settembre 1943, quando Badoglio dichiarò la resa al nemico, scappando con il re da Roma e lasciando le Forze Armate senza ordini.
Credo nessuno, nessuno, in qualsiasi parte politica fosse impegnato possa aver in qualche modo gioito per il rapimento di Moro, come, sono sicuro, accadrebbe se il bersaglio oggi fosse Berlusconi.
Moro fu ucciso dalle brigate rosse due mesi dopo e il suo cadavere fu ritrovato il 9 maggio.
I brigatisti rossi che lo uccisero sono tutti in libertà.
Entra ne
A quel tempo le lezioni universitarie erano infrequentabili a causa dell’affollamento e, sin dal primo anno, avevo preso l’abitudine di studiare da solo al mattino e ripetere la lezione al pomeriggio con una amica.
L’esame che stavo preparando era Diritto Civile, uno dei fondamentali, biennale.
Ad un certo punto squilla il telefono.
Era un amico che mi diceva di guardare la televisione, perché avevano rapito Moro.
Aldo Moro non mi era particolarmente simpatico, anzi lo consideravo il responsabile di uno dei peggiori periodi politici che ha avuto l’Italia, quello del grande inciucio tra dc e pci, quello dell’arco costituzionale elevato al rango di sistema di governo, al quale era rimasto estraneo, quindi pulito, il solo MSI di Giorgio Almirante.
Aldo Moro era il padrino politico di Benigno Zaccagnini, il segretario della dc eletto nel 1975 dopo l’ennesima sconfitta di Fanfani e che, per la prima volta, portò la sinistra dc (quella che 20 anni dopo si schierò con i comunisti a dimostrazione di una comunanza di intenti e 30 anni dopo, cioè oggi, si è squagliata nel partito comunista in cambio solo di una nuova “insegna”) al governo del maggior partito, tradendo il voto di moltissimi elettori prevalentemente anticomunisti (che votavano, seguendo l’invito di Montanelli, “turandosi il naso” un po’ come verrebbe chiesto oggi a favore del Pdl con la formula del “voto utile” …).
Aldo Moro fu quello che, dopo le elezioni politiche del 1976, avrebbe portato i comunisti al governo se non fosse stato per l’opposizione degli Stati Uniti e della parte migliore della dc, dovendo quindi adattarsi ad un governo che, in seguito, Andreotti chiamò “della non sfiducia”.
Ciononostante l’impressione fu tanta.
Moro era anche il presidente del consiglio durante i miei primi approcci alla politica, era un personaggio spesso citato dai telegiornali e, per tutte le volte che appariva con quel suo cappotto anni cinquanta, era quasi una figura “di casa”, praticamente quelli della mia generazione erano cresciuti con Moro presidente o ministro degli esteri.
Moro fu quindi rapito a Roma quel 16 marzo 1978, di prima mattina.
La sua scorta fu massacrata.
Lo sbandamento in politica e nella pubblica opinione fu enorme e forse c’è da ringraziare che a presiedere il governo fosse uno come Giulio Andreotti che non ha mai perso il suo proverbiale sangue freddo.
Ci fu chi, come Bettino Craxi, si mise alla testa del partito delle trattative e, in questa circostanza, il pci sostenne invece la tesi opposta.
Il rapimento di Moro spazzò via ogni dubbio sulla necessità della lotta ai “compagni che sbagliano” e infatti dal rapimento di Moro iniziò il recupero dello stato nella lotta al terrorismo comunista.
Ma tutto questo era ancora da venire.
Quel 16 marzo 1978 l’Italia toccò il punto più basso della sua storia recente e ne eravamo tutti consapevoli, perché l’aggressione delle brigate rosse era quotidiana.
Non dimentichiamo che quel punto più basso fu raggiunto nel momento in cui il pci raggiunse il punto più vicino al governo della nazione, durante un periodo in cui il grande inciucio tra dc e pci era realtà.
Chi nel 1978 era nell’età della ragione, del capire, del partecipare alla vita sociale della nazione, non potrà mai dimenticare i brividi che le quotidiane cronache davano nelle consapevolezza che nessuno poteva essere sicuro della sua incolumità, perché lo stato era in ginocchio.
Forse è difficile da capire per chi non c’era, per chi era troppo giovane, ma il clima di quegli anni era … incendiario.
Posso cercare di dare una idea, del clima, con un ricordo personale.
Mio padre, che pure ha vissuto periodi molto accesi della vita italiana, mi disse che l’unico paragone che riusciva ad immaginare era con l’8 settembre 1943, quando Badoglio dichiarò la resa al nemico, scappando con il re da Roma e lasciando le Forze Armate senza ordini.
Credo nessuno, nessuno, in qualsiasi parte politica fosse impegnato possa aver in qualche modo gioito per il rapimento di Moro, come, sono sicuro, accadrebbe se il bersaglio oggi fosse Berlusconi.
Moro fu ucciso dalle brigate rosse due mesi dopo e il suo cadavere fu ritrovato il 9 maggio.
I brigatisti rossi che lo uccisero sono tutti in libertà.
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