Un paio di volte alla settimana vado in libreria (ve ne sono tre che frequento abitualmente) per vedere le novità.
E ce ne sono sempre.
Ogni volta riesco a sorprendermi per la quantità industriale di titoli che vengono prodotti.
Credo sia improbabile che ognuno di quei volumi abbia una vendita sufficiente per consentire al suo autore di vivere grazie allo scrivere.
Frequentando abitualmente anche l’ambiente di una casa editrice (piccola e di nicchia, ma comunque con i suoi volumi in vendita e i relativi adempimenti burocratici) sono venuto a sapere che, pur potendo “calibrare” la tiratura di un volume sulle vendite preventivate (magari già prenotate) il vantaggio per la casa editrice è nelle nuove tecnologie che consentono una rapida ristampa ove venissero richieste copie ulteriori con costi anche più ridotti della prima edizione.
In ogni caso un romanzo che vendesse due o trecento copie scalerebbe rapidamente la personale classifica della casa editrice.
Ammettiamo pure che i volumi proposti da altre case, non di settore, abbiano una maggiore diffusione, non credo che comunque, tranne rare eccezioni, ma quelle ci sono sempre, superino una limitata tiratura, ben lontana dai milioni di copie dei best sellers dei vari Wilbur Smith o Kathy Reichs che consentono ai rispettivi autori abbondanti introiti, tali da potersi permettere, magari anche con i diritti televisivi o cinematografici, di vivere solo di quello.
Il discorso sui saggi è analogo ma elevato all’ennesima potenza in fatto di scarsità delle copie vendute.
Non parliamo poi dell’Italia dove producono con ogni immediatezza libri presunti “verità” su vicende neanche concluse, quando non si mettono a scrivere cantanti o attori.
Scrivere un libro non è come scrivere un post, per il quale gli spunti sono ovunque (dalla lettura dei giornali, all’ascolto della radio, alle chiacchierate al bar con colleghi e amici, camminando per strada ..) ed è sufficiente trovare quei dieci minuti per metterli nero su bianco e impaginarli.
Scrivere un libro richiede (o richiederebbe …) uno studio, impostare la trama o la scaletta degli argomenti da sviluppare, limare le parole per rendere le frasi chiare ed immediate.
Non è qualcosa che si possa fare nei ritagli di tempo o al ritorno da una giornata di lavoro.
Allora può scrivere solo chi ha questo tempo, chi, pur percependo uno stipendio che gli consente di vivere, ha comunque a disposizione tempo ed energie per passare continuativamente alcune ore al giorno per elaborare le sue idee e tradurle nella parola scritta.
E questo senza valutare il contenuto e la qualità degli scritti.
Andate a guardare le biografie degli autori e scoprirete che, per lo più si tratta di dipendenti pubblici: insegnanti, magistrati, funzionari delle finanze (che fanno coppia con il famoso “impiegato del catasto”), medici della sanità pubblica, telegiornalisti rai …
Naturalmente non è possibile fare di tutta un’erba un fascio, ma il dato è evidente.
Possiamo allora stupirci se la gran parte dei saggi (i romanzi sono altro …) propone teorie che favoriscono il perpetuarsi di uno stato arraffone (dei nostri guadagni) e arruffone (per l’incapacità di organizzarsi) con la relativa politica centralista e assistenzialista che ha il suo fulcro nel famoso “posto” pubblico ?
Allora, quando si vuole comprare libri, meglio un bel romanzo giallo (o di fantascienza, o di avventura o... o ....) del solito pastone politicamente corretto, finalizzato al lavaggio del cervello dei più deboli e con l'obiettivo di lasciare le cose come stanno.
Con le ovvie, rarissime, eccezioni ...
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4 commenti:
Ottimo post.
Hai invaso il mio settore? Io provengo da quello, e in fatto di stampa ne so davvero qualcosa.
A proposito di libri scritti nei ritagli di tempo (in molti casi si dovrebbe scrivere: forse scritti dagli autori!), anni fa, in un commento alla compianta Zanzara, scrissi di quel libro di Fassino, che usai come fermaporte, perchè aveva forme, aspetto e contenuto di un mattone.
Ci sono stati brillantissimi impiegati in letteratura: Kafka ad esempio, dal grigiore della burocrazia ha scritto romanzi sublimi. Buzzati al Corriere si annoiava ad aspettare sempre notiziacce prima di chiudere le pagine e ha scritto quello splendido romanzo che è "Il deserto dei tartari". Il problema dei libri "prodotto" istantaneo è un altro: fanno scrivere anche i cani senza filtrare chi ha le capacità e chi no e non si capisce i comitati di redazione cosa ci sono a fare. Per non parlare poi dei personaggi della tv a cui commissionano libracci (la Parietti, la Bignardi, la Littizzetto ecc.) cercando di acchiappare qualche telespettatore gonzo quale lettore.
Massimo,
ho lasciato un commento ieri sera, poco prima della mezzanotte, ma non lo vedo. Sarà andato disperso?
In ogni caso, a proposito di romanzi scritti nel tempo libero, nel commento ho ricordato del mio scambio di battute avvenuto nel 2006 con la compianta ZANZARA, a riguardo di un libro di Piero Fassino, che lo stesso diceva di aver scritto nel tempo libero. Per mole, colore di copertina e argomento tattato era come un mattone, e infatti lo usai come fermaporte.
Sono stato tre giorni a Milano, per questo alcuni commenti sono rimasti un po' più a lungo in moderazione. :-)
Non mi ricordo, Marshall, un politico che, scrivendo (ma lo scrive ?) un libro, rappresenti qualcosa di significativo. Forse una eccezione è Andreotti ... al solito ! Meglio gli statisti che scrivono le loro memorie ed a volte tratteggiano altri "potenti" in modo veramente interessante (veggasi le memorie di Nixon).
Nessie. Non ho valutato, in questa sede, i contenuti. Generalizzare è sempre sbagliare, ma annoto che scrivere un libro non è scrivere un post. Ci vuole tempo e, in sostanza, noi che manteniamo i (tanti, troppi ...) dipendenti pubblici italiani, siamo dei Mecenati, perchè consentiamo loro di scrivere, spesso a difesa dei loro privilegi e contro i nostri stessi interessi. Forse bisognerebbe mettere altri paletti alle attività extralavoritive dei dipendenti pubblici ... ;-)
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