In
questo blog ho più volte affrontato il tema della democrazia, come
era intesa e come viene oggi interpretata.
La
democrazia come momento di passaggio, secondo l’anaciclosi di
Polibio, oppure come faro di riferimento immutabile delle teorie
politiche fondate sulla sovranità del Popolo.
La
democrazia, dunque, come “il peggior sistema politico escludendo
tutti gli altri” secondo la ancora insuperata definizione che ne
diede Sir Winston Churchill.
Ma
la democrazia come è intesa oggi non è la stessa che praticavano ad
Atene o a Roma, dove, ad esempio, solo una minima parte della
popolazione era investita del diritto all’elettorato attivo e
passivo, mentre le donne ne erano comunque escluse.
Differente
anche, per le modalità e le opportunità di diffusione delle idee,
alla democrazia come era applicata negli anni cinquanta e sessanta.
Oggi
possiamo e dobbiamo invece interrogarci, violando un tabù
consolidato, se la democrazia intesa come parlamentarismo, come
sistema di controlli reciproci, come piazza aperta grazie agli
strumenti di comunicazione a disposizioni, sia ancora un bene o non,
piuttosto, una palla al piede per lo sviluppo sociale ed economico di
una nazione.
Credo
che nessuno possa contestare l’opportunità, anzi la necessità di
un intervento del Popolo, inteso come insieme dei cittadini in
possesso dei requisiti di cittadinanza ma anche e soprattutto di
nazionalità, nella scelta di chi debba guidarli.
E’
il “dopo” che, a mio avviso, deve essere rivisto.
Il
parlamentarismo impedisce lo sviluppo di una politica organica ed
omogenea, ma porta alla frammentarietà di provvedimenti che, nei
vari passaggi in aula, vengono ad essere modificati fino, a volte, ad
essere stravolti.
Il
potere giudiziario interferisce pesantemente sulle scelte degli
eletti dal Popolo, costituendo, di fatto, una censura contraria a
quel che il Popolo aveva deciso.
Una
presidenza della repubblica non eletta dal Popolo come quella
italiana, rappresenta un ulteriore ostacolo al dispiegarsi di un
progetto di governo che, pure, aveva ottenuto l’investitura
popolare tramite elezioni.
Il
tradimento dei parlamentari eletti per una lista che, per meri
interessi personali (o addirittura antipatie individuali) pur
ammantando la loro scelta con nobile e retoriche parole ideali,
compromette la solidità di una maggioranza sulla carta in grado di
reggere per l’intera legislatura.
Se,
poi, aggiungiamo gli interventi della intellighenzia politicamente
corretta che, sistematicamente, stravolge la volontà popolare con la
presunzione di dover essere “guida” alle pulsioni “di pancia”
del “popolino” trattato come minus habens, allora dobbiamo
riconoscere che quella che è applicata in Italia e in molte nazioni
occidentali non può essere più il “peggior sistema esistente
esclusi tutti gli altri”.
E’
evidente che non è vera democrazia quella in cui lobbies o
corporazioni autoreferenziali, senza alcuna investitura popolare, si
arroghino il diritto di ribaltare il voto come è accaduto in Italia
nel novembre scorso quando il Presidente eletto dal Popolo Silvio
Berlusconi fu costretto a farsi da parte per lasciare il posto ad un
gauleiter dei poteri forti come Mario Monti.
E
a nulla vale dire che Monti ha avuto il voto del parlamento e delle
sue stesse vittime del Pdl, perché il parlamento, dopo il tradimento
dei finioti, non era più rappresentativo della volontà espressa con
le elezioni del 2008.
Allora
non varrebbe modificare radicalmente la gestione della cosa pubblica,
lasciando al Popolo il compito di eleggere, con un intervallo di
tempo adeguato allo sviluppo di una politica organica e di un
progetto omogeneo, il “Capo” che non deve avere limiti
parlamentari o di altri poteri per governare ?
Tutti
potranno esprimere in piena libertà le loro opinioni, favorevoli e
contrarie, le loro proposte, le loro richieste sfruttando appieno,
senza limitazione alcuna politicamente corretta o scorretta che sia,
gli strumenti di comunicazioni moderni, ma a decidere sarà uno e uno
solo, che ne risponderà alla propria coscienza e non ad una
assemblea litigiosa e inconcludente, eletto dal Popolo per dieci anni
non ripetibili.
Sarebbe
una giusta evoluzione della democrazia che, come è oggi, è
divenuta, almeno in Italia, troppo condizionata dai più svariati
interessi e poco efficace negli interventi a favore dei cittadini
che, poi, è lo scopo ultimo e unica ragione di esistere di uno stato.
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