Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR, altresì detta “liquidazione”) è una retribuzione differita che viene erogata al lavoratore al momento di andare in pensione ed è composta da una trattenuta sulla retribuzione, rivalutata da coefficienti basati sul tasso di inflazione (1,50% + 75% dell’inflazione).
E’ una somma, anche consistente, utilizzata per pagare debiti, acquistare la casa ai figli, togliersi sfizi fino ad allora economicamente fuori portata.
Il presupposto per l’utilizzo del TFR è però avere un reddito da pensione certo e adeguato.
L’aumento della vita media, le crisi che hanno portato a pensionamenti anticipati, leggi in vigore sino a poco tempo fa che alimentavano il fenomeno dei “pensionati baby” (essenzialmente nel pubblico impiego), altre leggi mirate a favorire clientele specifiche e l’adozione di un sistema di riparto slegato dagli effettivi contributi versati, hanno però gravato sul fondo pensionistico degli enti previdenziali (soprattutto INPS) al punto da rendere inevitabile una stretta sulle pensioni, articolata su due fronti.
Il passaggio (graduale) dal sistema retributivo (una percentuale moltiplicata per gli anni di contribuzione e calcolata sulla media delle retribuzione degli ultimi 10 anni, quindi quelle più alte) al sistema contributivo (un calcolo basato sui contributi effettivamente versati nel corso dell’intera vita lavorativa).
Il secondo sistema è stato l’innalzamento (graduale e per tutti) dell’età in cui poter accedere al trattamento pensionistico.
Resta comunque il fatto che le pensioni di domani, calcolate con i nuovi criteri, saranno meno corpose e lo saranno soprattutto per chi è entrato nel mondo del lavoro dal 1° gennaio 1996 la cui pensione sarà integralmente calcolata con il sistema contributivo.
In soccorso della “vita da pensionato” intervengono così i Fondi pensione, accantonamenti volontari per crearsi una pensione integrativa.
Sono di due tipi:
- chiusi (relativi ad una specifica categoria o azienda nazionale)
- aperti (indirizzati alla generalità dei cittadini, in genere sotto forma di polizze assicurative o di bancassicurazione).
La questione odierna sul TFR verte proprio sulla parità di trattamento delle due forme di pensione integrativa.
Perché il montante della pensione integrativa è formato da:
- il contributo volontario del lavoratore trattenuto o versato mensilmente
- il “dirottamento” del TFR dalle aziende al fondo integrativo
- il contributo aggiuntivo delle aziende (una percentuale variabile dal 2% a percentuali anche sensibilmente superiori).
La prima versione del decreto di attuazione della riforma pensionistica, prevedeva l’assoluta equiparazione tra le due tipologie di fondi, quindi il contributo aziendale poteva (doveva) essere versato anche se il lavoratore optava per un fondo aperto.
La nuova versione, invece, prevede che l’azienda sia obbligata a versare il suo contributo solo se il lavoratore opta per un fondo chiuso.
E’ evidente che, in questo modo, si penalizzano i fondi aperti, perché il lavoratore che li scegliesse, avrebbe un montante inferiore a quello dei fondi chiuso, venendogli meno il contributo aziendale.
Ma c’è, in tutto questo, una ragione politica.
I fondi aperti vengono liberati dal controllo e sottratti al clientelismo delle organizzazioni sindacali, perché gestiti da società assicurative e bancarie.
I fondi chiusi, invece, obbligano a comitati di sorveglianza, consigli di amministrazione, assemblee di soci, in cui vi è una partecipazione dei delegati sindacali, quindi con una gestione molto più simile (sotto ogni aspetto) a quella di un organismo burocratizzato.
Si capisce, quindi, la battaglia attuata dai sindacati (e anche dalle aziende che magari sperano ancora di mantenere un controllo sulla destinazione e gli investimenti di quelle ingenti somme) per favorire, smaccatamente, i fondi chiusi, ignorando il reale interesse dei lavoratori a poter scegliere il fondo che dia il rendimento migliore, a parità di versamenti e condizioni.
Il cancro della concertazione porta anche a queste distorsioni del mercato e spiace rilevare come, anche questo Governo, non abbia saputo resistere alle pressioni di sindacati e aziende per equiparare fondi aperti e chiusi nell’interesse esclusivo dei lavoratori.
E’ una somma, anche consistente, utilizzata per pagare debiti, acquistare la casa ai figli, togliersi sfizi fino ad allora economicamente fuori portata.
Il presupposto per l’utilizzo del TFR è però avere un reddito da pensione certo e adeguato.
L’aumento della vita media, le crisi che hanno portato a pensionamenti anticipati, leggi in vigore sino a poco tempo fa che alimentavano il fenomeno dei “pensionati baby” (essenzialmente nel pubblico impiego), altre leggi mirate a favorire clientele specifiche e l’adozione di un sistema di riparto slegato dagli effettivi contributi versati, hanno però gravato sul fondo pensionistico degli enti previdenziali (soprattutto INPS) al punto da rendere inevitabile una stretta sulle pensioni, articolata su due fronti.
Il passaggio (graduale) dal sistema retributivo (una percentuale moltiplicata per gli anni di contribuzione e calcolata sulla media delle retribuzione degli ultimi 10 anni, quindi quelle più alte) al sistema contributivo (un calcolo basato sui contributi effettivamente versati nel corso dell’intera vita lavorativa).
Il secondo sistema è stato l’innalzamento (graduale e per tutti) dell’età in cui poter accedere al trattamento pensionistico.
Resta comunque il fatto che le pensioni di domani, calcolate con i nuovi criteri, saranno meno corpose e lo saranno soprattutto per chi è entrato nel mondo del lavoro dal 1° gennaio 1996 la cui pensione sarà integralmente calcolata con il sistema contributivo.
In soccorso della “vita da pensionato” intervengono così i Fondi pensione, accantonamenti volontari per crearsi una pensione integrativa.
Sono di due tipi:
- chiusi (relativi ad una specifica categoria o azienda nazionale)
- aperti (indirizzati alla generalità dei cittadini, in genere sotto forma di polizze assicurative o di bancassicurazione).
La questione odierna sul TFR verte proprio sulla parità di trattamento delle due forme di pensione integrativa.
Perché il montante della pensione integrativa è formato da:
- il contributo volontario del lavoratore trattenuto o versato mensilmente
- il “dirottamento” del TFR dalle aziende al fondo integrativo
- il contributo aggiuntivo delle aziende (una percentuale variabile dal 2% a percentuali anche sensibilmente superiori).
La prima versione del decreto di attuazione della riforma pensionistica, prevedeva l’assoluta equiparazione tra le due tipologie di fondi, quindi il contributo aziendale poteva (doveva) essere versato anche se il lavoratore optava per un fondo aperto.
La nuova versione, invece, prevede che l’azienda sia obbligata a versare il suo contributo solo se il lavoratore opta per un fondo chiuso.
E’ evidente che, in questo modo, si penalizzano i fondi aperti, perché il lavoratore che li scegliesse, avrebbe un montante inferiore a quello dei fondi chiuso, venendogli meno il contributo aziendale.
Ma c’è, in tutto questo, una ragione politica.
I fondi aperti vengono liberati dal controllo e sottratti al clientelismo delle organizzazioni sindacali, perché gestiti da società assicurative e bancarie.
I fondi chiusi, invece, obbligano a comitati di sorveglianza, consigli di amministrazione, assemblee di soci, in cui vi è una partecipazione dei delegati sindacali, quindi con una gestione molto più simile (sotto ogni aspetto) a quella di un organismo burocratizzato.
Si capisce, quindi, la battaglia attuata dai sindacati (e anche dalle aziende che magari sperano ancora di mantenere un controllo sulla destinazione e gli investimenti di quelle ingenti somme) per favorire, smaccatamente, i fondi chiusi, ignorando il reale interesse dei lavoratori a poter scegliere il fondo che dia il rendimento migliore, a parità di versamenti e condizioni.
Il cancro della concertazione porta anche a queste distorsioni del mercato e spiace rilevare come, anche questo Governo, non abbia saputo resistere alle pressioni di sindacati e aziende per equiparare fondi aperti e chiusi nell’interesse esclusivo dei lavoratori.
Il rinvio del decreto attuativo però ci dice che c’è ancora una speranza per sconfiggere la vecchia Italia del consociativismo.
@
*Il link del titolo è riferito ad un precedente intervento ne Il Castello sulla medesima materia
2 commenti:
Non giriamoci troppo attorno.
Qui si tratta di una semplice norma di libertà contro le solite prevaricazioni burocratiche.
Ripristinare la prima versione del decreto Maroni, significherebbe anche assestare un bel colpo alle mire economiche della trimurti.
Si può assestare anche un altro bel colpo ai sindacati, anzi due.
1) liberalizzando, come dice Tremonti, Caf e Patronati;
2) attuando l'art. 39 della costituzione nata dalla resistenza etc. etc. ... ;-)
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