Renata Polverini, la sindacalista scelta da Fini e sostenuta da Casini per diventare presidente del Lazio come candidata di un imprudente pdl, non ci ha messo molto per manifestare quanto sia distante dal Centro Destra.
Prima un simbolo rosso fiammante con la chiosa per cui destra e sinistra sono due concetti superati, giustificazione classica di chi vuole mantenere le mani libere per ogni scelta futura e non essere condizionata da chi lo ha votato e quindi l’apertura alle cosiddette “unioni civili”.
Ma se il post di ieri del suo blog è servito ad alimentare le tesi di coloro che invitano i cittadini del Lazio a non votarla, offre anche lo spunto per chiarire sull’equivoco delle cosiddette “unioni civili”.
La Polverini scrive che è “nettamente contraria a qualsiasi forma di unione che sia definibile o possa apparire come un’altra forma di matrimonio o come un surrogato della famiglia tradizionale”.
Subito dopo, in perfetto stile veltroniano, scrive però che “che chi compie scelte personali differenti debba poter trovare delle forme di tutela per diritti fondamentali, che sono del resto già previste dalla Costituzione e dal Codice civile”.
Ora, se le norme sono già previste dalla costituzione e dal codice civile, non è necessario alcun provvedimento legislativo o amministrativo.
Se, invece, tali norme non esistono o, più probabilmente, non vengono ritenute sufficienti, creare un corpus legislativo o disporre un atto amministrativo (ad esempio un apposito registro) significherebbe creare un matrimonio in sedicesimo.
Sempre la Polverini scrive che “chi sceglie di non contrarre matrimonio, religioso o civile che sia, oggi è costretto a seguire strade tortuose per vedere concretizzati diritti e doveri reciproci” con ciò manifestando che il suo stato confusionale in materia aumenta (in realtà è un patetico tentativo per far quadrare il cerchio).
Perché proprio nel suo incipit “chi sceglie…” c’è già la risposta: la scelta libera e consapevole.
Ora, eliminando da subito la questione degli omosessuali la cui pretesa matrimoniale non ha alcun pregio civile, economico, sociale, politico, in Italia il matrimonio è un istituto civile e laico, per tutti i cittadini e presuppone regole certe di convivenza e per i rapporti tra i coniugi.
Tutti, scegliendo, possono accedervi.
Certo chi è sposato deve prima affrontare la trafila della separazione e del divorzio (pessimo esempio per i giovani … ma questo è un altro argomento) ma nulla gli vieta di sposarsi di nuovo dopo almeno tre anni.
Il non sposarsi, quindi, è una scelta, libera e consapevole, che comporta rinunce da un lato e maggiori libertà dall’altro.
Non è accettabile che per andare incontro alle esigenze di qualcuno si istituiscano forme semplificate di matrimonio.
E quante, poi, dovrebbero essere ?
Sì, perché se cominciamo con il riconoscere, ad esempio, la reversibilità, perché non anche il diritto ad ereditare i beni di famiglia ?
E se concediamo il diritto di visita al convivente infermo, perché non anche il diritto, eventualmente, a disporre la sospensione delle cure o dell’alimentazione forzata che lo tenesse in vita ?
E, a questo punto, uno dovrebbe chiedersi: perché due o più leggi che regolano la stessa materia ?
Solo perché in un caso uno (o entrambi) vogliono mantenersi le “mani libere” ?
Solo onori e nessun onere ?
Un simile principio mi sembrerebbe altamente diseducativo, figlio di una società decadente, se già non scaduta.
Quindi l’apertura della Polverini, oltre a non appartenere al dna della Destra (quella vera, non quella di Fini !) manifesta anche una carenza non indifferente su quale società si vuole costruire.
Da un candidato di Destra o di Centro Destra mi aspetterei di sentire, sul tema delle cosiddette “unioni civili”, solo una risposta: la legge c’è già e trova il suo fondamento nel titolo VI del primo libro del codice civile e nell’art. 38 della costituzione.
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Prima un simbolo rosso fiammante con la chiosa per cui destra e sinistra sono due concetti superati, giustificazione classica di chi vuole mantenere le mani libere per ogni scelta futura e non essere condizionata da chi lo ha votato e quindi l’apertura alle cosiddette “unioni civili”.
Ma se il post di ieri del suo blog è servito ad alimentare le tesi di coloro che invitano i cittadini del Lazio a non votarla, offre anche lo spunto per chiarire sull’equivoco delle cosiddette “unioni civili”.
La Polverini scrive che è “nettamente contraria a qualsiasi forma di unione che sia definibile o possa apparire come un’altra forma di matrimonio o come un surrogato della famiglia tradizionale”.
Subito dopo, in perfetto stile veltroniano, scrive però che “che chi compie scelte personali differenti debba poter trovare delle forme di tutela per diritti fondamentali, che sono del resto già previste dalla Costituzione e dal Codice civile”.
Ora, se le norme sono già previste dalla costituzione e dal codice civile, non è necessario alcun provvedimento legislativo o amministrativo.
Se, invece, tali norme non esistono o, più probabilmente, non vengono ritenute sufficienti, creare un corpus legislativo o disporre un atto amministrativo (ad esempio un apposito registro) significherebbe creare un matrimonio in sedicesimo.
Sempre la Polverini scrive che “chi sceglie di non contrarre matrimonio, religioso o civile che sia, oggi è costretto a seguire strade tortuose per vedere concretizzati diritti e doveri reciproci” con ciò manifestando che il suo stato confusionale in materia aumenta (in realtà è un patetico tentativo per far quadrare il cerchio).
Perché proprio nel suo incipit “chi sceglie…” c’è già la risposta: la scelta libera e consapevole.
Ora, eliminando da subito la questione degli omosessuali la cui pretesa matrimoniale non ha alcun pregio civile, economico, sociale, politico, in Italia il matrimonio è un istituto civile e laico, per tutti i cittadini e presuppone regole certe di convivenza e per i rapporti tra i coniugi.
Tutti, scegliendo, possono accedervi.
Certo chi è sposato deve prima affrontare la trafila della separazione e del divorzio (pessimo esempio per i giovani … ma questo è un altro argomento) ma nulla gli vieta di sposarsi di nuovo dopo almeno tre anni.
Il non sposarsi, quindi, è una scelta, libera e consapevole, che comporta rinunce da un lato e maggiori libertà dall’altro.
Non è accettabile che per andare incontro alle esigenze di qualcuno si istituiscano forme semplificate di matrimonio.
E quante, poi, dovrebbero essere ?
Sì, perché se cominciamo con il riconoscere, ad esempio, la reversibilità, perché non anche il diritto ad ereditare i beni di famiglia ?
E se concediamo il diritto di visita al convivente infermo, perché non anche il diritto, eventualmente, a disporre la sospensione delle cure o dell’alimentazione forzata che lo tenesse in vita ?
E, a questo punto, uno dovrebbe chiedersi: perché due o più leggi che regolano la stessa materia ?
Solo perché in un caso uno (o entrambi) vogliono mantenersi le “mani libere” ?
Solo onori e nessun onere ?
Un simile principio mi sembrerebbe altamente diseducativo, figlio di una società decadente, se già non scaduta.
Quindi l’apertura della Polverini, oltre a non appartenere al dna della Destra (quella vera, non quella di Fini !) manifesta anche una carenza non indifferente su quale società si vuole costruire.
Da un candidato di Destra o di Centro Destra mi aspetterei di sentire, sul tema delle cosiddette “unioni civili”, solo una risposta: la legge c’è già e trova il suo fondamento nel titolo VI del primo libro del codice civile e nell’art. 38 della costituzione.
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6 commenti:
Sono in gran parte d'accordo, ma due parti non le comprendo proprio:
1."E se concediamo il diritto di visita al convivente infermo, perché non anche il diritto, eventualmente, a disporre la sospensione delle cure o dell’alimentazione forzata che lo tenesse in vita?"
Hai citato due diritti INDIVIDUALI che innanzitutto esistono già, in quanto in materia sanitaria la scelta da chi farsi assistere è giustamente assegnata al malato. Se lo vuole, la persona può farsi assistere dal convivente (omo o etero non importa), come da qualunque altra persona di sua fiducia (eventualmente nominandola "amministratore di sostegno") che assume quindi gli stessi poteri del coniuge.
E non mi sembra affatto ingiusto visto che in questa materia la finalità è la protezione e la tutela del malato come persona e non la promozione della famiglia: se esiste una famiglia che se ne prende cura tanto meglio, se manca, ma può essere surrogata da altra persona(convivente o no, etero o omo non importa)è un fatto positivo, se esistono entrambe sarà il malato a scegliere da chi farsi assistere, visto che il "bene giuridico" da proteggere è un suo diritto individuale.
Se poi esistono dei settori normativi "incompleti" in cui la solidarietà verso persone deboli(anziani, invalidi, malati psichici...) può essere realizzata anche con il ricorso a soggetti estranei alla famiglia, non vedo ostacoli ad un perfezionamento normativo: in questo caso non si penalizza la famiglia, ma si offre uno strumento in più di tutela per la persona in difficoltà...a meno che tu non ritenga che la famiglia vada promossa limitando i diritti individuali di chi non ce l'ha(salute, assistenza, previdenza...).
2. "e nell’art. 38 della costituzione."
Appunto. L'art. 38 riconosce dei diritti sociali al cittadino, a prescindere dal fatto che abbia o meno una famiglia e quindi rende costituzionalmente doveroso promuovere quelle forme di solidarietà che, a prescindere dalla causale(motivo di affetto, sessuale, famigliare, altruismo), offrono un sostegno concreto alle persone in difficoltà.
Se io assisto un mio vicino di casa malato o anziano svolgo un'opera meritevole che è giusto che lo Stato permetta e promuova allo stesso modo che se a compierla sia il coniuge, il convivente, l'amico, il conoscente o chiunque altro.
Non si tratta di modificare la famiglia, ma di riconoscere che esistono forme di solidarietà anche al di fuori della stessa.
Il post non riguarda l'assistenza alle persone sole, ma le pretese di "unioni civili", in pratica surrogati di matrimoni. Sono contento che tu confermi, citando anche l'Amministratore di sostegno, che non vi è alcuna necessità di ulteriori leggi in materia di famiglia.
Si, ma infatti io sono fermamente contrario al riconoscimento delle unioni di fatto. Quello che volevo esprimere è che una persona che non ha o non vuole avere famiglia o fa scelte alternative come INDIVIDUO ha la stessa dignità della persona coniugata.
Mi meravigliava che tu ti opponessi al diritto del malato ad essere assistito da chi preferisce che è proprio uno dei casi in cui(come sostenuto da tutti)il coniuge può essere equiparato al convivente, come a qualunque altra persona di "buona volontà".
In altre parole è contraddittorio sostenere che una legge sulle convivenze è SBAGLIATA perchè non è giusto che il compagno visiti il convivente e, nel contempo dire, che è INUTILE perchè questa possibilità è già offerta dalla legislazione vigente.
Non ti sembra?
La legge che regoli i rapporti personali ed economici tra un uomo e una donna che decidono di convivere esiste già, da sempre ed è anche molto accurata.
Chi non si sposa fa una scelta, libera e consapevole con tutte le relative conseguenze positive e negative.
Non possiamo e non dobbiamo inseguire tutte le varie sfaccettature delle preferenze personali.
Tutto il resto son solo chiacchiere inutili.
Queste chiacchere informano il principio di sussidiarietà in senso orizzontale.
Esistono diritti attribuiti alla famiglia e diritti attribuiti all'individuo a prescindere dal fatto che abbia una famiglia.
Quando si tratta di diritti individuali, è ovvio che la famiglia concretamente esistente può essere utilizzata per risolvere tali problemi, ma ciò comporta che chi ne è privo può ricorrere a dei surrogati.
L'assistenza ospedaliera è un diritto individuale, quindi la legge deve tutelare l'interesse del malato, non della sua famiglia. Quando il malato ha una famiglia, allo Stato spetta il compito di sostenerla nella sua opera di assistenza al malato; se ne è privo o se preferisce ricorrere ad altre persone, saranno queste persone a meritare un riconoscimento(a prescindere che siano conviventi, amici, parenti, volontari o altro); se non dispone di alcun sostegno interviene lo Stato.
Talmente ovvio che anche per i casi di persone che non possono contare su una famiglia esiste da sempre la tutela e dal 2004 l'amministratore di sostegno. Ancora una volta si conferma che non vi è alcuna necessità di ulteriori normative che servirebbero solo ad appesantire il nostro corpus iuris.
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