Tanto
più che i danni sembrano praticamente nulli e il sindacalista
minatore se l’è cavata con una decina di punti di sutura e senza
essere mai stato in pericolo di vita.
Ben
diverse sarebbero le conseguenze se uno, in preda alla rabbia o alla
disperazione, avesse improvvisamente e irrazionalmente compiuto atti
di autolesionismo, come del resto abbiamo imparato da tutti i suicidi
che hanno fatto seguito alle tasse ed alla politica economica di
Monti.
Il
fatto che si sia trattato di una probabile sceneggiata sarda invece
che napoletana, nulla toglie alla drammaticità del problema del
lavoro.
Che
non c’è o che viene meno.
Chi
non vi è passato, difficilmente riesce a comprendere lo stato
d’animo di quanti fino al giorno prima avevano certezze pur nella
estrema onerosità della vita ai tempi del tecnici al governo (tasse,
balzelli, divieti, aumenti …) e improvvisamente devono arrangiarsi
con quanto hanno eventualmente risparmiato e, magari, senza
prospettive per il futuro e con una famiglia da mantenere.
I
minatori del Sulcis non fanno eccezione, soprattutto per una zona
endemicamente povera, che ha potuto sollevarsi e migliorare la
propria condizione esclusivamente in funzione della miniera.
Una
miniera, però, che oggi in Italia non è più conveniente perché i
costi sono superiori ai ricavi e deve affrontare la concorrenza delle
miniere cinesi dove il carbone (utilizzato per far funzionare
centrali elettriche e a gas) viene estratto e quindi venduto a prezzi
stracciati, anche inferiori alla metà di quello del Sulcis.
Anche
in Inghilterra, che sulle miniere ha costruito parte della sua
grandezza anche letteraria (ricordiamo ad esempio Cronin con il
famoso “E le stelle stanno a guardare” trasformato anche in un
celebre sceneggiato anni settanta dalla televisione italiana) , ha
dovuto ammainare bandiera.
Nessuna
impresa può essere costretta a lavorare in perdita.
Neppure
lo stato può essere costretto a gestire una attività passiva, sennò
ci ritroviamo con 2mila miliardi di euro di debito pubblico e nella
necessità di vendere i gioielli di famiglia e di tagliare comunque
spese e costi improduttivi.
Anche
quelli che potrebbero avere un pregio sociale come è nel caso del
Sulcis.
E’
evidente che se ci troviamo in queste condizioni, la responsabilità
è di chi, nascondendo la testa sotto la sabbia, ha evitato di
affrontare per tempo il problema.
Come
è del tutto evidente che non è accettabile che la miniera venga
tenuta aperta, magari con una accise sulla benzina o una delle
vecchie una tantum che Bersani chiama “tasse di scopo”.
I
minatori del Sulcis dovranno essere tutelati con adeguati
ammortizzatori sociali mentre dovranno essere introdotte azioni per
industrializzare, se possibile o riconvertire il territorio su altre
attività.
Facile
a dirsi, non a realizzare.
Pienamente
consapevole, come bisogna essere consapevoli che continuare a tenere
artificialmente in vita una impresa, una azienda, una produzione in
perdita porta, in prospettiva, molti più danni e dolori, come
vediamo oggi per il Sulcis.
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2 commenti:
Per assurdo "stipendiare" con 2.000 euro al mese questi operai lasciandoli a casa, costerebbe molto meno che sovvenzionare l'estrazione di questo carbone.
La cosa drammatica è che non vedo la minima soluzione a questa crisi. Mussolini era riuscito a creare lavoro con il carbone, la città di Carbonia è nata per questo, ma ormai sono passati quasi 90 anni e non è più sostenibile questo business.
A Carbonia andavo in libera uscita quando, da militare, partecipai ad una esercitazione di due settimane a Capo Teulada. Una miseria nera e dignitosa. C'era una sola trattoria dove il piatto era unico: spaghetti. In precedenza avevo fatto addestramento anche a Persano con libera uscita ad Eboli (dove si "fermò" Cristo a rappresentare la povertà assoluta). Ebbene Eboli mi apparve più "ricca". Certo, parlo di più di 30 anni fa ...
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