Giovedì 30 agosto, su Libero , Marcello Veneziani ci ha proposto uno dei suoi articoli migliori , sul lavoro.
Riassunto in parole povere, gli italiani non sanno più cosa significhi lavorare.
“Lavorare stanca. Ora che tornano dalle vacanze al lavoro, sembrano dire: questa è la mia controfigura servile, il mio vero io è quello che ho lasciato al mare, in vacanza”.
Lo spunto è stato dato a Veneziani da un intervento di Montezemolo che su un quotidiano di regime proponeva “di rilanciare il lavoro, lo spirito di sacrificio, il merito”.
Detto da Montezemolo, che per mestiere fa il presidente, la frase sembra una battuta, una presa in giro uguale a quella famosa di Alberto Sordi ( “lavoratoriiiiii …”) che, almeno, la proponeva in un film comico.
Ma LCDM si prende ed è preso sul serio, allora facciamo finta che a pronunciare quella frase sia stata una persona che con il lavoro – e non con i consigli di amministrazione – ci abbia a che fare.
Pensare che il lavoro sia sacrificio, induce inevitabilmente a cercare di scansarlo.
Più sensato invece il richiamo al merito, “calpesto e deriso” in una Italia dove al potere oggi ci finiscono funzionari di partito, boiardi di stato o burocrati delle banche centrali.
E sono proprio questi che danno un pessimo esempio, la dimostrazione di come, senza possedere alcuna professionalità, alcuna dote specifica, alcuna competenza, si possa crapulare alle spalle di chi lavora e impartendo ordini come una maionese impazzita.
Troppo facile è imputare genericamente “al sistema” la responsabilità della perdita di ogni cultura del lavoro.
Ma a questo come ci si è arrivati ?
L’Italia di oggi, quanto poco somiglia a quella che, dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale, uscita anche da una guerra fratricida, è riuscita, con il poderoso aiuto degli Stati Uniti, a risollevarsi fino a far gridare al “miracolo” economico !
Una data spartiacque c’è e non è, come alcuni potrebbero pensare, il 1968, ma il 1962, quando il democristiano (già appartenente ai "professorini") Amintore Fanfani (foto ... per i più giovani) mosse i primi passi che avrebbero portato al centrosinistra, ai socialisti imbarcati al governo con la conseguenza di una perdita totale della prospettiva di bilancio, per inseguire l’incubo collettivista che portò lo stato ad entrare in economia, senza averne le capacità gestionali, alle nazionalizzazioni, ad un incremento della spesa pubblica.
Noi, oggi, ci portiamo dietro il fardello del primo centrosinistra (e subiamo il peso della sinistra di oggi) che non seppe contrastare, come ad esempio fece De Gaulle in Francia, le spinte sovversive del 1968 che, a loro volta, alimentarono l’opinione che lo stato fosse una vacca da mungere.
L’attuale mancanza di cultura del lavoro è figlia di quegli anni, quando bruciammo tutto ciò che, con fatica, era stato costruito dopo il 1945.
Il sei “politico”, il “tutto e subito”, le “comuni” dove circolava la prima droga e finivano di stordirsi con musica assordante.
Ma, soprattutto, la mancanza di ogni selezione alla base, sull’onda di un egualitarismo folle.
Una scuola che non seleziona produce cittadini incapaci di poter scegliere la loro strada lavorativa, perché illusi di poter ambire a ruoli che non si addicono loro.
Allora ha ben ragione Veneziani quando auspica che, eliminato da noi lo spettro della miseria e della fame, sia il carattere a farci recuperare la cultura del lavoro: “Se non hai lo spettro della miseria, la fame, il freddo, il caldo, i bisogni, non getti il sangue. Allora non si tratta di gettare il sangue ma di metterci l'anima nelle cose. Amare quel che si fa, lasciarsi prendere da una sacrosanta ambizione, voler lasciare un segno, non lasciarsi risucchiare dal vuoto e dal finto, dare un senso alla propria vita. Un disegno intelligente. Ieri la molla era l'orrore della miseria, oggi può essere l'orrore del vuoto e della noia. Ieri era la Necessità, oggi dev'essere la Dignità, la voglia di spendersi bene la propria libertà e la propria vita. L'autostima e la stima di chi ami e apprezzi” .
Veneziani interpreta, ancora una volta, nel modo migliore il ruolo che deve avere un Uomo di Cultura: ci indica la strada.
Se non recuperiamo, collettivamente: non bastano singoli casi isolati, la cultura del lavoro, la nostra Italia sarà destinata sempre più alla decadenza, a riempirsi di centri sociali, a importare mano d'opera incontrallata e incontrollabile, a cullarsi nel sogno della “pace” senza combattere, a rinunciare alla propria libertà e indipendenza a favori di popoli più “affamati”.
In ultima analisi, perderemo il nostro benessere.
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Riassunto in parole povere, gli italiani non sanno più cosa significhi lavorare.
“Lavorare stanca. Ora che tornano dalle vacanze al lavoro, sembrano dire: questa è la mia controfigura servile, il mio vero io è quello che ho lasciato al mare, in vacanza”.
Lo spunto è stato dato a Veneziani da un intervento di Montezemolo che su un quotidiano di regime proponeva “di rilanciare il lavoro, lo spirito di sacrificio, il merito”.
Detto da Montezemolo, che per mestiere fa il presidente, la frase sembra una battuta, una presa in giro uguale a quella famosa di Alberto Sordi ( “lavoratoriiiiii …”) che, almeno, la proponeva in un film comico.
Ma LCDM si prende ed è preso sul serio, allora facciamo finta che a pronunciare quella frase sia stata una persona che con il lavoro – e non con i consigli di amministrazione – ci abbia a che fare.
Pensare che il lavoro sia sacrificio, induce inevitabilmente a cercare di scansarlo.
Più sensato invece il richiamo al merito, “calpesto e deriso” in una Italia dove al potere oggi ci finiscono funzionari di partito, boiardi di stato o burocrati delle banche centrali.
E sono proprio questi che danno un pessimo esempio, la dimostrazione di come, senza possedere alcuna professionalità, alcuna dote specifica, alcuna competenza, si possa crapulare alle spalle di chi lavora e impartendo ordini come una maionese impazzita.
Troppo facile è imputare genericamente “al sistema” la responsabilità della perdita di ogni cultura del lavoro.
Ma a questo come ci si è arrivati ?
L’Italia di oggi, quanto poco somiglia a quella che, dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale, uscita anche da una guerra fratricida, è riuscita, con il poderoso aiuto degli Stati Uniti, a risollevarsi fino a far gridare al “miracolo” economico !
Una data spartiacque c’è e non è, come alcuni potrebbero pensare, il 1968, ma il 1962, quando il democristiano (già appartenente ai "professorini") Amintore Fanfani (foto ... per i più giovani) mosse i primi passi che avrebbero portato al centrosinistra, ai socialisti imbarcati al governo con la conseguenza di una perdita totale della prospettiva di bilancio, per inseguire l’incubo collettivista che portò lo stato ad entrare in economia, senza averne le capacità gestionali, alle nazionalizzazioni, ad un incremento della spesa pubblica.
Noi, oggi, ci portiamo dietro il fardello del primo centrosinistra (e subiamo il peso della sinistra di oggi) che non seppe contrastare, come ad esempio fece De Gaulle in Francia, le spinte sovversive del 1968 che, a loro volta, alimentarono l’opinione che lo stato fosse una vacca da mungere.
L’attuale mancanza di cultura del lavoro è figlia di quegli anni, quando bruciammo tutto ciò che, con fatica, era stato costruito dopo il 1945.
Il sei “politico”, il “tutto e subito”, le “comuni” dove circolava la prima droga e finivano di stordirsi con musica assordante.
Ma, soprattutto, la mancanza di ogni selezione alla base, sull’onda di un egualitarismo folle.
Una scuola che non seleziona produce cittadini incapaci di poter scegliere la loro strada lavorativa, perché illusi di poter ambire a ruoli che non si addicono loro.
Allora ha ben ragione Veneziani quando auspica che, eliminato da noi lo spettro della miseria e della fame, sia il carattere a farci recuperare la cultura del lavoro: “Se non hai lo spettro della miseria, la fame, il freddo, il caldo, i bisogni, non getti il sangue. Allora non si tratta di gettare il sangue ma di metterci l'anima nelle cose. Amare quel che si fa, lasciarsi prendere da una sacrosanta ambizione, voler lasciare un segno, non lasciarsi risucchiare dal vuoto e dal finto, dare un senso alla propria vita. Un disegno intelligente. Ieri la molla era l'orrore della miseria, oggi può essere l'orrore del vuoto e della noia. Ieri era la Necessità, oggi dev'essere la Dignità, la voglia di spendersi bene la propria libertà e la propria vita. L'autostima e la stima di chi ami e apprezzi” .
Veneziani interpreta, ancora una volta, nel modo migliore il ruolo che deve avere un Uomo di Cultura: ci indica la strada.
Se non recuperiamo, collettivamente: non bastano singoli casi isolati, la cultura del lavoro, la nostra Italia sarà destinata sempre più alla decadenza, a riempirsi di centri sociali, a importare mano d'opera incontrallata e incontrollabile, a cullarsi nel sogno della “pace” senza combattere, a rinunciare alla propria libertà e indipendenza a favori di popoli più “affamati”.
In ultima analisi, perderemo il nostro benessere.
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4 commenti:
Caso vuole che anch'io ho parlato di lavoro in particolare di quello sommerso nel sud, anche li i mali di oggi li abbiamo ereditati dal passato, probabilmente ancora da prima di Fanfani.
Ho letto. Credo che abbiamo affrontato due aspetti. Sono convinto che la svolta da noi sia stato il centrosinistra, con tutte le nazionalizzazioni e il saccheggio dei fondi statali di cui si sono resi protagoonisti i governi di quella coalizione, con il complice silenzio dei comunisti, tutti appassionatamente insieme nell' "arco costituzionale"..
Bello!
REalistico ed efficace. Complimenti Mons
Obbligato :-)
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