Anche se ancora non è chiuso il cerchio, con quello che diventa presumibilmente l’ultimo incontro con i sindacati autonomi degli Assistenti di Volo e dei lavoratori di terra (ndr: che hanno firmato), avremo la certezza della conclusione di questo capitolo della vicenda Alitalia, possiamo già commentare quanto è accaduto.
Il punto di partenza deve necessariamente essere lo stato di dissesto che la compagnia aerea aveva evidenziato già da anni.
Una insolvenza sistematicamente coperta con i soldi pubblici, i soldi sottratti alle tasche degli italiani e sperperati da manager incapaci di adeguare l’Alitalia alle nuove sfide mondiali.
Dopo migliaia di miliardi degli italiani bruciati in quel modo, a gennaio il governicchio Prodi, ossequioso ai poteri forti, si apprestava a svendere Alitalia ad Air France/Klm.
In pratica sacrifici e soldi di tutti noi buttati al vento, per fare un regalo ai francesi.
Approfittando della crisi della sinistra e dell’imminenza delle elezioni, Silvio Berlusconi ha stimolato la resistenza dei sindacati, soprattutto delle Associazioni Professionali di Piloti e Assistenti di Volo, perché si opponessero alla svendita, nel nome della italianità della compagnia: Alitalia deve restare italiana.
Air France si ritirò, Berlusconi vinse le elezioni e cominciò a cercare di costruire la cordata italiana (che aveva annunciato ma evidentemente non esisteva) per acquistare Alitalia.
Ha trovato una ventina di “cavalieri bianchi”, grazie all’aiuto di un advisor di eccezione, Intesa Sanpaolo e il suo Amministratore Delegato Corrado Passera, che si sono trovati attorno ad un piano, denominato simbolicamente “Fenice”.
Il piano prevedeva il più classico degli scorpori: socializzare le perdite e privatizzare gli utili.
Solo così i “capitani coraggiosi” (con i soldi altrui) avrebbero sborsato i quattrini necessari per far volare una compagnia ridotta a vettore locale.
Quindi un primo elemento: altri costi ribaltati sui cittadini, anche su chi non vola, che, in modo diretto o indiretto, vedranno le mani dello stato penetrare nelle loro tasche, nei loro portafogli per pagare la parte “cattiva” di Alitalia e gli ammortizzatori sociale e arricchire una ventina di manager e “imprenditori”.
L’accordo quadro viene sottoscritto dai sindacati confederali che, per l’occasione, cooptano anche l’Ugl, l’ex sindacato di destra.
Tale sottoscrizione arriva al termine di un percorso che ha visto il governo (pur di centro e addirittura definito di destra dalla sinistra) ma soprattutto la società degli acquirenti, aprire un canale preferenziale con i sindacati confederali.
I piani vengono rotti da due fattori: le Associazioni Professionali e i sindacati autonomi non ci stanno ad apporre la loro firma su un accordo che non hanno potuto discutere.
Come dar loro torto ?
Ma per il “gruppo cai” arriva un’altra bastonata: la cgil strappa e dopo aver firmato l’accordo quadro non firma il contratto unico.
Per la cgil si tratta di una impostazione ideologica infatti, ottenuta una vittoria di facciata (un allegato al verbale di accordo) rientra tra i ranghi.
E’ fatta ?
No.
Piloti e Assistenti di Volo, oltre agli autonomi dei lavoratori di terra, resistono.
Ancora una volta, giustamente, rifiutano di sottoscrivere un accordo che non hanno contrattato.
Ancora una volta non si può dar loro torto.
Dopo quindici ore di trattative, i Piloti ottengono modifiche significative in termini di profilo contrattuale ed esuberi.
Si mettono però di traverso i sindacati confederali chiamati a sottoscrivere tali modifiche (e questo risponde anche a chi li considerava “meno peggio”: la loro è solo una impostazione ideologica tesa a fare emergere una loro precedenza sugli altri sindacati).
Firmano anche loro.
Presumibilmente lunedì sarà il turno degli Assistenti di Volo.
I commentatori dicono che adesso si deve scegliere il “partner straniero”, cioè il futuro padrone di Alitalia.
A questo punto possiamo ben dire che Berlusconi non ha ottenuto nulla di quel che voleva, se non la possibilità di dire che Alitalia non è fallita.
Berlusconi ha:
- messo le mani nelle tasche degli italiani con gli ammortizzatori sociali promessi
- ceduto ad una cordata di manager e imprenditori di sinistra la parte sana di Alitalia
- avallato una percezione di supremazia dei sindacati confederali che sono stati chiamati alle trattative prima degli autonomi ed ai quali è stato concesso il diritto di veto (senza la firma della cgil sembrava tutto finito) anche dopo che i Piloti avevano contrattato dei miglioramenti
- ma soprattutto ha perso la scommessa sulla “compagnia di bandiera” perché tutti, ma proprio tutti, dicono che è necessario da subito un partner straniero che, tutti, ma proprio tutti, sanno che diventerà il padrone dell’Alitalia.
Ma se Berlusconi ha fallito, evitando solo il default politico, anche i sindacati confederali non ridono, perché le modifiche ottenute dai sindacati autonomi e dalle Associazioni Professionali dimostrano come da parte dei confederali non vi sia stata alcuna volontà di tutela dei lavoratori, ma solo una trattativa di carattere politico ed ideologico, indifferente tanto ai costi che vengono ribaltati sui contribuenti, quanto alla reale sorte dei lavoratori.
Si è così dimostrato che solo il sindacato autonomo guarda, senza paraocchi ideologici, agli interessi dei lavoratori, trattando e contrattando come deve fare un vero sindacato e non trasformando le relazioni industriali in un suk politico.
Ma la conclusione della vicenda fa emergere una figura che, da anni, è il garante dei poteri forti presso un imprevedibile Berlusconi: Gianni Letta.
Il mediatore alla crostata, il Padre Giuseppe della politica italiana di questi ultimi 15 anni, quello che ha accontentato la voglia di protagonismo dei sindacati confederali dando loro la precedenza in ogni momento della trattativa, quello che ha composto una cordata con imprenditori di sinistra e quello che, presumibilmente, sceglierà il nuovo padrone straniero di Alitalia, quello che ha ricompattato la casta dei manager con quella dei politici e dei sindacalisti confederali.
Berlusconi (che oggi compie 72 anni: auguri, ma cerca di tornare il Berlusconi ante 17 gennaio 2008 !) ha una grande stima di Gianni Letta.
Personalmente invece credo che continuare sulla strada del compromesso non risolverà i problemi dell’Italia ma li rinvierà fino al momento in cui non sarà più possibile farlo e il tonfo sarà tanto più grande quanto più sarà ritardato.
Gianni Letta, il grande tessitore, il grande mediatore, il valore aggiunto, sì, ma della casta, dei poteri forti che, ancora una volta, anche con Alitalia, guadagnano quando a tutti gli italiani sarà sottratto un altro po’ del loro denaro, nella più classica applicazione del principio di socializzare le perdite e privatizzare i guadagni.
Entra ne
Il punto di partenza deve necessariamente essere lo stato di dissesto che la compagnia aerea aveva evidenziato già da anni.
Una insolvenza sistematicamente coperta con i soldi pubblici, i soldi sottratti alle tasche degli italiani e sperperati da manager incapaci di adeguare l’Alitalia alle nuove sfide mondiali.
Dopo migliaia di miliardi degli italiani bruciati in quel modo, a gennaio il governicchio Prodi, ossequioso ai poteri forti, si apprestava a svendere Alitalia ad Air France/Klm.
In pratica sacrifici e soldi di tutti noi buttati al vento, per fare un regalo ai francesi.
Approfittando della crisi della sinistra e dell’imminenza delle elezioni, Silvio Berlusconi ha stimolato la resistenza dei sindacati, soprattutto delle Associazioni Professionali di Piloti e Assistenti di Volo, perché si opponessero alla svendita, nel nome della italianità della compagnia: Alitalia deve restare italiana.
Air France si ritirò, Berlusconi vinse le elezioni e cominciò a cercare di costruire la cordata italiana (che aveva annunciato ma evidentemente non esisteva) per acquistare Alitalia.
Ha trovato una ventina di “cavalieri bianchi”, grazie all’aiuto di un advisor di eccezione, Intesa Sanpaolo e il suo Amministratore Delegato Corrado Passera, che si sono trovati attorno ad un piano, denominato simbolicamente “Fenice”.
Il piano prevedeva il più classico degli scorpori: socializzare le perdite e privatizzare gli utili.
Solo così i “capitani coraggiosi” (con i soldi altrui) avrebbero sborsato i quattrini necessari per far volare una compagnia ridotta a vettore locale.
Quindi un primo elemento: altri costi ribaltati sui cittadini, anche su chi non vola, che, in modo diretto o indiretto, vedranno le mani dello stato penetrare nelle loro tasche, nei loro portafogli per pagare la parte “cattiva” di Alitalia e gli ammortizzatori sociale e arricchire una ventina di manager e “imprenditori”.
L’accordo quadro viene sottoscritto dai sindacati confederali che, per l’occasione, cooptano anche l’Ugl, l’ex sindacato di destra.
Tale sottoscrizione arriva al termine di un percorso che ha visto il governo (pur di centro e addirittura definito di destra dalla sinistra) ma soprattutto la società degli acquirenti, aprire un canale preferenziale con i sindacati confederali.
I piani vengono rotti da due fattori: le Associazioni Professionali e i sindacati autonomi non ci stanno ad apporre la loro firma su un accordo che non hanno potuto discutere.
Come dar loro torto ?
Ma per il “gruppo cai” arriva un’altra bastonata: la cgil strappa e dopo aver firmato l’accordo quadro non firma il contratto unico.
Per la cgil si tratta di una impostazione ideologica infatti, ottenuta una vittoria di facciata (un allegato al verbale di accordo) rientra tra i ranghi.
E’ fatta ?
No.
Piloti e Assistenti di Volo, oltre agli autonomi dei lavoratori di terra, resistono.
Ancora una volta, giustamente, rifiutano di sottoscrivere un accordo che non hanno contrattato.
Ancora una volta non si può dar loro torto.
Dopo quindici ore di trattative, i Piloti ottengono modifiche significative in termini di profilo contrattuale ed esuberi.
Si mettono però di traverso i sindacati confederali chiamati a sottoscrivere tali modifiche (e questo risponde anche a chi li considerava “meno peggio”: la loro è solo una impostazione ideologica tesa a fare emergere una loro precedenza sugli altri sindacati).
Firmano anche loro.
Presumibilmente lunedì sarà il turno degli Assistenti di Volo.
I commentatori dicono che adesso si deve scegliere il “partner straniero”, cioè il futuro padrone di Alitalia.
A questo punto possiamo ben dire che Berlusconi non ha ottenuto nulla di quel che voleva, se non la possibilità di dire che Alitalia non è fallita.
Berlusconi ha:
- messo le mani nelle tasche degli italiani con gli ammortizzatori sociali promessi
- ceduto ad una cordata di manager e imprenditori di sinistra la parte sana di Alitalia
- avallato una percezione di supremazia dei sindacati confederali che sono stati chiamati alle trattative prima degli autonomi ed ai quali è stato concesso il diritto di veto (senza la firma della cgil sembrava tutto finito) anche dopo che i Piloti avevano contrattato dei miglioramenti
- ma soprattutto ha perso la scommessa sulla “compagnia di bandiera” perché tutti, ma proprio tutti, dicono che è necessario da subito un partner straniero che, tutti, ma proprio tutti, sanno che diventerà il padrone dell’Alitalia.
Ma se Berlusconi ha fallito, evitando solo il default politico, anche i sindacati confederali non ridono, perché le modifiche ottenute dai sindacati autonomi e dalle Associazioni Professionali dimostrano come da parte dei confederali non vi sia stata alcuna volontà di tutela dei lavoratori, ma solo una trattativa di carattere politico ed ideologico, indifferente tanto ai costi che vengono ribaltati sui contribuenti, quanto alla reale sorte dei lavoratori.
Si è così dimostrato che solo il sindacato autonomo guarda, senza paraocchi ideologici, agli interessi dei lavoratori, trattando e contrattando come deve fare un vero sindacato e non trasformando le relazioni industriali in un suk politico.
Ma la conclusione della vicenda fa emergere una figura che, da anni, è il garante dei poteri forti presso un imprevedibile Berlusconi: Gianni Letta.
Il mediatore alla crostata, il Padre Giuseppe della politica italiana di questi ultimi 15 anni, quello che ha accontentato la voglia di protagonismo dei sindacati confederali dando loro la precedenza in ogni momento della trattativa, quello che ha composto una cordata con imprenditori di sinistra e quello che, presumibilmente, sceglierà il nuovo padrone straniero di Alitalia, quello che ha ricompattato la casta dei manager con quella dei politici e dei sindacalisti confederali.
Berlusconi (che oggi compie 72 anni: auguri, ma cerca di tornare il Berlusconi ante 17 gennaio 2008 !) ha una grande stima di Gianni Letta.
Personalmente invece credo che continuare sulla strada del compromesso non risolverà i problemi dell’Italia ma li rinvierà fino al momento in cui non sarà più possibile farlo e il tonfo sarà tanto più grande quanto più sarà ritardato.
Gianni Letta, il grande tessitore, il grande mediatore, il valore aggiunto, sì, ma della casta, dei poteri forti che, ancora una volta, anche con Alitalia, guadagnano quando a tutti gli italiani sarà sottratto un altro po’ del loro denaro, nella più classica applicazione del principio di socializzare le perdite e privatizzare i guadagni.
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