Con la stesura di bozze sempre più elaborate sul Federalismo Fiscale, iniziano anche le bordate degli assistenzialisti,
di chi vive sulla produttività altrui,
di chi non si rassegna a dover essere lui stesso produttivo,
di chi non vuole rinunciare ai privilegi, ma anche
di chi, pur di ostacolare questa importante riforma – di costume, prima ancora che istituzionale – mette in giro versioni e interpretazioni abilmente manipolate.
E se da un lato vediamo in modo bipartisan politici meridionali (Bocchino, D’alema) che difendono, come fosse “cosa loro” il denaro che fino ad oggi, e ancora oggi, viene tolto al Nord per essere distribuito al Sud, dall’altro osserviamo una sottile campagna tesa a presentare la riforma federale come il grimaldello per riproporre la famigerata Ici.
Le tasse devono servire al funzionamento della cosa pubblica, al miglior vivere dei cittadini che le pagano.
Ma non devono impoverire i cittadini, quindi le patrimoniali, comunque siano presentate, sono inique e contrarie al buon costume di ogni sana amministrazione pubblica.
Le tasse devono essere una percentuale non usuraria (e i Romani consideravano come massimo non usurario la “decima” , cioè il 10% …) delle rendite, non del capitale.
Tradotto significa che una casa non può e non deve subire una tassazione in quanto bene di proprietà appartenente al patrimonio del cittadino, ma solo se produttrice di reddito reale, non quel reddito fittizio che è fornito dalle “rendite catastali” che vengono aumentate in base alle necessità di cassa del tesoro.
Se, pertanto, io locassi un appartamento, è sull’affitto che percepisco che mi si deve sottrarre un importo onesto, non su un valore fittizio di un appartamento che è di mia proprietà.
Sia esso un A3 o un A1, A8, A9 o sia il primo, il secondo, il centesimo bene immobile di mia proprietà.
Storicamente la tassazione sugli immobili (edifici e terreni) fu introdotta dal potere assoluto centrale per affermare la propria superiorità e impedire la costituzione di forme alternative – a volte contrastanti – di potere.
In sostanza nelle epoche antiche, che avevano altri concetti di democrazia, questa era rappresentata anche dal limite posto ed imposto al potere centrale dalla forza dei nobili locali che si misurava anche in funzione delle proprietà.
La tassa sugli immobili è quindi storicamente espressione di una concezione assolutista e tirannica della politica, con l’uso del fisco come strumento di persecuzione delle autonomie locali.
Tornando al nostro Federalismo Fiscale, aspettiamo di leggere la bozza finale per esprimere un reale giudizio, e verificare se, come afferma Calderoli, non esiste alcuna nuova imposizione ma solo una unificazione di più balzelli.
Non convince, però, la versione della “tassa sui servizi” o “service tax” che il governo per bocca di Berlusconi, Brunetta e Calderoli, sembra individuare come canale per finanziare gli enti locali.
Non convince (è, anzi, molto pericolosa !) perché se è un accorpamento di tasse già esistenti, è necessario che siano omogenee, cioè tasse esistenti pagate con lo stesso criterio, non, ad esempio, la tassa di registro che viene pagata solo da chi opera un trasferimento immobiliare.
Perché se accorpassero anche quella tassa, allora a me, quando non compro o vendo nulla, verrebbe comunque appioppata e, quindi, mi troverei con l’imposizione aumentata.
E, poi, cosa significa “tassa sui servizi” ?
Ho sentito parlare di acqua, luce, gas.
Ma se si intende la privata fruizione di illuminazione, riscaldamento etc., allora io devo pagare in relazione al consumo effettivo e non in base ad una cifra predeterminata, quindi non può rientrare nella “tassa sui servizi”.
Se, invece, si intendono le infrastrutture (cablaggi vari, acquedotti, tubature, inceneritori etc.) allora tutto questo è già ricompreso nell’Irpef che, per l’appunto, serve a finanziare gli oneri che l’amministrazione della cosa pubblica (locale o nazionale) si accolla per mettere a disposizione un bene ai cittadini che si sono uniti in comunità proprio per tale ragione.
Allora non serve alcuna “tassa sui servizi” perché sarebbe una duplicazione di ciò che noi paghiamo con l’irpef.
Quindi si torna al punto che l’unica riforma possibile, in linea con l’impegno di non mettere le mani nelle nostre tasche, è solo la variazione della imputazione contabile di ciò che già (abbondantemente !) paghiamo, cioè l’attribuzione agli enti locali dell’Irpef esistente, con una quota residua (sempre all’interno di ciò che già paghiamo) con destinazione Roma per le spese della macchina statale (Forze Armate, Polizia, Giustizia – dopo una profonda riforma –, politica estera).
Dal governo che ha fatto della lotta all’invadenza statalista un punto cardine della sua esistenza, mi aspetto che sia abolita totalmente l’Ici, che non sia inventata alcuna altra tassa, né patrimoniale, né sui servizi, né “di scopo”, perchè per tutto questo esiste già il gettito dell’Irpef.
07 settembre 2008
Ne' ici, ne' tassa sui servizi
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