Se un merito ha avuto il ministro della Difesa Ignazio La Russa (e, in misura minore, Alemanno) è stato quello di aver dimostrato che antifascismo e resistenza non sono una base comune per costruire la nostra Patria.
Non è vero che Napolitano abbia “risposto” a La Russa, perché aveva già preparato il suo intervento (scritto) che appartiene alla più ortodossa delle liturgie celebrative della “repubblica nata dalla resistenza antifascista … bla …bla … bla” e, quindi, non ha risposto a nessuno, ma ci ha ammannito il solito sermoncino che avrebbe tenuto con o senza la novità di La Russa.
Novità che, pur con tutte le cautele, i distinguo e le prudenze neodemocristiane del ministro, hanno portato, forse per la prima volta, nel corso di una manifestazione che ha sempre avuto una liturgia a senso unico, a rendere omaggio a chi ha combattuto ed è caduto dalla parte perdente.
Ora, è molto difficile sostenere che, con l’Italia mezza occupata dagli AngloAmericani in avanzata, i tedeschi in ritirata ovunque, il re in fuga e il Duce prigioniero (prima del re, poi dei tedeschi), fosse più eroico combattere dalla parte dell’ormai sicuro vincitore piuttosto che dall’altra, ma non è questo punto.
Il punto è che se un ministro neodemocristiano ha “osato”, percependo anche un generale clima di stanchezza (se non di rigetto) verso la ormai vuota e stanca liturgia antifascista, esprimere quelle parole, è evidente che non è l’antifascismo, non è la resistenza che possono costituire le fondamenta comuni dell’Italia del futuro.
E’ ora di finirla con l’orgia di manifestazioni e di celebrazioni, inutili e spesso costose, che ci sospingono, sistematicamente, verso il passato anziché guardare al futuro.
Lo dovrebbero capire anche gli antifascisti in s.p.e. che, con il loro morboso attaccamento ad una sterile liturgia, non fanno altro che onorare il nemico, tanto più importante, quanto più a lungo insisteranno nell’additarlo, dopo sessanta e più anni, come male assoluto, concedendogli quindi una rilevanza storica, politica e culturale che va ben oltre quello che, per natura delle cose, un solo ventennio può produrre.
Consegniamo dunque il Fascismo alla Storia ed agli storici che sapranno metterne in evidenza gli aspetti positivi e quelli negativi, lasciando alla coscienza dei singoli il giudizio e la valutazione su quel periodo che coinvolse profondamente l’Italia ed è parte integrante della nostra Storia.
Pensiamo a costruire il futuro, aggregando, senza pregiudiziali e senza pregiudizi, sulla base di progetti che aiutino gli Italiani a vivere meglio, più sicuri e più ricchi.
Tanto, sul Fascismo, come sul Medio Evo, sulle grandi Rivoluzioni dei secoli passati come sulla Storia di Roma, ognuno ha le sue idee e tali resteranno.
Con o senza liturgie periodiche e sermoncini d’occasione.
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Non è vero che Napolitano abbia “risposto” a La Russa, perché aveva già preparato il suo intervento (scritto) che appartiene alla più ortodossa delle liturgie celebrative della “repubblica nata dalla resistenza antifascista … bla …bla … bla” e, quindi, non ha risposto a nessuno, ma ci ha ammannito il solito sermoncino che avrebbe tenuto con o senza la novità di La Russa.
Novità che, pur con tutte le cautele, i distinguo e le prudenze neodemocristiane del ministro, hanno portato, forse per la prima volta, nel corso di una manifestazione che ha sempre avuto una liturgia a senso unico, a rendere omaggio a chi ha combattuto ed è caduto dalla parte perdente.
Ora, è molto difficile sostenere che, con l’Italia mezza occupata dagli AngloAmericani in avanzata, i tedeschi in ritirata ovunque, il re in fuga e il Duce prigioniero (prima del re, poi dei tedeschi), fosse più eroico combattere dalla parte dell’ormai sicuro vincitore piuttosto che dall’altra, ma non è questo punto.
Il punto è che se un ministro neodemocristiano ha “osato”, percependo anche un generale clima di stanchezza (se non di rigetto) verso la ormai vuota e stanca liturgia antifascista, esprimere quelle parole, è evidente che non è l’antifascismo, non è la resistenza che possono costituire le fondamenta comuni dell’Italia del futuro.
E’ ora di finirla con l’orgia di manifestazioni e di celebrazioni, inutili e spesso costose, che ci sospingono, sistematicamente, verso il passato anziché guardare al futuro.
Lo dovrebbero capire anche gli antifascisti in s.p.e. che, con il loro morboso attaccamento ad una sterile liturgia, non fanno altro che onorare il nemico, tanto più importante, quanto più a lungo insisteranno nell’additarlo, dopo sessanta e più anni, come male assoluto, concedendogli quindi una rilevanza storica, politica e culturale che va ben oltre quello che, per natura delle cose, un solo ventennio può produrre.
Consegniamo dunque il Fascismo alla Storia ed agli storici che sapranno metterne in evidenza gli aspetti positivi e quelli negativi, lasciando alla coscienza dei singoli il giudizio e la valutazione su quel periodo che coinvolse profondamente l’Italia ed è parte integrante della nostra Storia.
Pensiamo a costruire il futuro, aggregando, senza pregiudiziali e senza pregiudizi, sulla base di progetti che aiutino gli Italiani a vivere meglio, più sicuri e più ricchi.
Tanto, sul Fascismo, come sul Medio Evo, sulle grandi Rivoluzioni dei secoli passati come sulla Storia di Roma, ognuno ha le sue idee e tali resteranno.
Con o senza liturgie periodiche e sermoncini d’occasione.
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3 commenti:
Come son d'accordo Mons!
Assolutamente!!!
Tutte questo diatribe lasciano il tempo che trovano ed in piu' danno l'occasione a coloro che, chissà perché, nati nel dopoguerra, si sentono martiri della resistenza, di fare le loro litanie opportuniste.
Dovremmo annullare semplicemente tutto e dire che nel 2000 si é voltato pagina.
Lontana
Sì, Lontana, ma dovrebbero tutti voltare pagina, anche chi ci ammannisce le liturhie resistenziali e antifasciste. Finchè ci saranno gli uni, resteranno anche gli altri.
Caspita, sempre le stesse menate resistenziali ! Si stava meglio alle hawaii...
Sto tornando !
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