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17 marzo 2009

I "soldi veri" li caccino gli imprenditori

Sono alquanto stupito che, a dispetto della sua abituale espressione arcigna (chissà perché una donna per avere credibilità deve sempre mostrarsi con espressioni troppo serie per essere … credibili), Emma Marcegaglia si presenti con il piattino in mano a chiedere soldi a tutti noi pel tramite del governo, dando così ragione al brillante articolo di Franco Jappelli ne Il Borghese nr. 3 di marzo 2009, perfettamente intitolato “Chiagnere e fottere” e che porta un occhiello altrettanto significativo: sceneggiata industriale.
Il presidente di Confindustria da qualche tempo, abbandonata la linea del libero mercato, si trova a ipotizzare catastrofiche conseguenze – quasi fosse una cgil qualunque – qualora il governo non attingesse a piene mani dal denaro pubblico per pompare liquidità alle aziende che rappresenta.
Scenari a tinte fosche di licenziamenti di massa, fallimenti cosmici e bancarotte senza ritorno.
Probabilmente il Presidente di Confindustria ha dimenticato che la principale caratteristica di un imprenditore – che giustifica il lauto guadagno che consegue negli anni di vacche grasse – è il “rischio”.
L’imprenditore, cioè, rischia soldi suoi, rischia di suo per intraprendere una attività in proprio da cui ricavare guadagni.
Il rischio in proprio è la giustificazione del suo ruolo di comando, di organizzazione, di scelte e di guadagno.
A che titolo si chiama imprenditore chi si mette in tasca gli utili negli anni di vacche grasse e bussa alla porta dello stato in quelli di vacche magre ?
Il compito dello stato è quello di realizzare ammortizzatori sociali tali da garantire una dignitosa sopravvivenza a quei lavoratori che si trovano senza lavoro in quei periodo in cui la curva è discendente.
E’ un compito che il governo sta assolvendo e che potrebbe essere aumentato se non si tirasse per la giacchetta Berlusconi piuttosto che Tremonti per ottenere finanziamenti privilegiati.
Ecco che le rottamazioni, gli aiuti di stato a settori industriali, sono denaro sottratto agli ammortizzatori sociale.
Mentre dovrebbero essere gli imprenditori, se ritengono valida la loro impresa, a rischiare in proprio, con propri soldi o chiedendoli alle banche alle quali – visto che non sono enti di beneficenza – garantire la restituzione con la propria firma e con i propri beni personali.
Questi sono Imprenditori e, per fortuna, in Italia ve ne sono tanti che non chiedono l'elemosina (non dovuta) allo stato, cioè a tutti noi.
Privatizzare gli utili e socializzare le perdite, invece, è un principio che in Italia ha fatto il suo tempo ed è ora che gli imprenditori che non hanno idee innovative, le cui aziende non sono in grado di affrontare le sfide del libero mercato, falliscano per lasciare il posto ad una nuova classe imprenditoriale, più capace e meno piagnona.
Del resto, se se lo fossero dimenticato, anche il fallimento è un Istituto prettamente liberale.

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