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No alla deriva

No alla deriva
Diciamo NO alla deriva

01 marzo 2009

Brunetta&Sacconi vs. Epifani

Il partito socialista era un “grande” partito.
Dicono.
Forse alle origini, perché io me lo ricordo come il partito più attaccato al potere: al governo con la Dc a Roma, in giunta con il Pci in sede locale.
Per non dire della Fgsi (la federazione giovanile socialista) piena di personaggi più estremisti degli omologhi della Fgci (la federazione giovanile comunista).
E come non ricordare Pietro Nenni, il suo Fronte Popolare con il Pci nel 1948 e, quindi, la conversione sulla via dei ministeri e il centrosinistra presieduto da Aldo Moro con quella sarabanda di esiziali nazionalizzazioni, primo passo per l’affossamento della nostra economia ?
Così vedo con preoccupato sospetto lo scambio di “gentilezze” tra il duo (socialista) Brunetta&Sacconi e il socialista Epifani segretario della cgil.
Leggo che Brunetta avrebbe “sfidato” Epifani ad un esame di coscienza su chi ha fatto più “l’interesse dei lavoratori” tra lui (Brunetta) socialista lombardiano (sic !) e l’altro (Epifani) socialista demartiniano.
Francamente non mi sembra vi sia molto da vantarsi per essere (stato) socialista (sia lombardiano che demartiniano) e mi preoccupa non poco il fatto che questo governo sia imbottito di socialisti come, forse, neppure all’epoca del governo Craxi.
Una preoccupazione che viene rafforzata dalla tendenza ad un eccessivo dirigismo e interventismo statale, in questo coadiuvata dalla infausta scelta dell’elettorato americano, che ha messo da parte la battaglia primaria per la riduzione delle tasse e, quindi, per uno stato meno invasivo nella vita dei cittadini.
Ma torniamo alla “guerra dei Roses socialisti”.
Due i campi di battaglia: la riforma contrattuale e la regolamentazione del diritto di sciopero.
La propaganda della cgil vuol alimentare – e viene esplicitamente dichiarato – l’immagine di un rischio “autoritario”.
Ma se andiamo a leggere i provvedimenti, chi dovrebbe reagire a questo sono i sindacati liberi di categoria, quelli, cioè, non legati ad alcuna parrocchia partitica, che vedrebbero svuotata la loro rappresentatività che, invece, viene consegnata su un piatto d’argento alla trimurti integrata dall’ugl.
Nel 1990, con la legge 146, per la prima volta con un ritardo di 42 anni, fu data attuazione all’art. 40 della costituzione nata dalla resistenza antifascista … bla … bla …bla … (a me piacerebbe che, prima del secolo dalla sua formulazione, si attuasse anche l’art. 39 sul riconoscimento dei sindacati).
Tale normativa venne emanata con i buoni uffici della trimurti, messa all’angolo dai sindacati liberi di categoria.
Nel 2000, Massimo D’alema regnante, furono approvati ulteriori appesantimenti al diritto di sciopero, senza alcuna obiezione da parte della cgil.
Oggi si pretende che gli scioperi siano proclamati da sindacati che rappresentino il 50% + 1 dei lavoratori (singolarmente nessuno è tale) o che sottopongano a referendum la proposta di sciopero.
Per ora la norma verrebbe limitata ai trasporti, ma Sacconi ha dichiarato che nulla vieta sia recepita da altre categorie.
E’ evidente che la “rappresentatività” diventa un punto fondamentale e che i sindacati liberi vengono messi in condizioni di grave inferiorità dalla scelta di una simile legislazione, soprattutto in quelle categorie dove, pur non essendo maggioranza assoluta, tuttavia rappresentano una maggioranza relativa.
In pratica è la canalizzazione del potere decisionale verso i sindacati confederali che, per la loro struttura, hanno una piramide gerarchica che spesso (quasi sempre) travalica gli ambiti e gli interessi della categoria chiamata ad affrontare una problematica, per coniugarla – e quasi sempre posporla – agli interessi macropolitici cui i vertici confederali sono sensibilissimi (anche perché vediamo come lo sbocco naturale della carriera dei sindacalisti confederali sia in politica: Marini, D’antoni, Cofferati, Lama, Del Turco, Benvenuto …).
La ulteriore “stretta” sul diritto di proclamare gli scioperi, è, quindi, funzionale ad un maggior potere di controllo delle confederazioni, spesso cinghie di trasmissione dei partiti, sui lavoratori e non dubito che una analoga proposta formulata da un governo Prodi o D’alema, avrebbe visto la cgil entusiasta sostenitrice.
Analogamente la riforma dei contratti (rectius: riforma degli assetti contrattuali) in base all’accordo quadro del 22 gennaio 2009 (non sottoscritto dalla cgil) contiene (ai punti 17 e 18) una previsione circa le rappresentanze sindacali che, pur nella ambigua formulazione, sembra spingere l’acceleratore verso quelle r.s.u. (rappresentanze sindacali unitarie) che, di fatto, esautorano i sindacati liberi di categoria dalla loro utile rappresentanza dei lavoratori che si rifiutano di essere inquadrati nelle organizzazioni confederali e, sostanzialmente, in strumenti di propaganda politica, quando non partitica.
Anche questo aspetto, qualora fosse stato promosso da un governo Prodi o D’alema, avrebbe trovato il pieno consenso di una cgil che, per tradizione, ha una catena di comando tale che le consentirebbe di monopolizzare ogni elezione delle r.s.u.
Per tornare alla guerra dei Roses socialisti, purtroppo c’è da dire che ha ragione Brunetta quando rivendica l’infelice eredità della estrema sinistra socialista e se è da affrontare il problema degli scioperi, bisogna farlo garantendo la piena rappresentatività dei sindacati liberi di categoria, quindi la loro agibilità nelle aziende e negli strumenti di rivendicazione sindacale.
In questo senso dovrebbe essere rimosso ogni limite per la proclamazione degli scioperi e, piuttosto, spostare il contenuto dello sciopero verso il “virtuale”, in modo che sia il lavoratore che vi aderisce abbia un onere, sia l’azienda che lo subisce venga costretta a pagare monete sonanti, il tutto senza interrompere produzione e servizio.
Così come sono, le due riforme proposte sono di marca prettamente socialista e non possono essere accettabili da quanti vorrebbero ampliare la libertà, anche sindacale e non comprimerla nell’ambito di poche organizzazioni confederali.
L’opposizione della cgil è, in tutta evidenza, strumentale, ma la sua battaglia contraria a quelle norme, così come sono, è, al momento, in linea con le aspettative dei lavoratori che non vogliono “morire” confederali.

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