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01 dicembre 2011

Il "suicidio assistito" non è accettabile

Le modalità con le quali un notabile comunista, fondatore del Manifesto, come Lucio Magri si è dato la morte, hanno riacceso il dibattito sull’eutanasia.
In realtà, anche sotto il profilo puramente lessicale, “eutanasia” e “suicidio assistito” richiamano due differenti fattispecie.
Nel primo caso è un terzo che diventa parte attiva per sopprimere la vita di qualcuno, non somministrandogli farmaci o spegnendo le macchine che lo aiutavano a vivere.
Nel secondo è la medesima persona che provvede, in un ambiente protetto, a sopprimere la sua stessa vita.
La sostanza, il significato etico, la radice filosofica, però è uguale e, personalmente, la considero ugualmente riprovevole, indice di un crollo morale in cui la Vita viene ridotta a bene disponibile, in una logica materialistica che priva l’Uomo dell’anima.
La Vita è un bene, filosoficamente e moralmente non disponibile, non possono essere favoriti in alcun modo suicidio ed eutanasia che segnano la fine definitiva e senza appello di ogni speranza (di guarigione, di miglioramento, di futuro, di tutto).
Alcuni osservano che gli stessi che sono favorevoli all’eutanasia sono contrari alla pena di morte e poi favorevoli all’aborto, evidenziando una presunta contraddizione che, a pensarci bene, non c’è, perché chi è contrario alla pena di morte non tutela la vita degli innocenti, anzi li mette in pericolo potenziale, ma solo di  criminali condannati, mentre con l’aborto e l’eutanasia si sopprimono soggetti innocenti.
C’è una logica similare in tutte e tre le questioni.
E non è un caso, per la medesima ragione, che chi è contrario all’aborto e favorevole alla pena di morte, sia anche contrario all’eutanasia.
Anche qui c’è la tutela degli innocenti, ma soprattutto l’ispirazione ad una concezione morale che io considero superiore, ma che è comunque diametralmente opposta, come principio fondamentale.
Il comportamento tenuto da Magri ha dunque riaperto le discussioni se sia opportuno consentire in Italia quel che è permesso in Svizzera o Inghilterra.
Ho ascoltato Vittorio Feltri, con il quale solitamente sono d’accordo, il quale, pur non condividendola, difendeva la scelta di togliersi la vita e tuonava contro chi volesse impedire a qualcuno di suicidarsi.
Ma nessuno vuole o può impedire per legge il suicidio (anche perché è difficile poi punire qualcuno che ci riesca e sotto certi aspetti punitivi verso chi non ci riuscisse si rasenterebbe il ridicolo).
Naturalmente se un suicida danneggia persone o proprietà altrui deve pagare se sopravvive o devono pagare gli eredi se riesce nel suo intento (mi viene in mente quello che si butta sotto il treno).
Il problema qui è diverso: si richiede, sotto varie denominazioni, di fare una legge perché alcuni osservino, senza intervenire, anzi agevolino l’intento suicida.
Qui non si tratta di impedire a qualcuno di suicidarsi, ma a terzi di parteciparvi attivamente o passivamente.
E questo lo stato non può consentirlo.
Se, poi, uno vuole suicidarsi può sempre farlo con gli strumenti tradizionali che sono anche stati celebrati da poeti e scrittori che hanno lasciato ai posteri la testimonianza nobilmente suicida di grandi uomini (uno per tutti: Seneca) perché tutti coloro che si danno la morte con una spada, una pistola, un coltello, hanno un che di eroico, una tragica, feroce, grandezza con la quale mandano in dissolvenza il bene più prezioso di un Uomo: la propria Vita.
Ma darsi la morte nella stanza asettica di una clinica privata, sotto gli occhi di medici e infermieri immobili fa venir meno anche l’unico aspetto nobile, dignitoso e onorevole del suicidio.

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