Mentre aspettiamo tutti la cacciata di Prodi da palazzo Chigi, dilettiamoci nelle discussioni accademiche tanto piacevoli, quanto concretamente inutili.
Chi navigasse tra i blog che si riconoscono nell’area creativa e sempre in fermento del Centro Destra, potrebbe evidenziare che ci si divide, sostanzialmente, su due filoni in due vicende parallele.
Ci sono gli emuli dell’operazione partito presunto democratico che attivano iniziative a sostegno della costituzione di un partito unico/unitario del Centro Destra, sognando situazioni lontane (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia) e leader che non sono importabili in italia (Sarkozy, Cameron, Giuliani).
C’è invece chi orgogliosamente riafferma la propria identità e radici politiche, disposto sì, concretamente e ragionevolmente, a trattare, da pari a pari, una coalizione, ma non disponibile a rinunciare a simboli ed eredità ideali che appartengono ad una Storia gloriosa e che rende onore ai protagonisti ed a chi non la dimentica.
Questi due schieramenti, ambedue titolati a stare nel Centro Destra, hanno anche (pur con le dovute distinzioni e situazioni di confine) concezioni differenti del sistema elettorale che dovrebbe essere applicato in Italia.
Quelli che sostengono il partito unitario sono, naturalmente, favorevoli ad un sistema maggioritario secco, all’inglese, che consenta una maggioranza netta, anche non avendo una maggioranza assoluta di elettori.
La ratio di questo comportamento sta nella prevalenza dell’aspetto “governabilità”, quindi di assumere decisioni e dare corso a progetti, che con il maggioritario acquisterebbe priorità sulle impostazioni ideali, creando i presupposti per un gruppo di maggioranza più coeso.
Con il maggioritario si creerebbero dei partiti che non avrebbero rappresentanza (o l’avrebbero ininfluente) e, almeno in Italia, con elettori costretti a “turarsi il naso”, votando il “partito grosso” più affine e non il partito in assoluto che meglio rappresenta le proprie idee, pur di impedire l’arrivo al potere del “partito grosso” più lontano dai propri principi.
Paradossalmente, considerata la situazione che esiste in Italia, si ricreerebbe una situazione simile a quella della prima repubblica, dove in molti votavano (anch’io ... una volta) per la DC “turandosi il naso” secondo l’invito di Montanelli, pur di non consentire al PCI di diventare il primo partito d’Italia.
Chi, viceversa, continua a rivendicare con orgoglio la propria identità, non può che essere sostenitore dell’attuale legge elettorale che, lungi dall’essere una “porcata”, richiederebbe solo un paio di modifiche (ma una sola fondamentale: l’estensione del premio di maggioranza su base nazionale anche per il senato) per conseguire in pieno due risultati più che soddisfacenti: creare coalizioni omogenee e garantire la presenza di partiti identitari che rappresentano un patrimonio di storia, civiltà e cultura politica italiana.
Paradossalmente questa seconda ipotesi creerebbe governabilità solo con una maggioranza di Centro Destra, come la situazione di governo attuale ci insegna, anche se con meno capacità realizzativa, dovendo scontare una necessaria opera di sintesi tra le varie istanze, ognuna importante – sotto il profilo della dignità politica – ma anche determinante sotto quello numerico.
Sullo sfondo la divisione in “blocchi” che riguarda le grandi famiglie ideologiche del novecento: Conservatori, Liberali, Socialisti, all’interno delle quali ne esistono altre che possono avere anche una forza superiore a quella di origine (come i Comunisti nell’ambito della famiglia Socialista).
Su questo temo ho già scritto e ho visto che anche altri hanno provveduto ad esprimere una opinione che collima solo in parte con la mia cioè là dove si attribuisce al “fattore K” la responsabilità di una necessaria alleanza tra liberali e conservatori.
Suppongo che, grosso modo, su questa fotografia – magari con qualche piccolo aggiustamento – ci si possa ritrovare in tanti.
Quello che ci divide è la prospettiva, la strada da imboccare e le azioni da sostenere.
Devo dire che prima dell’esperienza di Tocqueville ero sostenitore di una Grande Destra dei Valori e del Fare che potesse ritrovarsi un partito unitario, nel quale ogni identità ottenesse pari dignità, rispetto e considerazione.
A distanza di oltre 35 anni dalle mie prime esperienze politiche giovanili, mi sono invece ritrovato nella stessa situazione (questa volta su un altro versante) non potendomi riconoscere in molti aspetti che l’ala estrema radicaliberale del Centro Destra pone al centro della sua azione.
Allora non potevo stare con i “Fascisti” perché non ero sufficientemente “Fascista” (o magari non lo ero affatto), oggi non posso stare con i “Liberali” perché non sono sufficientemente “Liberale” (o magari non lo sono affatto).
E, in effetti, come allora se ero favorevole ad una netta contrapposizione – anche di piazza – alla sinistra, non condividevo l’astio da sconfitti perenni verso gli Stati Uniti e il richiamo alla parte decadente del Fascismo, quella sociale; oggi se sono favorevole al libero mercato ed al capitalismo come sistema di base, non condivido né la tesi sulla supremazia della libertà economica su quella politica (veggasi la Cina), né il laissez faire estremo propugnato dall’ala fondamentalista del neoliberismo che tanta eco ha nella blogosfera di Destra (per non citare ora la questione dei Valori Morali).
Per questo mi sono sempre definito “di Destra” senza ulteriori specificazioni, avendo, a seconda dell’argomento in discussione, trovato vedute coincidenti ora con una microfamiglia, ora con l’altra.
Ritenevo, quindi, a torto, che oggi ci si potesse tutti ritrovare in un unico contenitore.
Ho invece potuto constatare come questo non sia possibile.
Valori che ritengo debbano essere fondamentali per un partito, come il rispetto delle Tradizioni, delle Radici, della Gerarchia (non mi riferisco a quella ecclesiastica, ma in generale), di un Ordine Morale, non sono comuni.
Non è possibile fare un partito unico e questo nonostante la presenza del “fattore K” che, comunque, ci costringerà a trovare un minimo comun denominatore per impedire che l’Italia sia assoggettata da personaggi come quelli che (forse …) hanno vinto le ultime elezioni.
E la riprova se ne ha proprio nel microcosmo della cosiddetta blogosfera di Centro Destra dove, quasi da subito, l’ala radicaliberale ha cercato di costituirsi in blocco pronta a fagocitare il resto, ridando per reazione forza ad iniziative preesistenti come Il Castello o nuove come Triares, la cui crescita progressiva conferma la necessità "di" e lo spazio "per" una connotazione identitaria, pur se inserita un in un contenitore più ampio che potrebbe essere paragonato non ad un partito unitario, bensì ad una coalizione di pari.
Allora credo che la soluzione migliore sia quella di un proporzionale che favorisca la formazione di due sole coalizioni, garantendo nel contempo le identità, in attesa di una evoluzione che, liquidando il “fattore K” possa ripristinare una normale dialettica tra Liberali e Conservatori, con il terzo incomodo Socialista, purgato dall’anima comunista, oggi nettamente maggioritaria (perché non dimentichiamoci che il partito presunto democratico è dominato dagli elementi post comunisti, dalla loro organizzazione, dalle loro strutture, dai loro quadri, tanto che per riprendere una espressione del Presidente Berlusconi si potrebbe parlare di questo “nuovo” - ? – soggetto politico come del PCI/PDS/DS/PD tanto per dare un’idea delle origini e del persistente dna).
E come non vedrei nulla di strano in una fusione tra Fini (non di A.N. dove ritengo continuino a restare – a fatica – molti “identitari”) e Forza Italia, così credo che per la chiarezza del quadro politico la parte estrema dello schieramento radicaliberale debba, oltre a costituirsi in movimento, presentarsi in modo autonomo (e non “ospiti” di Forza Italia), anche per contarsi elettoralmente, nella consapevolezza che, comunque vada, anche i voti dei partiti identitari contribuiranno alla vittoria della coalizione e non saranno “messi in frigorifero”.
Liberali e Conservatori sono sì costretti per ora a coniugare assieme le loro attività di governo, quindi addivenire a compromessi sulle scelte, ma non sono costretti a convivere sotto lo stesso tetto, a meno che … una fuga in avanti nella scelta del sistema elettorale non imponga un passo così azzardato e prematuro.
E non è detto che una scelta del genere abbia, in Italia, gli stessi effetti che ha avuto in paesi dalle radici democratiche ben più antiche.
Entra ne
Chi navigasse tra i blog che si riconoscono nell’area creativa e sempre in fermento del Centro Destra, potrebbe evidenziare che ci si divide, sostanzialmente, su due filoni in due vicende parallele.
Ci sono gli emuli dell’operazione partito presunto democratico che attivano iniziative a sostegno della costituzione di un partito unico/unitario del Centro Destra, sognando situazioni lontane (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia) e leader che non sono importabili in italia (Sarkozy, Cameron, Giuliani).
C’è invece chi orgogliosamente riafferma la propria identità e radici politiche, disposto sì, concretamente e ragionevolmente, a trattare, da pari a pari, una coalizione, ma non disponibile a rinunciare a simboli ed eredità ideali che appartengono ad una Storia gloriosa e che rende onore ai protagonisti ed a chi non la dimentica.
Questi due schieramenti, ambedue titolati a stare nel Centro Destra, hanno anche (pur con le dovute distinzioni e situazioni di confine) concezioni differenti del sistema elettorale che dovrebbe essere applicato in Italia.
Quelli che sostengono il partito unitario sono, naturalmente, favorevoli ad un sistema maggioritario secco, all’inglese, che consenta una maggioranza netta, anche non avendo una maggioranza assoluta di elettori.
La ratio di questo comportamento sta nella prevalenza dell’aspetto “governabilità”, quindi di assumere decisioni e dare corso a progetti, che con il maggioritario acquisterebbe priorità sulle impostazioni ideali, creando i presupposti per un gruppo di maggioranza più coeso.
Con il maggioritario si creerebbero dei partiti che non avrebbero rappresentanza (o l’avrebbero ininfluente) e, almeno in Italia, con elettori costretti a “turarsi il naso”, votando il “partito grosso” più affine e non il partito in assoluto che meglio rappresenta le proprie idee, pur di impedire l’arrivo al potere del “partito grosso” più lontano dai propri principi.
Paradossalmente, considerata la situazione che esiste in Italia, si ricreerebbe una situazione simile a quella della prima repubblica, dove in molti votavano (anch’io ... una volta) per la DC “turandosi il naso” secondo l’invito di Montanelli, pur di non consentire al PCI di diventare il primo partito d’Italia.
Chi, viceversa, continua a rivendicare con orgoglio la propria identità, non può che essere sostenitore dell’attuale legge elettorale che, lungi dall’essere una “porcata”, richiederebbe solo un paio di modifiche (ma una sola fondamentale: l’estensione del premio di maggioranza su base nazionale anche per il senato) per conseguire in pieno due risultati più che soddisfacenti: creare coalizioni omogenee e garantire la presenza di partiti identitari che rappresentano un patrimonio di storia, civiltà e cultura politica italiana.
Paradossalmente questa seconda ipotesi creerebbe governabilità solo con una maggioranza di Centro Destra, come la situazione di governo attuale ci insegna, anche se con meno capacità realizzativa, dovendo scontare una necessaria opera di sintesi tra le varie istanze, ognuna importante – sotto il profilo della dignità politica – ma anche determinante sotto quello numerico.
Sullo sfondo la divisione in “blocchi” che riguarda le grandi famiglie ideologiche del novecento: Conservatori, Liberali, Socialisti, all’interno delle quali ne esistono altre che possono avere anche una forza superiore a quella di origine (come i Comunisti nell’ambito della famiglia Socialista).
Su questo temo ho già scritto e ho visto che anche altri hanno provveduto ad esprimere una opinione che collima solo in parte con la mia cioè là dove si attribuisce al “fattore K” la responsabilità di una necessaria alleanza tra liberali e conservatori.
Suppongo che, grosso modo, su questa fotografia – magari con qualche piccolo aggiustamento – ci si possa ritrovare in tanti.
Quello che ci divide è la prospettiva, la strada da imboccare e le azioni da sostenere.
Devo dire che prima dell’esperienza di Tocqueville ero sostenitore di una Grande Destra dei Valori e del Fare che potesse ritrovarsi un partito unitario, nel quale ogni identità ottenesse pari dignità, rispetto e considerazione.
A distanza di oltre 35 anni dalle mie prime esperienze politiche giovanili, mi sono invece ritrovato nella stessa situazione (questa volta su un altro versante) non potendomi riconoscere in molti aspetti che l’ala estrema radicaliberale del Centro Destra pone al centro della sua azione.
Allora non potevo stare con i “Fascisti” perché non ero sufficientemente “Fascista” (o magari non lo ero affatto), oggi non posso stare con i “Liberali” perché non sono sufficientemente “Liberale” (o magari non lo sono affatto).
E, in effetti, come allora se ero favorevole ad una netta contrapposizione – anche di piazza – alla sinistra, non condividevo l’astio da sconfitti perenni verso gli Stati Uniti e il richiamo alla parte decadente del Fascismo, quella sociale; oggi se sono favorevole al libero mercato ed al capitalismo come sistema di base, non condivido né la tesi sulla supremazia della libertà economica su quella politica (veggasi la Cina), né il laissez faire estremo propugnato dall’ala fondamentalista del neoliberismo che tanta eco ha nella blogosfera di Destra (per non citare ora la questione dei Valori Morali).
Per questo mi sono sempre definito “di Destra” senza ulteriori specificazioni, avendo, a seconda dell’argomento in discussione, trovato vedute coincidenti ora con una microfamiglia, ora con l’altra.
Ritenevo, quindi, a torto, che oggi ci si potesse tutti ritrovare in un unico contenitore.
Ho invece potuto constatare come questo non sia possibile.
Valori che ritengo debbano essere fondamentali per un partito, come il rispetto delle Tradizioni, delle Radici, della Gerarchia (non mi riferisco a quella ecclesiastica, ma in generale), di un Ordine Morale, non sono comuni.
Non è possibile fare un partito unico e questo nonostante la presenza del “fattore K” che, comunque, ci costringerà a trovare un minimo comun denominatore per impedire che l’Italia sia assoggettata da personaggi come quelli che (forse …) hanno vinto le ultime elezioni.
E la riprova se ne ha proprio nel microcosmo della cosiddetta blogosfera di Centro Destra dove, quasi da subito, l’ala radicaliberale ha cercato di costituirsi in blocco pronta a fagocitare il resto, ridando per reazione forza ad iniziative preesistenti come Il Castello o nuove come Triares, la cui crescita progressiva conferma la necessità "di" e lo spazio "per" una connotazione identitaria, pur se inserita un in un contenitore più ampio che potrebbe essere paragonato non ad un partito unitario, bensì ad una coalizione di pari.
Allora credo che la soluzione migliore sia quella di un proporzionale che favorisca la formazione di due sole coalizioni, garantendo nel contempo le identità, in attesa di una evoluzione che, liquidando il “fattore K” possa ripristinare una normale dialettica tra Liberali e Conservatori, con il terzo incomodo Socialista, purgato dall’anima comunista, oggi nettamente maggioritaria (perché non dimentichiamoci che il partito presunto democratico è dominato dagli elementi post comunisti, dalla loro organizzazione, dalle loro strutture, dai loro quadri, tanto che per riprendere una espressione del Presidente Berlusconi si potrebbe parlare di questo “nuovo” - ? – soggetto politico come del PCI/PDS/DS/PD tanto per dare un’idea delle origini e del persistente dna).
E come non vedrei nulla di strano in una fusione tra Fini (non di A.N. dove ritengo continuino a restare – a fatica – molti “identitari”) e Forza Italia, così credo che per la chiarezza del quadro politico la parte estrema dello schieramento radicaliberale debba, oltre a costituirsi in movimento, presentarsi in modo autonomo (e non “ospiti” di Forza Italia), anche per contarsi elettoralmente, nella consapevolezza che, comunque vada, anche i voti dei partiti identitari contribuiranno alla vittoria della coalizione e non saranno “messi in frigorifero”.
Liberali e Conservatori sono sì costretti per ora a coniugare assieme le loro attività di governo, quindi addivenire a compromessi sulle scelte, ma non sono costretti a convivere sotto lo stesso tetto, a meno che … una fuga in avanti nella scelta del sistema elettorale non imponga un passo così azzardato e prematuro.
E non è detto che una scelta del genere abbia, in Italia, gli stessi effetti che ha avuto in paesi dalle radici democratiche ben più antiche.
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1 commento:
Ciao Massimo, complimenti bel post e il blog (già inseriti nella mio blogroll). Come ho avuto modo di dire, mi rendo conto che quello sul bipartitismo/bipolarismo sia un problema, ma in realtà ora mi sembra un problema di "lana caprina". L'importante, per me, è arrivare al bipolarismo (soprattutto per motivi di stabilità) per il resto bisogna ragionarci con calma
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