Nel 2014 Renzi ottenne il 40% dei voti alle europee.
E' vero che partiva dal 26% di Bersani, ma ebbe comunque una affermazione che lo proiettò molto in alto.
Troppo in alto.
La sua parabola si concluse con le politiche del 2018, dopo una breve risalita quando si limitò a fare il segretario del pci/pds/ds/pd essendosi dimesso per l'esito negativo del referendum del 2016.
Per rifarmi, ancora una volta, al Manzoni, Renzi cadde (4 dicembre 2016, sconfitta al referendum), risorse e giacque (4 marzo 2018).
I gufi passati ora sotto le insegne renziane ricordano tutto ciò guardando a Salvini.
Ma Salvini è diverso da Renzi.
Salvini risponde al Popolo, propone soluzioni che a noi elettori convincono e non si lascia irretire da cene e inviti a salotti più o meno buoni.
Una immagine è emblematica, i due allo stadio.
Renzi in tribuna, vicino ai Della Valle proprietari (sembra non ancora per molto) della Fiorentina e Salvini in curva assieme a tifosi, magari alcuni un po' discutibili, ma nel cuore della passione per la sua squadra.
Tutto questo per dire che Salvini non abbandonerà i punti programmatici che gli hanno portato oltre nove milioni di voti, piaccia o meno a Bruxelles, ai cardinali, alla stampa e alla televisione, ai magistrati e agli imprenditori, a nani e ballerini che si sono improvvisati maitre a penser.
A mandare in frantumi la speranza che, oggi, si possa cambiare l'Italia potranno essere solo i grillini se, invece di adeguarsi ad un programma chiaro e ad un progetto sostenuto dal Popolo, preferiranno trincerarsi dietro le solite paturnie dell'antifascismo, dell'onestà e delle parole al vento, prive di concretezza.
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