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13 novembre 2025

Ilva: meglio chiusa che nazionalizzata

C'era una volta l'acciaio, con fabbriche che davano da lavorare a migliaia di operai e da vivere alle loro famiglie.

Poi sono arrivati i verdi, con la loro iconoclastia, il tutto e subito, ai quali si sono aggregati i magistrati militanti che, seduti nei loro uffici, senza curarsi delle compatibilità economiche, hanno imposto vincoli ambientali e alle lavorazioni.

Buoni ultimi i politici cattocomunisti della Puglia, che hanno cavalcato ogni movimento di protesta, sia che dicesse "vogliamo l'aria pulita" o che sostenesse "vogliamo il lavoro".

Grandi assenti i sindacalisti, che sono sembrati dei travicelli che pencolavano ora da una parte, ora dall'altra, nella classica pretesa di volere la botte piena e la moglie ubriaca.

Nel frattempo la fabbrica di acciaio più importante d'europa riduceva la sua produzione, i proprietari guadagnavano sempre meno e di conseguenza anche il lavoro era sempre di meno.

Con un ultimo sussulto sono stati mandati via (sotto processo) gli ultimi proprietari che, bene o male, erano riusciti a far quadrare i conti e ministri improvvisati mettevano le mani nella vicenda pensando di risolverla con proclami retorici e promesse il cui mantenimento sapevano benissimo sarebbe stato accollato a chi sarebbe venuto dopo di loro.

I nodi vengono sempre al pettine e siamo arrivati al punto che la geniale soluzione dei sindacati, che interrompono il tavolo con il Governo invece di collaborare a salvare i posti di lavoro, è pretendere la nazionalizzazione dell'Ilva, cioè scaricare sul bilancio pubblico le perdite ed i costi di una gestione che appare sempre più impossibile.

In sostanza i sindacati stanno ripercorrendo la stessa strada dell'Alitalia, per la quale noi Italiani ci siamo svenati fino a svenderne ciò che restava ai tedeschi (con la speranza che sia finita, come quando si applica lo "stop loss" agli investimenti in borsa: quel che si è perso, si è perso, non piangiamoci sopra e andiamo avanti evitando di ripetere l'errore).

Mi auguro che questo Governo tenga il punto, rifiutando ogni nazionalizzazione, cioè l'accollo al pubblico di una azienda in perdita economica cui si aggiunge anche l'obbligo di costosissimi interventi per adempiere a tutte le prescrizioni ecoambientaliste.

L'Italia non ha bisogno di ritornare ai tempi dell'Alitalia o delle sovvenzioni alla Fiat con le quali si privatizzavano gli utili e si socializzavano le perdite.

Se c'è un imprenditore che ritenga di poter gestire, guadagnandoci, perchè non conosco imprenditori che lavorino per perdere denaro, l'Ilva, ben venga e gli si venda l'intero asset.

Ma se non esiste questo imprenditore, allora è meglio chiudere la fabbrica che nazionalizzarla.

Costerebbe sicuramente di meno, anche in prospettiva, alle casse dello stato un aiuto ponte ai lavoratori finchè non troveranno un nuovo lavoro o, come diceva la Thatcher, con il Libero Mercato non si aprissero dieci piccole nuove fabbriche dopo il fallimento di una grande ma decotta, piuttosto che lo stillicidio di miliardi pubblici per una fabbrica improduttiva e che dovrebbe anche sottostare a stringenti normative ecoambientaliste.

Sarebbero miliardi buttati nei rifiuti come quelli per l'Alitalia o quelli del suberbonus 110% di Conte e del suo governo giallorosso.


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