Lo potremmo inserire senza stonare tra gli imbalsamati gerontocrati sovietici (Brezenv, Andropov, Gorbachev, Gromiko) mentre assistevano alla parata del primo maggio sulla piazza rossa.
E se, come sostenevano i greci antichi, l’aspetto esteriore corrisponde a quello interiore, possono cambiarsi il nome mille volte, ma i comunisti restano tali, sempre.
Che simili tesi di carattere lombrosiano abbiano una qualche fondatezza lo possiamo ricavare dalle notizie giunte ieri dal pci/pds/ds/pd e dalla cgil.
Bersani ha tenuto una conferenza stampa in cui ha illustrato il suo piano economico.
Articolato su vari punti, almeno uno è apparentemente positivo: le liberalizzazioni e privatizzazioni.
Essendo però molto generico, non vorrei si trattasse di svendere ciò che non interessa (come fece Prodi) e trattenere invece ciò che è utile per le proprie clientele (leggi Rai).
L’impianto generale, però, è la classica, giacobina proposta tesa non a tagliare le spese, bensì ad impoverire i risparmi degli Italiani, dando ragione al mio amico Starsandbars che da tempo sostiene che i comunisti amano a tal punto i poveri da volerne aumentare il numero, rendendoci tutti poveri.
Contrario ad ogni principio di affidabilità è la proposta di tassare i capitali rientrati in Italia sotto la garanzia dello “scudo” e mediante il pagamento di una percentuale che tale doveva essere e tale deve restare.
Altrettanto punitiva la pretesa di una nuova asta delle frequenze televisive, una autentica norma contra personam, che vorrebbe riaprire un discorso chiuso, violando quindi ogni certezza nei rapporti giuridici tra lo stato ed i privati che, in tal modo, non possono fare alcun affidamento sugli impegni dello stato, quindi non possono avere convenienza ad investire vista l’incertezza sulla stabilità delle leggi.
In questo modo il pci/pds/ds/pd non fa altro che incentivare la sfiducia verso le istituzioni, legittimando quanti esplorano le più diverse strade per salvare il proprio patrimonio, reddito e risparmi.
A ben vedere è con tale tirannia fiscale che si stimola quella evasione che, a parola, si vorrebbe combattere, ma nei fatti si alimenta.
Lasciamo perdere la solita demagogia delle tasse sui “grandi”patrimoni che, alla fine, si scoprono essere essenzialmente quelli del ceto medio e passiamo alla cgil che ha proclamato lo sciopero generale per il 6 settembre.
Un comportamento alla greca che può solo accelerare, invece di evitare, il traguardo del fallimento.
Stupisce che nel secondo decennio del terzo millennio ci sia ancora un sindacato che crede di risolvere i problemi proclamando uno sciopero generale, bloccando la produzione, creando disagi e facendo perdere a chi vi aderisce una parte del proprio stipendio.
Lo sciopero generale e le tasse sono la vecchia strada della prima repubblica che ci ha regalato 1900 miliardi di euro di debito pubblico, elargendo soldi nostri alle più disparate categorie e rendendo oltremodo difficile tornare ad una gestione virtuosa della spesa pubblica.
Perchè ogni volta in cui si pensa di ridurre le spese si devono toccare i benefici accordati a questi o a quelli che insorgono trovando sempre qualche comunista disposto a perpetuare strumentalmente lo stato di agitazione.
Così, al fianco di Bersani, sulla piazza rossa, assieme agli incartapecoriti gerontocrati sovietici, anche la Camusso non rappresenterebbe alcuna stonatura.
Una vera rinascita nazionale parte dalla riduzione delle tasse, dall’abbattimento della spesa pubblica, ma anche dal denunciare il ridicolo delle ammuffite ricette dei Bersani e delle Camusso.
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