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No alla deriva

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10 aprile 2012

Nel finanziamento pubblico dei partiti il Male è nel "pubblico"

A Roma (quella Antica, Nobile e Vera) entrare in politica (cioè conquistare una magistratura, ma anche essere senatore) rappresentava un costo.
Bisognava pagare i propri clientes, organizzare circenses e avere un censo, in terreni, il cui mantenimento era talmente costoso che molti senatori, per restare tali, impoverivano rapidamente le finanze della Famiglia perché il reddito della terra non era sufficiente a compensarne i costi.
Per questo motivo, raggiunta una carica, si cercava di ottenere, più o meno legalmente, da essa un rimborso, con gli interessi, per quanto si era speso.
Abnegazione e spirito di servizio, sì, ma pirla completi, proprio no.
Nel tempo, la politica, la carica pubblica, rappresentò la creazione di un nuovo potere, fondato non più sui nobili lombi, bensì sulla forza della borghesia produttiva e ricca.
Anche in questo caso, però, la carica politica serviva allo scopo di dare una mano di nobiltà ad un casato emerso dal Popolo e se nel frattempo si riuscivano a stringere alleanze commerciali e finanziarie, tanto meglio.
La Serenissima Repubblica di Venezia ha rappresentato, in questo senso, l’esempio più calzante, con una gloriosa storia di conquiste e di crescita fondate su un sistema retto da un Doge elettivo, tra suoi pari, cioè le famiglie di commercianti più ricche che, nel tempo, sono anche diventate la nobiltà di San Marco.
Questo equilibrio tra ricchezza di base e chi partecipava alla vita pubblica che, ancora, aveva una parvenza di onorevole servizio (ancorchè mai disinteressato) si è rotto quando, con il suffragio universale, sono prepotentemente entrati nella lotta politica gli uomini dei ceti più umili, raccolti nei partiti socialisti e quindi anche confessionali.
Venivano eletti spesso grazie all’apparato burocratico del partito/sindacato o alle parrocchie che si mobilitavano per loro, unici in grado di contrapporsi alla capacità di spesa dei borghesi.
Gli uomini, si sa, sono deboli e la possibilità di far, indirettamente, soldi con una semplice appalto o una leggina, è una calamita per tutti.
Per chi ha soldi, perché non bastano mai, per chi non ne ha, perché l’occasione fa l’uomo ladro e non si disdegna la possibilità di arricchirsi, portando la propria famiglia fuori dalle ristrettezze.
In ogni caso, la possibilità di arricchirsi o, solo, di migliorare la condizione economica propria e della famiglia, non era direttamente legata all’incasso di soldi pubblici, ma alle conoscenze e alle “bustarelle” che si potevano ottenere favorendo questo o quello in forza delle propria posizione elettiva.
Era così anche nell’Italia moderna, finchè i primi scandali emersi (“fondi neri”) o l’inaridirsi delle fonti di finanziamento "ideologico" (“l’oro di Mosca”) non indusse, tutti d’accordo, i partiti a regalarsi un finanziamento pubblico, per legge.
Altri scandali portarono un referendum abrogativo a cancellare quella norma con il 90% dei voti favorevoli.
I partiti rivoltarono la frittata e, “rispettando” formalmente la volontà popolare, trasformarono il finanziamento pubblico in rimborsi spese.
Lo fecero così bene che per ogni euro di spesa ne incassano quattro, con una redditività del 400% dell’ “investimento” (le spese), livello che nessuna azienda commerciale riuscirebbe mai ad immaginare.
E quelli sono tutti soldi pubblici, soldi nostri, ricavati dalle nostre tasse che Bin Loden Monti ha provveduto ad aumentare in questi mesi (come prevedibile senza apprezzabili risultati paroganabili ai sacrifici visti i risultati odierni di borsa e spread ...).
Cosa può fare una organizzazione che riceve denaro in misura quattro volte superiore a quello che spende per l’attività sociale ?
Provvede a beneficiarne i soci, a cominciare da quelli che ne controllano le decisioni.
Del resto una libera associazione privata, come è un partito, ha diritto a disporre dei finanziamenti che riceve come decidono i suoi organi direttivi, senza interferenze da parte di controllori esterni che potrebbero anche decidere non in base a criteri contabili, ma per far prevalere le loro personali idee, che potrebbero essere in contrasto con quelle del partito che controllano.
Bersani e Casini, odierni epigoni di quei partiti socialisti e confessionali, spaventati dai casi Lusi e Belsito, consapevoli che anche i loro partiti percepiscono rimborsi quattro volte superiori alle spese, hanno convocato Alfano (che dice sempre “sì” …) e, tutti assieme, stanno tentando di mettere al riparo il finanziamento pubblico, magari con qualche effetto speciale, che ne “garantisca” la trasparenza e la correttezza dell’utilizzo.
Ma il problema non è nei sistemi di controllo, anche perché un partito politico deve essere libero di svolgere la sua attività senza vincoli imposti da terzi, bensì proprio nella fonte pubblica dei soldi che arrivano nelle casse dei partiti.
Uomini ladri, tesorieri maneggioni, ci saranno sempre e sempre faranno leva sui sentimenti di orgoglio, egocentrismo e autostima dei leaders, che certo non vogliono essere inferiori ai loro omologhi e così se uno ha una villa in Sardegna, un altro risponde con un appartamento a Montecarlo (magari .
Se, quindi, continuerà ad affluire denaro pubblico nelle casse dei partiti (anche ridotto del 75% rispetto ad oggi) quello sarà sempre ripartito in modo che i dirigenti nulla abbiano a rimetterci: avete mai visto un politico povero ? Io no.
L’unica alternativa è chiudere i rubinetti del finanziamento pubblico e costringere i partiti a vivere “del loro”, cioè dei contributi dei privati, dell’autofinanziamento degli iscritti e degli eletti e dei militanti.
Sarebbe un imbroglio che perpetuerebbe l’attuale stato di cose anche l’attribuzione di un “per mille” tratto dalla dichiarazione dei redditi, perché sarebbero comunque soldi dei contribuenti.
Un partito, come un giornale o qualsivoglia altra attività, non deve basarsi sul contributo pubblico, ma sui finanziamenti privati e sulla capacità di vendere i propri prodotti che, nel caso dei partiti, sono le idee e la capacità di realizzarle.
L’unica alternativa a questi cicliche vicende che probabilmente non sono reati, ma malcostume sicuramente sì, è la abolizione tout court di ogni finanziamento ai partiti fatto con soldi pubblici.
Ogni altra soluzione che contempli la continuazione del flusso di denaro dalle nostre tasche alle casse dei partiti per il tramite dello stato, vorrebbe dire lasciare le cose come stanno e porre le premesse per future, analoghe vicende.
Che, infatti, cambiare modalità non sia un gran danno per i partiti, lo dimostra la velocità con la quale Bersani e Casini si sono attivati per rendere la legislazione “più trasparente mantenendo però il finanziamento pubblico e senza minimamente pensare ad abolirlo per tornare a raccogliere fondi tra i privati in base alle proprie idee e capacità.
Anche questa è una piccola furbizia che deve formare oggetto di riflessione per decidere a chi dare il voto. 

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