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No alla deriva

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10 agosto 2005

Calcio all'americana

Come stile ?
Come diffusione ?
Come prodotto ?
No, come regole di partecipazione ai campionati.

L’amico Freedomland ha prodotto una serie interessantissima di schede sulle squadre di calcio, partendo dalla Juventus campione d’Italia per arrivare, attraverso Milan e Inter , alle formazioni “terrestri” del calcio italiano.

Salta subito agli occhi che tutte le squadre, ma soprattutto le prime tre della classe, hanno caratteristiche multinazionali.
Gli italiani sono pochi, spesso non sono neppure presenti nella ipotetica formazione titolare se non in feroce competizione con uno straniero.

La sentenza Bosmann è stata deflagrante per il calcio.
Equiparare i calciatori a lavoratori dipendenti mi è sempre sembrato una forzatura.

Il risultato è che chi può permettersi di spendere, può permettersi anche di pagare osservatori e ridurre il rischio di acquistare un bidone, ancorché col nome straniero o negro di pelle.

Questo ha determinato un divario sempre più accentuato tra le prime tre della classe e le altre squadre che, una volta, pure riuscivano a inserirsi e a vincere o arrivare vicino alla vittoria dello scudetto (il Bologna di Bulgarelli, il Cagliari di Riva, il Verona di Galderisi, tutte scudettate e il Vicenza di Rossi solo secondo).
Negli ultimi dieci anni solo le romane sono riuscite ad inserirsi tra Milan e Juventus (l’Inter non vince, ma credo che ciò sia da attribuire a motivi diversi che non alla mancanza di soldi ……) rischiando poi una brutta fine avendo speso più di quanto potessero permettersi.

Ma la piazza vuole il “nome” straniero a tutti i costi e il presidente compra il primo “Paulo Roberto Cotechino” che trova sul mercato, oppure rincorre vecchi campioni alla ricerca di squadre dove poter continuare ad essere i primi della lista e dove tutto è costruito su di loro e tutti giocano per loro, senza preoccuparsi del vivaio.

Da qui anche i non esaltanti risultati della nazionale.

Quale alternativa, dunque ?

Un campionato senza retrocessioni, nel quale le varie serie siano composte in base a parametri specifici che possano garantire ad una società, liberata dall’obbligo del non retrocedere, di programmare a lungo termine, investendo sul vivaio (con beneficio per i propri bilanci e della nazionale) e potendosi quindi in prospettiva presentarsi competitiva anche per lo scudetto.

La fine dell’assillo della retrocessione, infatti, consentirebbe di rinunciare a pagare ingaggi stratosferici a campioni avviati sul viale del tramonto, per dirottare risorse sui giovani e sul loro addestramento, giovani che, nel volgere di qualche anno, potranno formare una squadra in grado di competere ad alto livello, rendendo il campionato stesso più appassionante.

Una simile norma costringerebbe anche i grandi clubs a rivedere la loro politica di acquisti esterofili, per limare le uscite di bilancio, e a organizzare a loro volta un vivaio degno di questo nome, legando ancor più la squadra alla città, visto che il vivaio dei futuri giocari sarà necessariamente e prevalentemente composto da ragazzi di quella specifica città.

Ma quali i parametri da prendere in esame ?

Non possono che derivare sia dai titoli sportivi acquisiti in un secolo (poco più) di storia del calcio, che da considerazioni oggettive di bilancio, di bacino di utenza, quindi di capacità di sostenere, con l’autofinanziamento derivante anche dalla cessione dei diritti televisivi, l’organizzazione di un club di serie “A”.

Così:
- il numero di partecipazioni ai campionati di serie “A”
- gli scudetti vinti
- il numero dei tifosi
- la regolarità dei bilanci
- la solidità della struttura societaria
- la disponibilità e la capienza di uno stadio adeguato ad un pubblico numeroso
- la omogenea rappresentanza per tutto il territorio nazionale
sono tutti elementi che possono entrare nei parametri per far parte della serie “A”.

E se risultassero possedere simili requisiti ben più delle attuali 20 squadre che formano la serie “A” ?

Nessun problema: due gironi, con play off.

Probabilmente ne guadagnerebbe lo spettacolo e il calcio stesso, anche quello in azzurro.

3 commenti:

Il Temporeggiatore ha detto...

Forse un campionato con play off sarebbe meglio.
La mancanza di retrocessioni priverebbe il campionato di una parte di interesse per le squadre di bassa classifica, ma, effettivamente, consentirebbe una programmazione a lungo termine.
Io comunque punterei sulla revisione della legislazione societaria relativa alle società sportive, caratterizzandole per la loro specificità.

Simone Bressan ha detto...

grazie per i link,concordo in pieno!

il modello nba sarebbe auspicabile, anche se là la selezione dei giovani avviene con meccanismi che tendono a riequilibrare le squadre.
Certo è che squadre che lavorano per il futuro in italia ce n'è poche.
L'ultima volta che vidi Guidolin mi disse: il giocatore più forte che io abbia mai allenato è Meghni,peccato che nè lui nè i suoi procuratori nè il bologna abbiano la pazienza di aspettarlo.
E' tutto dire.

Massimo ha detto...

Guidolin, un grande allenatore, ma sempre poco gradito alle tifoserie.
Però su Mehni avrei qualche dubbio.
Ha dei momenti di grande calcio, ma, appunto, sono solo momenti ....