Un binomio inscindibile.
Lo si vede dalle reazioni che suscita ogni proposta che ponga un po’ più in alto l’asticella dello sbarramento.
Lo si capisce dal fatto che, se possibile, ognuno tende a far prevalere lo spirito identitario su quello aggregante.
Nei paesi anglosassoni, di consolidata e avanzata democrazia, il problema non si pone, anche se pure esistono “terze forze” che raccolgono consensi anche significativi numericamente, perché ci sono Valori comuni che si sintetizzano nell’interesse nazionale e in una politica estera che lo rappresenta e che non ha soluzioni di continuità nel passaggio da un partito ad un altro.
In Francia il bipartitismo è imposto da un sistema elettorale voluto, con saggia preveggenza da Charles De Gaulle.
Il doppio turno inquina il risultato del maggioritario secco e rende il bipartitismo meno efficace, ma obbliga necessariamente ad accordi, meglio se preventivi.
Mi ricordo che spesso nelle politiche francesi i candidati comunisti e socialisti da una parte, gollisti e centristi dall’altra si presentavano in proprio al primo turno, con l’accordo che al secondo sarebbe rimasto solo chi, all’interno dei due poli, avesse avuto il risultato migliore, facendo l’altro confluire i voti sul primo.
Immaginate cosa accadrebbe se questo sistema dovesse essere applicato con i risultati dle primo turno di domenica scorsa: scomparirebbero i centristi di Bayrou che, pertanto, per sopravvivere devono cercare un accordo che garantisca loro una certa quota di parlmanetari alle prossime elezioni.
In Italia, invece, rimane molto forte lo spirito identitario, anche perché il consociativismo della prima repubblica ha favorito le clientele, per anche chi poteva contare su un radicamento forte in un ambito territoriale limitato, poteva dettare le sue condizioni, ritagliandosi una fetta della torta.
A questo si è cercato di porre rimedio con la riforma derivante dal referendum del 1992, che peraltro manteneva una quota del 25% di proporzionale e non liberava, come si vide nel 1995 e nel 1998 dai ribaltoni.
Con la riforma del 2005 si è invece inteso riconoscere lo spirito identitario che caratterizza la nostra politica, salvaguardando il principio del bipartitismo e legando anche la stabilità del governo alla Riforma Costituzionale poi respinta nel referendum.
Adesso un nuovo giro, dove ognuno cerca di ottenere la legge elettorale più favorevole ai propri interessi.
I partiti maggiori sono in una botte di ferro.
Comunque vada è intorno a loro che si costituiscono le alleanze.
Purchè non si ritorni al proporzionale puro che darebbe ai piccoli partiti un potere di ricatto e, quindi, creerebbe stallo nella progettualità ppolitica.
In sostanza i movimenti cui assistiamo in questi giorni sono strettamente legati al sistema elettorale che si andrà a scegliere.
Là dove si dovesse optare per una legge elettorale che, premiando in qualche modo il partito più votato, dovesse spostare il bilanciere verso una sorta di maggioritario o di sbarramento alto (purchè non sia la buffonata del 5% … fra due legislature !), allora avrebbe un senso il processo di aggregazione nei partiti unitari.
Se, invece, si dovesse procedere solo ad un piccolo ritocco (ad esempio il premio di maggioranza nazionale anche per il senato) alla legge attuale, allora sarebbe preferibile che ogni identità sia conservata nella sua casa di origine, per confluire poi nella Coalizione e realizzare non un sistema bipartitico, ma bipolare.
Personalmente sono per il maggioritario secco e per il partito unitario delle Libertà.
Lo si vede dalle reazioni che suscita ogni proposta che ponga un po’ più in alto l’asticella dello sbarramento.
Lo si capisce dal fatto che, se possibile, ognuno tende a far prevalere lo spirito identitario su quello aggregante.
Nei paesi anglosassoni, di consolidata e avanzata democrazia, il problema non si pone, anche se pure esistono “terze forze” che raccolgono consensi anche significativi numericamente, perché ci sono Valori comuni che si sintetizzano nell’interesse nazionale e in una politica estera che lo rappresenta e che non ha soluzioni di continuità nel passaggio da un partito ad un altro.
In Francia il bipartitismo è imposto da un sistema elettorale voluto, con saggia preveggenza da Charles De Gaulle.
Il doppio turno inquina il risultato del maggioritario secco e rende il bipartitismo meno efficace, ma obbliga necessariamente ad accordi, meglio se preventivi.
Mi ricordo che spesso nelle politiche francesi i candidati comunisti e socialisti da una parte, gollisti e centristi dall’altra si presentavano in proprio al primo turno, con l’accordo che al secondo sarebbe rimasto solo chi, all’interno dei due poli, avesse avuto il risultato migliore, facendo l’altro confluire i voti sul primo.
Immaginate cosa accadrebbe se questo sistema dovesse essere applicato con i risultati dle primo turno di domenica scorsa: scomparirebbero i centristi di Bayrou che, pertanto, per sopravvivere devono cercare un accordo che garantisca loro una certa quota di parlmanetari alle prossime elezioni.
In Italia, invece, rimane molto forte lo spirito identitario, anche perché il consociativismo della prima repubblica ha favorito le clientele, per anche chi poteva contare su un radicamento forte in un ambito territoriale limitato, poteva dettare le sue condizioni, ritagliandosi una fetta della torta.
A questo si è cercato di porre rimedio con la riforma derivante dal referendum del 1992, che peraltro manteneva una quota del 25% di proporzionale e non liberava, come si vide nel 1995 e nel 1998 dai ribaltoni.
Con la riforma del 2005 si è invece inteso riconoscere lo spirito identitario che caratterizza la nostra politica, salvaguardando il principio del bipartitismo e legando anche la stabilità del governo alla Riforma Costituzionale poi respinta nel referendum.
Adesso un nuovo giro, dove ognuno cerca di ottenere la legge elettorale più favorevole ai propri interessi.
I partiti maggiori sono in una botte di ferro.
Comunque vada è intorno a loro che si costituiscono le alleanze.
Purchè non si ritorni al proporzionale puro che darebbe ai piccoli partiti un potere di ricatto e, quindi, creerebbe stallo nella progettualità ppolitica.
In sostanza i movimenti cui assistiamo in questi giorni sono strettamente legati al sistema elettorale che si andrà a scegliere.
Là dove si dovesse optare per una legge elettorale che, premiando in qualche modo il partito più votato, dovesse spostare il bilanciere verso una sorta di maggioritario o di sbarramento alto (purchè non sia la buffonata del 5% … fra due legislature !), allora avrebbe un senso il processo di aggregazione nei partiti unitari.
Se, invece, si dovesse procedere solo ad un piccolo ritocco (ad esempio il premio di maggioranza nazionale anche per il senato) alla legge attuale, allora sarebbe preferibile che ogni identità sia conservata nella sua casa di origine, per confluire poi nella Coalizione e realizzare non un sistema bipartitico, ma bipolare.
Personalmente sono per il maggioritario secco e per il partito unitario delle Libertà.
Realisticamente ritengo la legge Calderoli la migliore legge elettorale per quello che è l’Italia (con quel correttivo sul premio di maggioranza al senato) perché consente ad ognuno di votare soddisfatto per la propria identità, senza “turarsi il naso”, dando comunque un voto utile perché confluisce nella Coalizione rappresentata da un Leader.
2 commenti:
Il premio di maggioranza su base nazionale al Senato (all'epoca respinto dalla Corte) è indispensabile.
A questo aggiungerei la reintroduzione delle preferenze.
Il futuro di un paese moderno resta l'ambizioso sistema bipartitico, attraverso il passaggio bipolare.
Per questo spero che il P.delle Libertà possa concretizzarsi quanto prima.
E con esso anche il P.Democratico della sinistra.
Abbracci
Il bipartitismo funziona e mantiene un elevato grado di democrazia solo se esistono organizzazioni (fondazioni, associazioni, centri di studio, etc.) che permettono il raccordo tra elettorato e i due partiti (in proposito si veda il sistema USA).
In Italia è difficile pervenire in tempo breve a tale sistema, da me spesso proposto, per un miliardo di motivi.
Clientelismo, regionalismo se non provincialismo (UDEUR docet), assenza di una cultura politica (AN lo sa iddio che pesce è, FI è Berlusconi e basta), furbacchionerie (il PD è frutto di uno dei più clamorosi falsi elettorali in seno ad un partito, anzi a due, DS e la Margherita), etc.
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