Quando il Ministro degli Interni Matteo Salvini, indagato per aver difeso i confini della della Patria (la qual cosa rende lo scontro con la magistratura ben differente da quanto accadde con Craxi e Berlusconi cui erano stati attribuiti reati comuni e finanziari) reagì ricordando ai magistrati che lui era stato votato da milioni di Italiani per fare proprio quello per cui era stato indagato mentre loro avevano solo superato un concorso pubblico, insorsero le anime belle della sinistra, capeggiate da Mattarella, per strologare, con articolati sermoni, sulla divisione dei poteri come cardine di ogni democrazia e quindi intimare a Salvini di lasciarsi massacrare, magari offrendo l'altra guancia.
Oggi non un magistrato qualunque, ma il presidente della loro associazione, interviene contro il disegno di legge sulla legittima difesa.
Un disegno di legge, peraltro, molto blando, molto lontano dall'efficacia del Secondo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti e che neppure si avvicina a quello che dovrebbe il riconoscimento di un diritto inalienabile, naturale per ogni Uomo Libero: il libero possesso di un'arma da usare per difendere persone e proprietà.
Ciononostante il capo dei magistrati pretenderebbe che il disegno di legge fosse accantonato, contro quello che, invece, è il sentimento popolare dimostrato dalla grande solidarietà che, ogni volte, accompagna quei cittadini onesti che, vittime di rapine, aggresioni e furti, reagiscono abbattendo qualche criminale, mettendo in fuga i complici e poi vengono, loro, indagati.
Non ho però ascoltato nessun vibrante discorso di Mattarella e nessuno di quei Soloni pronti a fare il predicozzo a Salvini, che ricordassero ai magistrati che loro devono limitarsi ad applicare le leggi, TUTTE, le leggi che dovessero essere approvate dal parlamento eletto dal Popolo.
La divisione dei poteri non prevede, infatti, che le leggi debbano essere approvate dopo il nihil obstat dell'associazione dei magistrati.
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