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No alla deriva

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23 settembre 2007

Un no convinto all’accordo su welfare e pensioni

In questi giorni iniziano le assemblee dei lavoratori dipendenti (e dei pensionati ... ?!?) che porteranno l’8, il 9 e il 10 ottobre al referendum della triplice che dovrebbe mettere il sigillo sull’accordo del 23 luglio scorso, primo passo verso una controriforma delle pensioni e del mercato del lavoro.
Il referendum ha un esito scontato: vinceranno i “sì” nonostante molti lavoratori voteranno “no”.
E vinceranno i “sì” perché a fronte del “no” annunciato dalla FIOM CGIL e del “ni” della UILM/UIL la nomenklatura della trimurti metterà in campo i suoi legionari, i pensionati.
I pensionati che hanno rappresentato il nucleo portante di tutte le manifestazioni sindacali che nel quinquennio di Berlusconi Presidente del Consiglio hanno cercato di ostacolarne l’azione riformatrice.
E già la presenza dei pensionati su un accordo che riguarda – in termini di costi – i soli lavoratori attivi è una anomalia che viene giustificata dalla nomenklatura sindacale con la presenza di norme che interessano direttamente i pensionati.
Si sentono le unghie graffiare il vetro, perché i pensionati sono sì interessati, ma esclusivamente per incassare.
Ma a parte queste amenità, l’accordo è vantaggioso per i lavoratori ?
Sicuramente lo è per chi nel 2008 compirà i fatidici 35 anni di anzianità e 58 di età.
Con la Riforma Maroni non sarebbe andato in pensione, con la controriforma catto-comunista, sì.
Analogamente si può dire di chi avrà un rapporto 35/60 o 36/59 dal 1° luglio 2009 e 35/61 o 36/60 dal 1° gennaio 2011.
Il vantaggio si ferma qui.
La celebrata Cgia di Mestre ha calcolato che in anticipo rispetto alla Riforma Maroni, sarebbero 100.000 i lavoratori che potrebbero andare in pensione.
Centomila su venti milioni, lo 0,5% del totale.
A fronte di questo “vantaggio”, ci sono i costi che la controriforma produce e che verrebbero recuperati con svantaggi per chi resta.
A cominciare dai coefficienti di trasformazione, quel meccanismo infernale che calcola la rivalutazione della pensione per chi sarà soggetto al metodo contributivo, in base a vari elementi, il principale dei quali è l’aspettativa di vita che, come tutti sanno, per noi Occidentali è in progressivo innalzamento (per fortuna).
In sostanza con tale meccanismo più si calcola che si può vivere a lungo, più bassa è la tua pensione perché più a lungo te la si deve pagare.
Così vediamo che, oltre a disporre la revisione dei coefficienti ogni tre anni anziché ogni dieci come attualmente in essere, già il primo passo (nel 2010) porterà (dati reperibili sul sito della Cisl) a questi risultati:
chi andrà in pensione a 57 anni vedrà scendere il proprio coefficiente da 4,720 a 4,419
58 anni: da 4,860 a 4, 538
E così via fino ai
65 anni: da 6,136 a 5,620.
Poi, però, chi vota “sì” e va in pensione non si deve lamentare se “non si arriva a fine mese”.
Ma l’aspetto più grave dell’accordo del 23 luglio è che, a fronte di costi certi, dopo che la situazione dei conti previdenziali era stata sistemata dalla Riforma Maroni, non vi sono garanzie di effettivi benefici per i lavoratori.
Il punto che, tra i colleghi, sento maggiormente apprezzato è il ripristino delle 4 finestre di uscite per chi raggiunge i 40 anni di anzianità.
MA NON E’ SICURO.
Lo stesso segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni, nel presentare sul suo sito l’accordo scrive: “Il governo e le parti sociali costituiranno, inoltre, una commissione allo scopo di esaminare:
- la possibilità di estensione delle attuali due a quattro delle finestre utili per il pensionamento anticipato con il requisito contributivo dei 40 anni
…”
La possibilità, nulla è acquisito e nel testo dell’accordo si dice che, applicando le finestre anche per la pensione di vecchiaia (danno per quei lavoratori) il costo dovrà essere nullo.
Per chi si fida del conti di Prodi e Padoa Schioppa …
C’era bisogno di un accordo di 30 pagine con altrettante di grafici e slides per rimanipolare quel che era già acquisito dalla Riforma Maroni, cioè la stabilizzazione dei conti previdenziali ?
E perché, invece, non agire sul fronte del sistema di calcolo della pensione (retributivo vs. contributivo) o parificando l’età pensionistica delle donne e degli uomini, magari ad una età intermedia tra i 60 e i 65 anni ?
Mettendoci, in tal modo, veramente alla pari con la tanto citata “europa”.
Ma quei provvedimenti avrebbero agevolato i più giovani e la triplice sindacale è composta in prevalenza di pensionati e di lavoratori anziani che, ovviamente, guardano al proprio immediato tornaconto, senza considerare che è dall’occupazione futura che sono garantite le nostre pensioni e lasciare in eredità situazioni di pesantezza di bilancio e di sperequazione nei trattamenti non le garantisce affatto.
Questi, in sintesi, i motivi che mi inducono ad invitare i lavoratori che leggessero questo post a non farsi incantare dalle sirene sindacali, suonate da affabulanti conversatori di assemblee ed a votare dopo essersi posta la domanda: mi conviene ?

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3 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi conviene ? No. Per me, con 21 anni di anzianità, con 19 anni ancora (salvo modifiche legislative) no, perchè subirei 6 revisioni dei coefficienti, tutti presumibilmente al ribasso e mi ritroverei con una pensione che sarebbe pari al 40% di quella che hanno quelli che vanno oggi in pensione. Perchè quindi dovrei votare per mandarli in pensione a mie spese ? Sarebbe giusto farlo sapere in giro, ma c'è una cappa soffocante e non credo che le assemblee consentiranno di esprimere liberamente le idee contrarie anche perchè l'ultima parola spetta a chi è favorevole e con le parole, come con i numeri si può facilmente imbrogliare le carte.

marshall ha detto...

Come dire: un bel modo per mettere la generazione dei giovani contro quella dei vecchi. Un bel modo per far sì che i giovani augurino una rapida dipartita (alla faccia dell'allungamento della vita) ai vecchi. Un bel modo, insomma, per incrementare il settore augurale. E tutto questo alla facciaccia dei nostri superintelligentoni della triplice.
Diomio, quanto interesse personale dei sindacati, in questa vicenda, e quanto, invece, poco interesse per la pacifica convivenza tra le diverse generazioni future. Oltre alla dimostrazione di disinteresse per i disastri che si verranno a sommare nei conti dello stato.

Evviva l'intelligenza!

Bruno ha detto...

Il problema è che pochi si chiedono COSA VOTARE!!!! Mi è capitato di accompagnare mio padre a votare e di vedere uomini davanti ai cartelloni con le liste, al cellulare chiedendo alle mogli cosa votare... io lo trovo semplicemente assurdo e demenziale.