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No alla deriva

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11 gennaio 2008

Le mani di Prodi sui nostri risparmi

L’ultima spiaggia di Prodi e dei suoi sodali è la riduzione delle tasse.
I sindacati che furono complici della prima finanziaria di Prodi, quella che ha aumentato di due punti il prelievo fiscale, impoverendo stipendi e pensioni, hanno captato la rabbia del Popolo e hanno implorato i loro referenti politici, quelli del “governo amico” di sinistra, di ascoltarli e ridurre le odiate tasse.
Ma i soldi se li sono già sputtanati nei mille rivoli delle loro clientele.
Allora ecco che tentano, con la complicità questa volta di una stampa allineata e per nulla indipendente, di generare consenso con l’effetto annuncio: diminuiremo le tasse sui salari bassi.
Ma ecco anche rispuntare l’anima pauperista, quella che vuole tutti gli italiani più poveri per poterci controllare meglio, che rilancia l’aumento della tassazione di quelle che loro chiamano rendite e che, invece, altro non sono che il giusto frutto del poco risparmio che si riesce a conseguire, spesso si tratta dei risparmi di una vita di rinunce e di sacrifici.
Quanti sono i pensionati che hanno un piccolo patrimonio in bot, titoli di stato, obbligazioni grazie al cui rendimento riescono a far quadrare i conti del mese ?
Contro queste persone, che meriterebbero ben altre attenzioni, si rivolge l’avidità del fisco prodiano che si propone una infame partita di giro: ridurre – di una miseria – l’imposizione, probabilmente solo su una quota marginale di cittadini e in cambio sfilare altro denaro dalle nostre tasche, con la scusa della unificazione delle aliquote sulle rendite finanziarie che, e non è certo un caso, consentiranno ai rapaci gabellieri della sinistra di incassare più di quanto restituiranno del maltolto.
Ma c’è un’altra parola d’ordine della sinistra che è tipica del comunismo: redistribuzione del reddito.
Tutto questo significa che a chi produce, a chi lavora, a chi, quindi, giustamente, dovrebbe veder trasformata questa sua produttività in moneta sonante, verrà sottratto il suo giusto guadagno per ridistribuirlo a chi, per motivi vari, anche sfortuna, ma anche indolenza, non produce e aspetta solo di campare sulle spalle altrui.
Comunismo, e della peggior specie, allo stato puro: rendere tutti uguali al più basso livello possibile, tranne, ovviamente, la nomenklatura composta da funzionari di partito e simili.
L’imbroglio che Prodi e i suoi sodali perpetrano nei confronti dei cittadini italiani, anche e soprattutto di coloro che li hanno stoltamente e incautamente votati, non può passare sotto silenzio solo perché il 90% dei media sono asserviti a questa coalizione, ma deve trovare nell’unica voce di libertà diffusa in rete una vasta eco.
Sia chiaro: con Prodi e i suoi sodali continueremo a diventare tutti più poveri e gli unici ad arricchirsi saranno solo i poteri forti e i funzionari di quella casta politica che ha dimostrato la più totale inefficienza e della cui “competenza” il fallimento della gestione dei rifiuti campani è solo la punta di un iceberg.

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10 commenti:

marshall ha detto...

E' solo una manovra di facciata; gli investitori guardano il rendimento netto, e quindi dovranno aumentare il rendimento per pareggiare la maggior tassazione. Per quanto riguarda le azioni, stiamo assistendo allo sgretolamento del listino: ben pochi pagheranno imposte sul capital gain, quest'anno.

gabbianourlante ha detto...

adesso la strategia x l'anno nuovo è : diciamo alla gente le cose buone che facciamo!
15 giorni fa l'avevano sfiduciato ed ora tornano a baciarlo.
che vergogna.
ciao

Anonimo ha detto...

caro marshall, purtroppo, sicuramente in buona fede, ti sbagli.
sono anni che io e altri cultori della materia cerchiamo di divulgare informazioni sul rapporto fisco-risparmio.
se hai un pò di tempo da perdere, posto un paio di articoli e alcuni link.

Tassare la rendita: un assurdo dalle conseguenze negative disastrose


[Voglio postare questo premonitore articolo di qualche anno fa dell’ottimo Luciano Priori Friggi. L’articolo è ormai presente solo sul forum
http://www.tradersxsempre.com/public/forum/index.php?showtopic=1253&pid=135606&mode=threaded&start=
e non voglio che vada perduto. Sono particolarmente legato a questo scritto perché la sua lettura mi indusse a rimettermi, dopo anni di silenzio, a pubblicare articoli e saggi di politica economica e fiscale.
Avv. Filippo Matteucci]



In pochi probabilmente ricorderanno il polverone sollevato negli anni Settanta dal tema "alleanza dei produttori" contro la rendita parassitaria (locuzione dall'infinito fascino per chiunque si avventuri a parlare di "giustizia sociale"). Se ne discusse a lungo, ovviamente senza costrutto e, a prima vista, senza alcun risultato concreto. Visto che le borse in quegli anni andavano malissimo -nel '78 si tocco' il punto piu' basso di un lungo canale discendente che era partito all'inizio degli Sessanta, con l'avvio dell'esperimento del centrosinistra- la questione era oltretutto anche ridicola, dato che dall'investimento in azioni di guadagni se ne vedevano pochi. Ma l'obiettivo era un altro, erano i titoli di stato, gli unici che un quel momento sembrava guadagnassero.

La situazione economica allora era questa: grande recessione dovuta all'esplosione dei prezzi dell'energia (in seguito al conflitto arabo-israeliano) e grande inflazione. Per tappe successive si arrivo' ai primi anni ottanta ad un livello di incremento dei prezzi annuo del 25% circa. I titoli a breve arrivarono al massimo a rendere il 20-21%. La rendita da combattere in pratica era dunque una perdita secca in conto capitale pari al 4% annuo. Di fronte a debiti pubblici rilevanti una delle tecniche usate dai governi e' l'uso della moneta per decrementare con l'inflazione il valore del debito. E' cio' che si fece allora in Italia ed e' cio' che si e' fatto a lungo negli anni novanta in Argentina. A rimetterci i risparmiatori, soprattutto i piccoli, come sempre. Anche se -data l'ignoranza in fatti economici- ancora c'e' qualcunio che rimpiange quei rendimenti nominali che in realta' non riuscivano neppure a mantenere intatto il capitale.

Se non si puo' stampare moneta a piacimento (o dichiararsi insolventi, Argentina ancora docet) per tosare il risparmio (il discorso in questa sede si limita a considerare i soggetti deboli, cioe' la massa dei piccoli risparmiatori) si deve ricorrere alla tassazione. Negli anni Novanta in Italia e' stata introdotta la tassazione del Capital Gain. E' una tassa ingiusta. Intanto perche' per investire in qualche strumento finanziario bisogna prima aver generato un risparmio e quindi aver gia' subito una tassazione come reddito e poi perche' ad un guadagno corrisponde sempre una perdita (questo e' vero al 100% con i derivati): quindi il saldo complessivo e' tendenzialmente nullo o in in ogni caso anti-economico rilevarlo e gestirlo con la tassazione.

Come si fa a trasformare un introito quasi nullo in una tosatura del risparmio? Prendiamo il caso probabilmente piu' diffuso, quello del calcolo del capital gain in "regime amministrato": in questo caso è la Banca o Sim che preleva l'imposta dalle plusvalenze derivate dalle vendite di titoli per poi versarle con cadenza mensile allo Stato. Supponiamo di aver investito in titoli azionari e guadagnato 1000 euro in un mese, magari impegnandosi in prima persona con il trading on-line e quindi lavorando senza orari e senza, ovviamente, remunerazioine alcuna da parte di chicchessia. Se le posizioni sono state chiuse entro la fine del mese il guadagno e' effettivo e quindi avviene il prelievo da parte dell'intermediario del 12.5% sull'importo, pari a 125 euro. Tale cifra viene immediatamente versato nelle casse dello Stato.

Il mese successivo l'operativita' pero' va male e per il nostro la perdita ammonta a 1000 euro. Non ci sono ovviamente in questo caso prelievi di Capital gain o restituzioni ma solo solo una minusvalenza che puo' essere utilizzata in futuro per compensare eventuali guadagni, purche' questi si verifichino nell'arco dei quattro anni successivi. Supponiamo che ora il nostro povero piccolo investitore, scottato dalla perdita, se ne stia buono per quattro anni e poi ritenti la fortuna, magari perche' i mercati finanziari sembrano essere diventati molto promettenti. Si butta e riesce a guadagnare di nuovo 1000 euro. Zac! Immediatamente vengono prelevati dall'intermediario 125 euro e consegnati allo Stato. In teoria il nostro investitore dovrebbe aver finalmente guadagnato i suoi mille euro, invece la storia e' sempre quella: li riperde, come in predenza. Lo sventurato alla fine non solo non ha guadagnato nulla in linea capitale ma si ritrova ad aver versato allo Stato (oltre alle commissioni agli intemediari) ben 250 euro totali che non rivedra' mai piu'.

La situazione in realta' e' piu' drammatica. L'indice Mib30 della borsa italiana nel 2000 quotava 51272, ora si trova a 31000 circa (ma il ribasso e' arrivato a toccare quasi 20000). Cio' vuol dire che le perdite medie subite in conto capitale (il piccolo risparmiatore oltretutto tende a comprare sui massimi e vendere sui minimi) sono state, per un investimento effettuato cinque anni fa, ad oggi di oltre il 50%.

Poiche' il ciclo e' lungo (e in genere dura di piu' di quattro anni) se i risparmiatori riusciranno a riprendersi un po' del capitale perduto dovranno pagarci su il capital gain del 12.5% perche' non riusciranno a compensarlo con le perdite subite a causa del limite dei quattro anni.

La questione politica del giorno e' la tassazione della rendita e al solito a sostenerla con maggiore convinzione sono i campioni del "sociale", con l'aggiunta -chi l'avrebbe detto- della Lega. Il problema sarebbe diventato centrale a causa dell'Irap, tassa regionale ritenuta illegale dall'Europa e quindi da eliminare. Senonche' tale tassa finanzia ben oltre il 50% della sanita'. Ora la questione pone un problema preliminare: cosa c'entra la soluzione del problema dell'Irap con l'aumento della tassazione delle rendite finanziarie? Ovviamente nulla. Infatti alcuni (a cominciare da Prodi) hanno affermato che in realta' il problema e' di armonizzazione della tassazione con il resto dell'Europa. Insomma il problema e' "prendere", basta non essere troppo grossolani. Ci permettiamo di rilevare che la tassazione delle rendite (come dei profitti d'impresa) nei 25 paesi e' diversissima e non ha senso quindi parlare di armonizzazione, dato che in questo querelle i sostenitori della tassazione si riferiscono ovviamente alle situazioni piu' penalizzanti per il risparmiatore.

Gianni Alemanno sul Corriere della Sera afferma perentorio che -ad esclusione dei titoli di Stato- la tassazione della rendita finanziaria e' l'unico metodo per tagliare l'Irap. "In Italia", ha affermato, "non possiamo avere un'aliquota pari al 12,5%, inferiore alla media europea e nel contempo avere il mostro dell'Irap …[bisogna pertanto] spostare risorse dalle rendite finanziarie per alleggerire il peso sulle imprese e sul costo del lavoro, è il segnale più potente che si possa dare". Ovviamente niente a che vedere con il leader di Rifondazione comunista che "fa generici e minacciosi discorsi sulla patrimoniale, mentre io mi limito a ripetere quello che scrive Eugenio Scalfari su Repubblica". Chi l'avrebbe mai detto che sarebbero tornate le convergenze parallele della Prima Repubblica?

Dunque, la conclusione e' questa, la tassazione dei guadagni sui mercati finanziari va portata al 19%. Lasciamo perdere per un momento la faccia del nostro piccolo risparmiatore che oltre ai campioni del sociale incomincera' ad odiare anche l'Europa (vedrete, vedrete cosa succedera' in Francia e in Olanda). A tali campioni facciamo una sola domanda "e se per una anno la borsa non guadagna nulla il medico e l'ospedale degli italiani chi lo paga"? A titolo puramente informativo dico che il dibattito tra gli specialisti in previsioni di borsa e' piuttosto variegato: alcuni sostengono che ci sono spazi ancora di recupero, altri paventano addirittura un crack dei mercati finanziari.

Ma noi, in Italia di che ci preoccupiamo? Abbiamo un piccolo esercito di beneficiati dal "sociale" fatto di pensionato baby, di sprechi incredibili, ovviamente tutti intoccabili. Abbiamo regioni dove ad ogni albero probabilmente corrisponde un forestale, e ci fermiamo qui. Abbiamo poi la Confindustra montezemoliana che sponsorizza la svolta "produttivistica", tanto che lo stesso Bertinotti ci tiene a sottolineare come la nuova leadership degli industriali sia finalmente presentabile e ben diversa dalla precedente. Quindi ,visto lo schieramento che va dai "guru" di sinistra del giornalismo romano fino ad Alemanno, passando per gli industriali, dev'essere giusto fare le cose che si dice si vogliano fare.

Noi ci permettiamo non solo di dissentire da quanto si sta decidendo ma vogliamo fare di piu' e in positivo: proponiamo pertanto l'abolizione in toto del capital gain per far tornare l'investimento in borsa e ridare fluidita' a quel meccanismo economico di circolarita' che da Quesnau in poi (compreso Keynes) dovrebbe essere ben conosciuto da chiunque abbia fatto un minimo di studi economici. Tale meccanismo dovrebbe costituire il riferimento obbligato per chiunque voglia pronunciare la parola "sviluppo". E crediamo anche che sia giusto (per evitare disastri futuri dalle conseguenze incalcolabili) impedire per legge che le banche partecipino al capitale di rischio delle aziende.

Questo e' cio' che serve -limitatamente alle questioni trattate- per ridare fiducia alle imprese e ai mercati finanziari. Nient'altro.


(l'articolo ha avuto delle piccole modifiche rispetto all'originale uscito su lobbyliberal)


18/05/05

Luciano Priori Friggi

Ideologie e rendite

Penso che tutta la storia e la mappatura filosofica delle ideologie siano da riscrivere, per lo meno a partire dall'Illuminismo. Ai soggetti provenienti da famiglie prive di identità che ci vengono a dire come deve andare il mondo, quando essi stessi non sanno né chi sono né perché esistono, non possiamo che opporre lo ius naturalis e i suoi capisaldi: la proprietà privata e il libero mercato. Proprietà privata e libero mercato impongono di buttare le ideologie nel pattume, una volta per tutte: gli errori mentali e il regresso di civiltà dei nostri nonni del Novecento, un secolo di istupidimento di massa e di follia collettiva, non dobbiamo pagarli noi.

Occorre piuttosto imparare a riconoscere quando democrazie formali delegate nascondono tirannie oligarchiche e stataliste: le famiglie dei tiranni e i loro clientes, in questo caso, vogliono controllare e ingessare il mercato, e pretendono di vivere sulle spalle dei cittadini contribuenti, dei ceti produttivi.

Per impossessarsi della ricchezza creata e guadagnata dai ceti produttivi, tassano gradualmente ogni azione che il lavoratore compie nella sua vita, ogni ambito della sua esistenza. Salari e stipendi, consumi, atti amministrativi, risparmi, case, trasferimenti di proprietà, il pieno di benzina o di carburante per il riscaldamento, tutto diventa occasione per imporre balzelli ed estorcere così denaro a chi se lo è sudato.

Oggi vengono a raccontarci che vogliono diminuire le tasse sul reddito da lavoro dipendente; i soldi per far ciò però li trovano raddoppiando le tasse sui risparmi dei lavoratori dipendenti, dei poveri Cristi, di coloro che non possono emigrare o almeno portare i loro risparmi all'estero. In questo consiste la famigerata armonizzazione (o riordino), cioè l'aumento della tassazione sulle rendite finanziarie.
Le quali ovviamente non sono rendite, ma sono i sudati, tartassati, inflazionatissimi risparmi di lavoratori e pensionati, che già non rendono nulla, visto che a causa dell'inflazione i rendimenti reali sono oggi negativi. Chi vive di rendita sono caso mai i membri del politburò, i maggiordomi dei padroni, coloro che hanno venduto il loro consenso in cambio di uno di quei posti pubblici d'oro o di comode poltrone politiche, con scarso engagement e lauti stipendi: rendite, appunto.

I dominanti di oggi possono essere raffigurati da una piramide: al vertice abbiamo le odierne famiglie reali, le famiglie della grande impresa assistita, sovvenzionata, sussidiata, i padroni assoluti dello stato, e le famiglie dei boss delle cosche. Nel mezzo troviamo i maggiordomi privilegiati, coloro che occupano le poltrone ben retribuite delle cariche politiche, amministrative e burocratiche, il politburò. Alla base abbiamo quella parte di dipendenti pubblici assolutamente inutile, coloro che, per timore di dover combattere sul libero mercato, hanno venduto il loro consenso in cambio di un "posto" pubblico, per un misero stipendio, disprezzati dai loro stessi protettori. Tutti gli appartenenti a questa piramide producono poco e male: il sistema si regge e va avanti utilizzando la ricchezza creata da altri, dai ceti produttivi: piccole e medie imprese, dipendenti del settore privato, lavoratori autonomi, e quella parte del pubblico impiego realmente necessaria al paese. La tirannia e l'oppressione consistono nel costringere questi ceti produttivi a mantenere, per forza, gli altri ceti parassitari. Il fisco serve prevalentemente a questo. Oggi la lotta di classe non è più tra proletari contro borghesi, ma tra lavoratori contro parassiti, tra ceti produttivi contro il politburò.

Il fine degli attuali dominanti è lo sterminio dei ceti medio-bassi, ai quali deve essere tolta ogni velleità di formarsi un piccolo patrimonio familiare. La logica redistributiva toglie ai medio-piccoli per dare ai grandi e grandissimi, con una evidente finalità di proletarizzazione (leggi: schiavizzazione) di chiunque non appartenga alle famiglie e alle cosche al potere. Questo processo di proletarizzazione è stato studiato e progettato fin nei minimi dettagli, ed è uno strumento di mantenimento del potere. Ovviamente viene travestito da “redistribuzione a favore delle famiglie, dei lavoratori dipendenti, dei proletari” proprio nel momento in cui sono le famiglie e i lavoratori a essere colpiti, penalizzati, impoveriti dal continuo aumento della pressione fiscale. Tassare salari e stipendi, tassare consumi, tassare risparmi, tassare case, tassare i carburanti o quant’altro è sempre la stessa cosa: sono tutti aumenti della pressione fiscale contro il popolo e a favore dei dominanti e dei loro servi. Socializzazione dei costi del consenso vuol dire semplicemente che i dominanti si pagano servi e consenso coi soldi pubblici, coi soldi nostri, quelli che ci tolgono con le tasse.
Oggi, il massimo a cui un cittadino qualunque può aspirare, è che gli venga graziosamente concesso un posto pubblico, un boccone di pane, e, per i più ligi al regime, per quelli che portano più consenso, qualche poltrona d’oro. Non si azzardi il cittadino qualunque a mettersi in proprio, a iniziare un lavoro autonomo o imprenditoriale, un’attività produttiva: verrà immediatamente strozzato dalla burocrazia e dal fisco, e lavorerà per altri, per i poteri forti e per il loro stuolo di lacchè politici e burocrati. Manterrà col suo lavoro e con le sue tribolazioni i ceti parassitari.

Per questo l’evitare l’ulteriore appesantimento della tassazione sui risparmi degli Italiani rappresenta una sorta di “linea del Piave”, sulla quale dovrebbero attestarsi tutte quelle forze politiche, quei tributaristi e quegli economisti ancora dotati di un minimo di ragionevolezza, equità e dignità.

I risparmi sono già tartassati dall’inflazione e dall’imposta sostitutiva: ancora non basta? Tutte le famiglie si sono accorte che il potere d’acquisto dei loro poveri risparmi è stato decimato dall’inflazione. E l'inflazione è una tassa, anzi, è il più pesante e subdolo tributo di cui già si avvantaggia lo stato. Tutti sperimentiamo quotidianamente che in Italia c'è un'inflazione ben superiore a quella ufficialmente dichiarata dall'ISTAT: questa inflazione reale è il tributo che i risparmiatori già pagano al fisco, cui si aggiunge l'attuale imposta sostitutiva del 12,5% che ora si vorrebbe iniquamente aumentare, con un intento demagogicamente e ideologicamente espropriativo.

E, sottolineo, è assolutamente falsa, falsissima, l’affermazione ricorrente che il rendimento del risparmio è tassato meno dei redditi da lavoro o d’impresa. Il carico fiscale che le imprese subiscono, è di fatto contenuto: l'aliquota sul reddito d'impresa è fittizia, visto che si applica non su tutto il reddito, ma solo sul reddito imponibile, e qualsiasi commercialista è in grado di decimare l'imponibile del reddito d'impresa. Tutta una serie di fasce esenti, deduzioni e detrazioni sono poi previste per tutti gli altri tipi di reddito, a cominciare dal reddito da lavoro dipendente. Ciò non accade invece per l’imposta sostitutiva, che è un tributo ben diverso dall’imposta sul reddito. Ed è proprio l’imposta sostitutiva che già oggi colpisce i rendimenti dei risparmi: le sue aliquote si applicano quindi senza sconti su tutto il reddito nominale (ben maggiore di quello reale!) dei risparmi, fino all'ultimo centesimo, non essendovi alcuna possibilità di dedurre costi e spese dall'imponibile, né fasce esenti. Si applicano anche sulle perdite da inflazione! Quindi il paragonare l'aliquota solo nominalmente più alta del reddito d'impresa o di lavoro a quella del 12,5% sui redditi finanziari nominali non ha senso, e chi, in possesso delle dovute conoscenze giuridico-tributarie, fa tale paragone fra aliquote di imposte strutturalmente diversissime, lo fa in malafede, per infinocchiare chi di tributi non se ne intende.

E quel neokeynesianesimo imperante, quel tassa e spendi, che tanto fa comodo ai ceti parassitari, è talmente insensato da illudersi che tassando i risparmi fino a ucciderli si spinge la gente a consumare di più, stimolando l’economia. No, non è così. L’effetto di una maggiore tassazione è esattamente il contrario: le possibilità economiche delle famiglie sono decimate dal calo dei rendimenti dei loro risparmi e dall’aumento dei costi per le abitazioni. Le famiglie si tengono ancora più stretti i loro risparmi, non consumano, non domandano i prodotti che le imprese offrono. Gli imprenditori di conseguenza non investono, e l’economia regredisce.

Capiamoci, con l'assalto dei ceti parassitari ai risparmi dei lavoratori (le rendite finanziarie) il passaggio è epocale: nessun governo, anche ferocemente statalista, in passato era mai arrivato a tanta iniquità. Per impadronirsi dei nostri risparmi non si accontentano più dell'inflazione, oggi l'attacco espropriativo contro i risparmi degli Italiani è diretto, frontale e pesantissimo: aumento, quasi raddoppio dell' imposta sostitutiva, che, si badi bene, e lo ripeto, è per sua struttura e per base imponibile molto più pesante e vessatoria, a parità di aliquota percentuale, della normale imposta sul reddito, con la quale in troppi, per ignoranza o malafede, la confondono. All’esproprio dei risparmi seguirà, già annunciato, l’attacco fiscale agli immobili, facilmente attuabile attraverso una revisione al rialzo delle rendite catastali. E, una volta tartassati risparmi e case, troveranno qualcos’altro da tassare, che so, i balconi (già ci hanno provato!), o i cessi dei laboratori degli artigiani, o le bottiglie di acqua minerale, o i cani e i gatti che ci teniamo in casa, in un’infinita pauperizzazione, un infinito asservimento di chi lavora e produce, di chi non è dei loro. Se non li fermiamo ora non li fermeremo più. Per questo la battaglia in difesa dei nostri risparmi va combattuta fino in fondo, questa "linea del Piave" non deve essere sfondata.

Come sono bravi, coloro che vivono sulle nostre spalle, nel falsare il significato del linguaggio, nel camuffare con l’ideologia gli espropri che perpetrano a loro esclusivo vantaggio.

Che fantasia affermare: "Vogliamo abbassare le tasse sui salari dei lavoratori, quindi raddoppiamo le tasse sui loro risparmi...".

Quanta gente sprovveduta e in buona fede si lascerà ancora prendere per i fondelli? Quanti poveri Cristi non capiranno che i tartassati sono sempre loro, che lavorano per far fare la bella vita a qualcun altro?

E ripeto il mio vecchio suggerimento: chiediti sempre nelle tasche di quali famiglie vanno i soldi che lo stato ti toglie.



Avv. Filippo Matteucci


Un plauso, da parte mia e da parte di tutti i risparmiatori, di tutti i lavoratori che hanno risparmiato e continuano a risparmiare per garantirsi un futuro, per loro, per le loro famiglie, per i loro figli, in uno stato che non garantisce nulla se non l'oppressione fiscale, a Benedetto Della Vedova, Daniele Capezzone, Piercamillo Falasca e Mario Seminerio, e a Il Giornale, per queste prese di posizione.

Per chi volesse approfondire l'argomento, consiglio anche:

da: http://epistemes.org/2008/01/10/dieci-buone-ragioni-per-non-tassare-le-rendite/
Articolo di Benedetto Della Vedova, Piercamillo Falasca e Mario Seminerio

http://www.tradersxsempre.com/public/forum/index.php?showtopic=1253&pid=135606&mode=threaded&start=
(intervento di Luciano Priori Friggi)

by http://www.lewrockwell.com/paul/paul334.html
(articolo sull’Inflation Tax di Ron Paul)

http://www.clubeconomia.it/articoli/articolo.php?id=553
(articolo di Gian Battista Bozzo)

http://www.italia-risparmio.it/finanza/rendite_finanziarie_ipotesi_sugli_effetti_di_un_aumento_di_tassazione.php
(articolo mio)

Avv. Filippo Matteucci

Anonimo ha detto...

Concordo con Marshall. Aggiungo che, se come pare, l'addizionale colpirà solo le nuove emissioni il gettito serà ridicolo. Inoltre creerà un problema di disparità fra vecchie emissioni, con tassazione inferiore e nuove. Il tutto fatto in un momento economicamente pessimo, anche per le borse ed i rendimenti. Prodi sembra Cattivik: oltre a biascicare le parole non ne azzecca una neanche per sbaglio. Poi nell'ultimo anno il "Fattore C" che aveva contraddistinto il suo primo governo è esaurito: se lui non portò l'Italia alla bancarotta negli anni '90 fu a causa del boom della borsa per la bolla della new economy, che gli permise delle entrate straordinarie per la tassazione della plusvalenza dei titoli borsistici. Da quando è tornato al governo anche borse e fondi traballano.....

Massimo ha detto...

L'avv. Matteucci ci fornisce ancora una volta un lungo articolo, più che un commento, che meriterebbe altra collocazione che non quella tra commenti che, per la loro natura, presuppongono una veloce lettura da parte del saltuario di passaggio.
Devo anche fare un appunto sui ringraziamenti. Della Vedova e Capezzone non hanno i miei ringraziamenti visto che sono tra i responsabili di questo stato di cose.
Il primo si è redento (sotto l'aspetto economico) prima delle elezioni ma per lunghi anni ha contribuito all'ascesa di Bonino e Pannella. Capezzone, no. Solo dopo, troppo tempo dopo, il necessario ha compreso l'errore fatto. Mi aspetterei da parte di queste persone un ravvedimento operoso, molto operoso ... e non solo nel campo economico ;-)

Ares ha detto...

Se vi ricordate anche con la finanziaria 2007 si erano affannati a dichiarare che i redditi sotto i 40000 euro ci avrebbero guadagnato. Poi è andata come tutti sappiamo. Adesso si apprestano nuovamente a fare il gioco delle tre carte cui solo i gonzi cascano. Apparentemente riducono l'irpef, e con destrezza ti sfilano con l'altra mano più di quel che ti restituiscono davanti alle telecamere.
La sinistra non ha rispetto per il lavoro e per il denaro altrui, perchè non ha rispetto per la proprietà. E' un difetto di fondo dal quale non riuscirà mai a guarire.

Il Temporeggiatore ha detto...

Nel mio post odierno ho lanciato una provocazione: chiedere il risrcimento danni agli elettori di sinistra. Che ne pensate ?

Massimo ha detto...

Credo che, prima o poi, si dovrà tirare una sintesi di tutte le proteste e le aspirazioni a cambiare regime. E dovrà/potrà farlo solo Berlusconi. Spero lo faccia al più presto.

Anonimo ha detto...

se devo dire la verità è proprio questo che mi fa paura, cioè che sia solo Silvio a trane le conseguenze, e questo per tre motivi:
1) comunque si trova al capo di un'organizzazione che spesso ha mostrato di non avere le idee chiare, e sto facendo un eufemismo. Purtroppo in passato FI ha dimostrato di avere una percentuale eccessiva di "Yesmen" senza idee o di persone che l'hanno usata solo per andare in parlamento e fare il salto della quaglia. Vedo una carenza forte invece della categoria di amici migliori: i critici fedeli.
2) Alcune volte nella scorsa legislatura, ho avtuo l'impressione che gli elettori fossero molto strumentali a fini non chiari, magari non suoi ma del suo enturage. Insomma perchè nella scorsa legislatura molte riforme, possibili con la schiaccinte maggioranza del polo, non sono state fatte ?
Incomincio a pensare che sia necessario un cambio completo della classe politica, magari salvandone un numero che può stare sulla punta delle dita di una mano...
3) Lo stato (uomini ed istituzioni) mi sembra sempre più una di quelle vecchie 131 o alfasud anni '70: puoi fare tutta la manutenzione che vuoi ma alla fine la carrozzeria è talmente marcia che ti perde i pezzi solo a toccarla, per cui è inutile mettere a punto il motore. Meglio prendere una macchina nuova a magari fare subito una buona manutenzione....
Ciao

Massimo ha detto...

Berlusconi resta l'unico cui rivolgersi, il meglio perchè è l'unico che non arriva dagli oscuri corridoi delle segreterie dei partiti, ma anche lui ha i suoi condizionamenti dovuti alla cerchia di consiglieri provenienti dal vecchio teatrino della politica (a cominciare da Letta !).
Nella scorsa legislatura le riforme furono fatte, tante, anche se magari ognuno di noi (ma non sugli stessi temi) sperava in qualche cosa di più radicale. La maggioranza assoluta che aveva poteva essere utile se i parlamentari eletti per lui avessero alzato la mano quando lui diceva di alzarla e l'avessero abbassata quando lui diceva di abbassarla. Invece, comesai, tutti volevano dire la loro, persino i più .... Follini ... ;-)