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13 settembre 2011

L’unica soluzione è abbattere la spesa pubblica

Mentre la camera sta votando l’approvazione della manovra di agosto che doppia quella di luglio, i mercati continuano nella loro schizofrenia, mossi dai dubbi sulla tenuta della Grecia, dalla speculazione finanziaria e dalla ostilità verso l’euro.
E’ una crisi internazionale che non esclude nessuno, tanto che gli interventi dell’inquilino pro tempore della Casa Bianca e la conferenza stampa congiunta dell’autoreferenziale diarchia europea (Merkel e Sarkozy) hanno coinciso con altrettanti tonfi delle borse.
Non è quindi un problema di cocchiere, ma un problema di fiducia, di mancanza di ottimismo e di speculazione.
Anche se la borsa italiana è allineata con quelle europee, non possiamo nascondere che noi abbiamo un problema in più.
Mentre Parigi e Berlino hanno il problema dell’euro e della speculazione, noi abbiamo anche quello di un debito pubblico insostenibile perché alimentato, a cominciare dal primo centrosinistra degli anni sessanta, da una spesa pubblica clientelare, demagogica e priva di qualsiasi controllo.
A nulla vale rastrellare denaro dalle tasche degli italiani o con la doverosa vendita dei beni dello stato se, prima, non si provvede a chiudere il rubinetto della spesa.
E noi abbiamo tre grandi capitoli di spesa: l’istruzione, la sanità, la previdenza.
Piaccia o meno (e credo non piaccia a nessuno) è su quei capitoli che dovranno intervenire.
Le manovre di questi giorni, effettuate raschiando il barile della fantasia dorotea, non possono servire ad altro che a rinviare quelle scelte dolorose che dovranno portare alla privatizzazione dell’istruzione, della sanità e della previdenza.
Per evitare di essere frainteso, resta ovvio che tale privatizzazione dovrà essere graduata in relazione alle anzianità.
Se, infatti, chi dovesse entrare oggi nel mondo del lavoro, avrebbe tutto il tempo per attivare un percorso di assicurazione sanitaria e pensionistica privata, chi fosse già da anni in attività non potrebbe fare altrimenti e, ad esaurimento, sarebbe doveroso conservargli sanità e sistema pensionistico vigente.
Questo non vorrebbe dire non intervenire da subito per limitarne i costi, anche se dovesse portare a limitarne i servizi.
L’istruzione, invece, non dovrebbe avere alcun elemento ostativo ad una veloce privatizzazione, con l’autonomia dei singoli istituti che dovrebbero progressivamente mantenersi attraverso le rette e le donazioni private.
Ma tutto questo presuppone una ben maggiore capacità economica dei cittadini ai quali andrà restituita, ovviamente ex nunc, la disponibilità sugli importi che, oggi, ci vengono sottratti a titolo di contributo servizio sanitario, fondo pensioni obbligatorio, nonché tramite una sensibile riduzione, per tutti, delle aliquote fiscali, avendo possibilmente come obiettivo una flat tax al 10% finalizzata esclusivamente alle attività essenziali di uno stato: difesa dai nemici esterni, mantenimento dell’ordine interno, sistema giudiziario per dirimere le controversie tra privati e un apparato istituzionale per i rapporti tra stati e le attività legislative.
Ma se non si chiude il rubinetto della spesa pubblica, ci ritroveremo o falliti o a dover sempre più rastrellare denaro dalle nostre tasche, per spese che non ci daranno mai un ritorno adeguato.

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3 commenti:

Anonimo ha detto...

La tua analisi è corretta. Ma di errori ne hanno commessi tanti e ancora ne vengono commessi. Irrimediabilmente. La situazione è ormai cronica in Italia come in Europa. Credo ci si debba appellare a quel senso di "speranza" che gravita (ancora) tra i blogger.
Un abbraccio

marshall ha detto...

Sembra pura utopia, fantasticherie di sognatore il pensare a quelle tre grandi privatizzazioni, tabù inviolabili per un europeo. Eppure, chissà, in un futuro forse neanche troppo lontano, fra 50 o 100 anni potrebbe essere l'inevitabile sorte degli occidentali. Infatti, la Cina, che se ne frega del rispetto dei diritti umani, è ora più vicina di qunto solo dieci o vent'anni fa non avremmo nemmeno immaginato.

Massimo ha detto...

Monica. Chi non fa errori ? Ma Berlusconi ci ha provato. Con la riforma delle pensioni sin dal 1994 che, se approvata, ci eviterebbe l'attuale tira e molla. Con la riforma del mercato del lavoro a cominciare dall'art. 18 nel 2001. Con la riforma costituzionale (approvata dal parlamento ma bocciata dai cittadini) che avrebbe ridotto a metà la "casta". Lui ci ha provato, nonostante gli errori, gli altri invece hanno solo chiacchierato, e nei fatti puntellato la burocrazia. Errori sì, ma la strada è giusta.
Marshall. Sono convinto che ci arriveremo e non per la Cina, ma perchè è naturale che l'individuo prevalga e voglia liberarsi dai vincoli statalisti. In fondo non sarebbe altro che una ... restaurazione ... :-)