“Nominato” da L'Ineffabile con un post che è linkato anche al titolo, mi accingo nell’impresa e, sicuramente influenzato dal suo racconto, avevo pensato di rievocare un viaggio ad Atene nel lontano 1985, ed in particolare un momento di assoluta “atarassia”, che mi dava l’impressione di essere vicinissimo agli Dei della Grecia classica, quando, sceso dall’aereo, sistemati i bagagli in albergo, ci siamo seduti (a stomaco vuoto !) in un bar in piazza Omoia a bere – accaldati come eravamo per il viaggio e per il caldo che avevamo trovato nella capitale greca – una bella birra …
Ma, poi, ho pensato: se si deve parlare del mio “centro” del mondo, non posso parlare che di … casa mia.
E’ il mio vero “centro”.
Ci abito dall’età di tre anni e mezzo (alla fine di questo 2006 completerò il mio primo mezzo secolo di vita … ) e ci sono tutti i ricordi, genitori, amici, tutto il percorso scolastico.
A ben pensare il periodo più lungo di lontananza fu l’anno del servizio militare e ad ogni licenza tornavo a casa con grande soddisfazione: la mia vasca da bagno, il mio letto, il mio televisore … e adesso anche il mio computer, il mio studio, la mia libreria …
Una volta mi sono messo a contare i libri (tra romanzi, saggi e testi vari): quasi 6000 volumi (adesso credo di aver superato tale cifra).
Certo, non tutti li ho comprati io, una buona parte furono raccolti da mio padre, ma anch’io ho contribuito ad arricchire una biblioteca che ora – spazio tiranno ! – è articolata in varie stanze e che sono stato costretto persino a sistemare con gli scaffali che devono sopportare la doppia fila (e una parte l’ho trasferita da una quindicina di anni nella casa di montagna).
E se mi affaccio alla finestra vedo il campetto che, noi bambini, abbiamo sfruttato, anno dopo anno, per giocare a calcio e pallavolo e basket e ping pong, sotto gli amorevoli e vigili occhi dei nostri genitori: si scendeva le scale ed eravamo al parco giochi.
Ed eravamo in tanti.
E il campetto, adesso tutto ricoperto di un bel manto erboso segno inequivocabile del mancato utilizzo, allora, per lo sfruttamento intensivo cui veniva sottoposto, era in gran parte spelacchiato.
E vicino al campo, il bosco, misterioso, con due “perle”.
Un manufatto diroccato che chiamavamo “la tomba etrusca” e una caverna dove la leggenda raccontava fossero state rinvenute armi della seconda guerra mondiale.
Girando l’angolo, vedo la discesa, ora occupata da macchine parcheggiate, ma che negli anni sessanta (quando la neve arrivava puntuale per Natale) era la nostra pista di slittino, perché non passava nessuna macchina e nessuno spazzaneve.
E mi ricordo gli amici di infanzia, molti dei quali sono rimasti o sono tornati ad abitare qui, nel segno di un attaccamento a quella che fu una infanzia felice e che è stata per noi tutti una scuola di vita che ha contribuito a renderci quel che noi siamo oggi.
Ma, poi, ho pensato: se si deve parlare del mio “centro” del mondo, non posso parlare che di … casa mia.
E’ il mio vero “centro”.
Ci abito dall’età di tre anni e mezzo (alla fine di questo 2006 completerò il mio primo mezzo secolo di vita … ) e ci sono tutti i ricordi, genitori, amici, tutto il percorso scolastico.
A ben pensare il periodo più lungo di lontananza fu l’anno del servizio militare e ad ogni licenza tornavo a casa con grande soddisfazione: la mia vasca da bagno, il mio letto, il mio televisore … e adesso anche il mio computer, il mio studio, la mia libreria …
Una volta mi sono messo a contare i libri (tra romanzi, saggi e testi vari): quasi 6000 volumi (adesso credo di aver superato tale cifra).
Certo, non tutti li ho comprati io, una buona parte furono raccolti da mio padre, ma anch’io ho contribuito ad arricchire una biblioteca che ora – spazio tiranno ! – è articolata in varie stanze e che sono stato costretto persino a sistemare con gli scaffali che devono sopportare la doppia fila (e una parte l’ho trasferita da una quindicina di anni nella casa di montagna).
E se mi affaccio alla finestra vedo il campetto che, noi bambini, abbiamo sfruttato, anno dopo anno, per giocare a calcio e pallavolo e basket e ping pong, sotto gli amorevoli e vigili occhi dei nostri genitori: si scendeva le scale ed eravamo al parco giochi.
Ed eravamo in tanti.
E il campetto, adesso tutto ricoperto di un bel manto erboso segno inequivocabile del mancato utilizzo, allora, per lo sfruttamento intensivo cui veniva sottoposto, era in gran parte spelacchiato.
E vicino al campo, il bosco, misterioso, con due “perle”.
Un manufatto diroccato che chiamavamo “la tomba etrusca” e una caverna dove la leggenda raccontava fossero state rinvenute armi della seconda guerra mondiale.
Girando l’angolo, vedo la discesa, ora occupata da macchine parcheggiate, ma che negli anni sessanta (quando la neve arrivava puntuale per Natale) era la nostra pista di slittino, perché non passava nessuna macchina e nessuno spazzaneve.
E mi ricordo gli amici di infanzia, molti dei quali sono rimasti o sono tornati ad abitare qui, nel segno di un attaccamento a quella che fu una infanzia felice e che è stata per noi tutti una scuola di vita che ha contribuito a renderci quel che noi siamo oggi.
Quale miglior “centro” del posto dove c’è il proprio passato, presente e futuro ?
4 commenti:
Bello, Monsoreau, è vero, spesso non c'è bisogno di evocare bellissimi posti esotici del mondo per trovare i centri del proprio mondo..
Ciao!
Al più presto ti inserirò tra i blog interessanti.
Il titolo del post, comunque, "istigava" ad un decadente romanticismo ... :-)
Ci sei decaduto con gran piacere, ti ha proprio ispirato la nomination dell'Inneffabile è un bellissimo racconto, ha nominato anche me spero di trovare tempo al ppiù presto per parlare del mio centro.
... e il naufragar m'è dolce in questo mare ... :-)
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