La Riforma Costituzionale che potremo confermare con un “SI’” il prossimo 25 e 26 giugno, ha un cuore federalista.
Il progetto federalista appartiene di diritto alla Lega Nord e ad Umberto Bossi che, unico, negli anni ottanta, intuì la sclerosi dello stati unitario e rispolverò il federalismo di cui Carlo Cattaneo era stato un precursore, prima ancora dell’unità del paese.
Federalismo, secessione e, infine, prendendo spunto dalle larghe autonomie concesse dal Regno Unito a Galles e Scozia, “devolution” o devoluzione, cioè trasferimento di competenze e poteri dallo stato centrale alle regioni e agli enti locali.
Una soluzione positiva che trova la sua normativa nella Riforma Costituzionale agli articoli dal 114 al 133.
Inizio, ancora una volta, dalla critica al sistema di innestare in un testo vecchio e superato, sangue fresco.
Continuo a ritenere sarebbe stato di gran lunga meglio mandare in archivio la vecchia carta per riscriverne, articolo dopo articolo, una nuova.
Ma, tant’è, la politica è l’arte del possibile e più di così evidentemente non era possibile ottenere in considerazione delle resistenze degli statalisti presenti anche nel Centro Destra, sia pur in misura inferiore a quanti allignano a sinistra (basti considerare il pasticciaccio brutto della presunta “riforma” del titolo V raffazzonata da Amato per cercare di raccogliere un pugno di voti in più alle elezioni del 2001).
Un altro errore, a mio avviso, è l’aver mantenuto la “specialità” delle cinque regioni a “statuto autonomo” che non ha senso in uno stato federale dove ogni regione ha le sue competenze e poteri (e dove, nel terzo millennio, non avrebbe comunque senso neppure in uno stato centralista).
Notiamo quindi che la Riforma del 2005, sottoposta al “SI’” confermativo del 25 e 26 giugno, ha una alternanza di pesi e contrappesi, pur nella devoluzione di competenze e poteri.
Così se nel primo comma dell’art. 114 viene elevato a rango costizionale il principio della susssidiarietà dello stato rispetto alle realtà locali, nel terzo comma dello stesso articolo viene sancito il ruolo di Roma capitale.
La devoluzione delle competenze viene definita con una tripartizione ben determinata delle competenze per materia:
- legislazione esclusiva dello stato
- legislazione esclusiva delle regioni
- legislazione concorrente fra stato e regioni.
Naturalmente gli eventuali conflitti di competenza trovano un percorso chiaro e ben definito per la loro risoluzione ed evitare situazioni di stallo.
La Riforma consente una maggiore vicinanza degli amministratori agli amministrati, crendo in capo ai primi quei poteri che li costringeranno ad operare nell’interesse della loro comunità senza trincerarsi dietro l’alibi dei “trasferimenti” di risorse da Roma.
Il governatore, il sindaco, avranno la facoltà di agire per migliore le condizioni della propria regione, del proprio comune.
E, con questa Riforma, se la situazione non migliorerà i cittadini sapranno che il motivo è da ricercarsi nell’inadeguatezza di chi hanno eletto e potranno così bocciarli alle elezioni e sostituirli con altre persone che potranno dimostrare di valere di più.
Verranno meno anche gli inutili assistenzialismi fini a se stessi, ma non verrà mai meno il principio solidaristico insito nella costituzione di una comunità nazionale.
In pratica: basta con i posti inutili e le clientele pagate da tutti, sì ad interventi mirati per rimuovere ostacoli allo sviluppo o per sopperire a situazioni di gravi calamità imprevedibili.
Il risparmio e la concretezza che deriva da questa impostazione ci dice anche il perché la sinistra al governo per (colpo di) mano dei verbali degli scrutini elettorali pieni di ombre e sospetti anche per i voti delle circoscrizioni estere, sia schierata contro il SI’.
Votare SI’ significa dunque avviare l’Italia sulla stessa strada che ha percorso la Gran Bretagna, valorizzando le identità locali, recuperando valori tradizionali locali e arricchendo l’intera comunità nazionale con il contributo fattivo di tutti, abbandonando e per sempre, il vecchio assistenzialismo clientelare, fondato sull’esproprio per alcuni per distribuire le briciole ad altri ed arricchire i mediatori: chi è in possesso della leva fiscale.
SI’, quindi, per uno stato moderno, proiettato al futuro dove tutti contribuiscano secondo le loro capacità e possano godere dei frutti del proprio lavoro senza vederselo sottrarre e disperdersi in migliaia di inutili rivoli.
Precedenti post sulla Riforma del SI’
1) La dolce terra dove il SI' suona 2/6/2006
2) SI' per ridurre gli sprechi delal politica 9/6/2006
Il progetto federalista appartiene di diritto alla Lega Nord e ad Umberto Bossi che, unico, negli anni ottanta, intuì la sclerosi dello stati unitario e rispolverò il federalismo di cui Carlo Cattaneo era stato un precursore, prima ancora dell’unità del paese.
Federalismo, secessione e, infine, prendendo spunto dalle larghe autonomie concesse dal Regno Unito a Galles e Scozia, “devolution” o devoluzione, cioè trasferimento di competenze e poteri dallo stato centrale alle regioni e agli enti locali.
Una soluzione positiva che trova la sua normativa nella Riforma Costituzionale agli articoli dal 114 al 133.
Inizio, ancora una volta, dalla critica al sistema di innestare in un testo vecchio e superato, sangue fresco.
Continuo a ritenere sarebbe stato di gran lunga meglio mandare in archivio la vecchia carta per riscriverne, articolo dopo articolo, una nuova.
Ma, tant’è, la politica è l’arte del possibile e più di così evidentemente non era possibile ottenere in considerazione delle resistenze degli statalisti presenti anche nel Centro Destra, sia pur in misura inferiore a quanti allignano a sinistra (basti considerare il pasticciaccio brutto della presunta “riforma” del titolo V raffazzonata da Amato per cercare di raccogliere un pugno di voti in più alle elezioni del 2001).
Un altro errore, a mio avviso, è l’aver mantenuto la “specialità” delle cinque regioni a “statuto autonomo” che non ha senso in uno stato federale dove ogni regione ha le sue competenze e poteri (e dove, nel terzo millennio, non avrebbe comunque senso neppure in uno stato centralista).
Notiamo quindi che la Riforma del 2005, sottoposta al “SI’” confermativo del 25 e 26 giugno, ha una alternanza di pesi e contrappesi, pur nella devoluzione di competenze e poteri.
Così se nel primo comma dell’art. 114 viene elevato a rango costizionale il principio della susssidiarietà dello stato rispetto alle realtà locali, nel terzo comma dello stesso articolo viene sancito il ruolo di Roma capitale.
La devoluzione delle competenze viene definita con una tripartizione ben determinata delle competenze per materia:
- legislazione esclusiva dello stato
- legislazione esclusiva delle regioni
- legislazione concorrente fra stato e regioni.
Naturalmente gli eventuali conflitti di competenza trovano un percorso chiaro e ben definito per la loro risoluzione ed evitare situazioni di stallo.
La Riforma consente una maggiore vicinanza degli amministratori agli amministrati, crendo in capo ai primi quei poteri che li costringeranno ad operare nell’interesse della loro comunità senza trincerarsi dietro l’alibi dei “trasferimenti” di risorse da Roma.
Il governatore, il sindaco, avranno la facoltà di agire per migliore le condizioni della propria regione, del proprio comune.
E, con questa Riforma, se la situazione non migliorerà i cittadini sapranno che il motivo è da ricercarsi nell’inadeguatezza di chi hanno eletto e potranno così bocciarli alle elezioni e sostituirli con altre persone che potranno dimostrare di valere di più.
Verranno meno anche gli inutili assistenzialismi fini a se stessi, ma non verrà mai meno il principio solidaristico insito nella costituzione di una comunità nazionale.
In pratica: basta con i posti inutili e le clientele pagate da tutti, sì ad interventi mirati per rimuovere ostacoli allo sviluppo o per sopperire a situazioni di gravi calamità imprevedibili.
Il risparmio e la concretezza che deriva da questa impostazione ci dice anche il perché la sinistra al governo per (colpo di) mano dei verbali degli scrutini elettorali pieni di ombre e sospetti anche per i voti delle circoscrizioni estere, sia schierata contro il SI’.
Votare SI’ significa dunque avviare l’Italia sulla stessa strada che ha percorso la Gran Bretagna, valorizzando le identità locali, recuperando valori tradizionali locali e arricchendo l’intera comunità nazionale con il contributo fattivo di tutti, abbandonando e per sempre, il vecchio assistenzialismo clientelare, fondato sull’esproprio per alcuni per distribuire le briciole ad altri ed arricchire i mediatori: chi è in possesso della leva fiscale.
SI’, quindi, per uno stato moderno, proiettato al futuro dove tutti contribuiscano secondo le loro capacità e possano godere dei frutti del proprio lavoro senza vederselo sottrarre e disperdersi in migliaia di inutili rivoli.
Precedenti post sulla Riforma del SI’
1) La dolce terra dove il SI' suona 2/6/2006
2) SI' per ridurre gli sprechi delal politica 9/6/2006
13 commenti:
Per scrivere una nuova costipazione ti tocca sciogliere il governo, indire una costituente e fare reset... ti immagini che disponibilita' "bipartisan"? O che clima di collaborazione? Rischi di ritrovarti con "la proprieta' e' un furto" ed altre amenita' che farebbero sbellicare il mondo alle nostre spalle. Purtroppo non c'e' niente da fare: l'unica soluzione e' uno stato autoritario che lo faccia per forza. Quando si arrivera' alla completa paralisi avverra' qualcosa del genere, magari sotto la minaccia, oggi sottovalutata, della secessione. Il guaio e' che vigente la cultura attuale uno stato autoritario non potrebbe avere che una connotazione di sinistra... con UE e tutto il resto ci ritroveremmo daccapo con le guerre d'indipendenza. Francamente la vedo un po' male: quando gl'italiani li chiami alle urne per tre o quattro volte nel giro di pochi mesi, l'affluenza scende mediamente del 7% per consultazione. Speriamo.
Oppure, come dice Bossi, la vittoria del sì al Nord e poi davanti all'onu per reclamare il diritto alla secessione. Ognuno padrone a casa sua.
@ Ares: Bossi invocava soluzioni diverse in caso di NO. Leggere prima di sparare cazzate!
Bossi ebbe l'intuizione federalista, ma questa riforma è di tutto il centrodestra, non solo di Bossi. GM
Chiunque abbia un minimo di intelligenza, voterà SI'.
Gli altri potranno confermare la fama di itaglioni, ma se prevelessero i contrari al SI' si porranno ulteriori grossi problemi di individuazione di valori fondanti dello stato, tra due popoli profondamente divisi. E non sono il Nord e il Sud.
mi chiedo sempre perchè la Carta Costituzionale attuale sia considerata vecchia e passata.
Rispetto a chi e che cosa è vecchia e superata?
Poi che tipo di federalismo andremo ad attuare? Cattaneo prima che un "federalista" era un Massone e quando propose la sua "idea federalista" intendeva altro e soprattutto era in base al periodo storico che viveva.
Riformare una carta, partendo da una idea del 1850, mi sembra alquanto arduo considerarla "innovativa".
Qual è il famoso punto di arrivo? Io non l'ho ancora capito.
Così come non capisco una ideologia di destra o fascista che si piega a quella federale.
ma anche una liberale! Il mercato unico si basa su un "senza frontiere" non su un federalismo postumo.
Pienamente concorde. Gli enti locali continuano a scaricare la colpa su Roma. Continuano a batter cassa. Trovano mille scuse per giustificare la loro incompetenza. Con la nuova Costituzione si ridurranno gli spazi per le loro scuse: o saranno capaci di amministrare o mostreranno ai loro cittadini di essere solo un bluff.
Mi domando come qualcuno possa ancora difendere una costituzione scritta sull'onda emotiva della guerra.
Fu poco saggio allora mettersi a redigerla.
E' stato poco intelligente tenersela inalterata o quasi per 60 anni.
E' stupido rifiutare la riforma.
Basti pensare che quella costituzione che vogliamo cambiare fu redatta persino da uno come Scalfaro.
La nostra carta risale all'immediato dopo guerra quando le tensioni erano fortissime ed è stata scritta da cattolici e comunisti con esclusione degli altri.
Cattolici e comunisti, poi, residuati di una concezione ottocentesca dello stato. per questo la carta non ha mai funzionato ed è stato un freno allo sviluppo della democrazia in Italia. Già con la carte si era creato il consociativismo che da dieci anni è vidimato da comunisti e cattocomunisti assimee nella stessa alleanza (una assurdità che esiste solo in Italia).
Cattaneo è un richiamo a quello che l'Italia poteva essere e non è stata. Se l'unità avesse seguito l'ispirazione di Cattaneo si sarebbero valorizzate quelle differenze che ancor oggi marcano varie zone del paese. Ed a questo porta la Riforma Costituzionale sulla quale si chiede il SI'. Ad una Italia che rivaluti la propria storia che non è stata uguale in tutte le parti del paese e che porti ognuno ad esprimersi secondo la propria natura e tradizione.
Quanto alla Destra Fascista, Federalista e Liberale qui si è scritto abbondantemente in merito e ti rimando ai post sulla Grande Destra (c'è anche lo specifico link).
Niente scritta Forza Italia stasera ?
Non mi era piaciuta, speravo facesse un effetto migliore ... :-)
Anzitutto complimenti per un articolo così ponderoso, che avrà richiesto molta fatica e tempo, a meno che le parole siano uscite a getto continuo: il che richiederebbe una preparazione notevole pari a quella di grandi giornalisti.
Non credano, gli altri lettori, che sia una sviolinata, che tanto non mi porterebbe nessun vantaggio: mi piace declamare onore al merito.
Per quanto riguarda il tema del post, non mi viene in mente nessuna critica: è tutto scritto molto bene lì dentro.
A presto.
Grazie, ma è solo un commento dettato dalla lettura delle norme e dal buon senso, quello che, se sarà seguito dagli elettori al posto degli schematismi ideologici, non potrà che indurre gli ITaliani a dire "SI'" alla Riforma.
Rileggendo bene questo scritto, si capisce bene perchè molti preferiscano votare per il no: per non perdere i privilegi accumulati sulla base della Costituzione. Perchè si tratta di veri privilegi creati studiando e adattando ai propri interessi gli articoli della Costituzione.
Ecco perchè, ripensando bene a tutto quanto, Bossi aveva creato il motto, per me allora quasi inconcepibile: Roma ladrona.
Basta pensare a quanto assorbono in costi i 1000 dipendenti del Quirinale, contro i 600 di Bush alla Casa Bianca, o ai 160 del Presidente Tedesco.
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